Bellinzonese

Ingrediente segreto: qualità

In un'intervista, lo chef bellinzonese Lorenzo Albrici ci racconta i 20 anni di vita della sua Locanda Orico. Qui da 18 anni brilla una stella Michelin

Studio Daulte/L.Daulte
31 gennaio 2018
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«Se qualcuno mi avesse detto che dopo 20 anni sarei stato qui a parlarne, non ci avrei mai creduto». Gli ultimi clienti del pranzo stanno uscendo proprio ora e i tavoli sono già ricoperti da candide tovaglie bianche. Mentre fuori i ritmi lavorativi riprendono freneticamente, Lorenzo Albrici può staccare la spina per qualche minuto e ci accoglie nella silenziosa sala del suo ristorante, aperto in via Orico il 13 gennaio del 1998. Pochi metri più in là, nella stessa via, c’è un ristorante che annuncia con un cartello la cessione dell’attività. Si tratta dell’Osteria Mistral, il cui cuoco Luca Brughelli ha deciso di affrontare una nuova sfida professionale in un ‘bed & bike’ ad Airolo. «In questi anni ho ricevuto diverse proposte allettanti per andare via da Bellinzona, ma ho sempre declinato l’invito», racconta Lorenzo Albrici, 50enne bellinzonese che ha alle spalle 35 anni di carriera di cui 15 accanto a importanti nomi della ristorazione internazionale; gli altri 20 li ha trascorsi nella sua cucina che ora condivide con altri tre cuochi e un aiuto cucina.

Due anni dopo l’apertura è arrivata la stella Michelin, che brilla senza sosta da 18 anni. Era un obiettivo?

Albrici: Quando ho aperto il ristorante l’intento era quello di proporre cucina di qualità grazie all’utilizzo di prodotti pregiati, ma non miravo a riconoscimenti particolari. Invece dopo 2 anni, grazie alla visita anonima di un ispettore della Guida Michelin, abbiamo ricevuto una stella. Ero stupito e devo ammettere che è stato un po’ un fulmine a ciel sereno, perché più sei quotato, più sei criticato. Mantenere la stella per 18 anni ha richiesto un grande impegno, perché non abbiamo diritto a errori. Implica un controllo su tutto, dalla merce al servizio, dalle tovaglie ai bicchieri. Però ha portato molta visibilità. Questo e il fatto che siamo presenti tra ‘Les grandes tables de Suisse’ ci consente di avere molti clienti da tutta la Svizzera e non solo. Si tratta di clienti che mangiano nei migliori ristoranti d’Europa e hanno quindi aspettative molto alte che dobbiamo rispettare.

Per offrire un’altissima qualità è necessaria una certa disciplina in cucina. Nella sua si assiste anche a scene ‘alla Cracco’?

In televisione il concetto è portato all’esasperazione, ma è vero che durante i servizi lavoriamo sempre in una condizione di alta tensione. I ritmi sono molto serrati e non posso permettere che un cuoco prepari male un piatto: ci vuole davvero poco per perdere un cliente. La cucina non è quindi un posto per educande, volano anche padelle e qualche parolina di troppo. Ma poi, una volta finito il servizio, passa tutto.

Cos’è cambiato nella ristorazione in questi due decenni?

Sia la ristorazione che il tipo di clientela sono cambiati molto, anche a causa del fatto che la cucina ha monopolizzato la televisione e tutti sono diventati degli “esperti” rendendo più complicato il nostro lavoro. Tra le novità ci sono anche molte intolleranze. Prima capitava raramente di sentirne parlare, mentre ora sono all’ordine del giorno. Anche le tendenze sono cambiate e la cucina si è dovuta adattare. Per esempio si utilizzano meno grassi e si propongono anche pietanze pensate appositamente per chi è vegetariano. Un aspetto positivo è la maggiore attenzione nei confronti di un’alimentazione sana e della provenienza della merce.

E la clientela com’è cambiata?

È molto più stressata. Andare al ristorante dovrebbe essere un piacere, invece a volte ho l’impressione che il cliente non approfitti delle due o tre ore trascorse al ristorante per rilassarsi e godersi una bella serata. Lo noto soprattutto sul mezzogiorno: devono mangiare e partire velocemente, mentre prima c’era la possibilità di scambiare due chiacchiere. Forse prima c’era più tempo per andare al ristorante mentre ora, complice la diffusione dei fast food e dei ristoranti ‘mordi e fuggi’, i ritmi sono più frenetici. Questo genere di locali viene frequentato soprattutto dai giovani: un trend che mi preoccupa perché una volta adulti potrebbero non apprezzare ristoranti come il mio.

AlpTransit ha portato più clienti?

Sì. Abbiamo sempre avuto clientela proveniente da Oltre Gottardo, ma con AlpTransit è aumentata. Ora abbiamo diversi clienti che prendono il treno alla mattina, mangiano qui e rientrano a casa. Dico sempre ai miei ragazzi che ci sono persone che affrontano diverse ore di viaggio per venire da noi, quindi dobbiamo offrire loro il massimo.

Come immagina la Locanda Orico tra 20 anni?

Andando avanti con questi ritmi lavorativi penso di restare in cucina ancora una decina d’anni. Dopo non lo so. Ho dei dipendenti che lavorano con me da quando ho aperto il ristorante e magari c’è qualcuno interessato ad andare avanti, anche se si tratta di una sfida impegnativa e capirei se non se la sentissero. Però è sicuramente una bella esperienza che dà soddisfazioni.

Nonostante la fama del suo ristorante e la sua pluridecennale esperienza, Lorenzo Albrici ammette di «imparare ogni giorno». Quando gli chiediamo se punta ad ottenere anche la seconda stella Michelin, risponde che «nella vita bisogna sapersi accontentare». Un’altra stella comporterebbe infatti costi ulteriori e in Ticino potrebbe non esserci un bacino sufficiente di persone verso cui indirizzare quest’offerta. «Nella mia vita professionale ho lavorato con i migliori chef al mondo e ho avuto tutto quello che si poteva desiderare. Sono soddisfatto del percorso, anche se ci sarebbe ancora tanto da fare e da migliorare», aggiunge. Dietro l’immacolata divisa da professionista, il cuoco non nasconde il suo lato umano. Come quando ricorda gli spaghetti al pomodoro, i suoi preferiti di quando era bambino. «Adesso mi piace di tutto», aggiunge. Che si tratti di un piatto di pasta o di un pezzo di pane con salame o formaggio, «l’importante è che sia ben fatto e di buona qualità».

Qual è il segreto per realizzare un buon piatto?

È necessaria la ricerca del prodotto. Se quello è buono, allora siamo a buon punto. L’ingrediente segreto è dunque la qualità di tutte le materie. Questa ha però un costo e i prezzi di ristoranti di un certo livello sono dunque giustificati. Sono però convinto che si possa fare una cucina buona senza avere i prezzi alle stelle. In generale noto infatti un rapporto qualità prezzo abbastanza scorretto, con dei prezzi minimi relativamente alti.

Com’è lavorare in un esercizio pubblico in un’epoca dominata da internet e dai social media?

A differenza di 20 anni fa, per un esercizio pubblico è fondamentale avere un sito web, lavorare in modo mediatico, cercare di rinnovarsi. Non sono un fanatico dei social, ma siamo su Instagram. Trattandosi di un servizio gratuito, siamo contenti se riusciamo ad attirare qualche cliente così. Bisogna però anche stare attenti, perché sulle piattaforme virtuali di recensioni si può cadere con facilità. Un motivo in più per non commettere errori.