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Cent'anni dopo, vi racconto Alberto Sordi ('Segreto')

Il 15 giugno del 1920 nasceva il grande attore italiano, raccontato in un libro dal cugino Igor Righetti: 'Era un uomo libero, e per questo sognò invano un Oscar'

'Parlate degli affari nostri soltanto quando sarò in orizzontale' (Keystone)

Il 15 giugno del 1920 nasceva il grande attore italiano, raccontato in un libro dal cugino Igor Righetti: 'Era un uomo libero, e per questo sognò invano un Oscar'

16 giugno 2020
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“Perdonatemi, io non ho colpa per ciò che è avvenuto. Un’indisposizione che non mi permette né di camminare né di muovermi e tanto meno di fare il saltino. Perciò, se non faccio il saltino, se non individuano subito di persona Alberto Sordi sul palcoscenico è inutile presentarsi (…) Spero di guarire prestissimo e di trovare un’altra occasione importante per potervi chiarire che il pubblico per me è una grande famiglia”.

Dovendo scegliere una citazione per ricordare Alberto Sordi, colui che nella più riduttiva delle definizioni è quello che “ha portato in scena l’italiano medio”, e che oggi avrebbe cent’anni e un giorno, poteva bastare anche un semplice “Mi dispiace, ma io so' io …e voi non siete un c****” tratto dal ‘Marchese del Grillo’ di Monicelli. Ne abbiamo scelta, invece, una più corposa e autoironica estratta da un filmato passato alla storia come ‘L’ultimo saluto di Alberto Sordi’, una registrazione del dicembre 2002 destinata al solo pubblico dell’Ambra Jovinelli, teatro nel quale l’attore avrebbe dovuto presenziare al tributo riservatogli dal Roma Film Festival; un filmato diffusosi poi in modo (pre)virale, chiuso da un “grazie al pubblico che mi ha permesso di durare così tanto”, da un consapevole (del contrario) “ci vedremo presto” e da una stoccatina a Max Tortora che in quei giorni, Sordi, lo imitava così, seduto nella penombra e in vestaglia. “Da come sono vestito – dice Sordi in quell’ultimo saluto – potete immaginare che cosa ho. Ma quello che fa la mia imitazione (…) mi ha messo su una poltrona con la coperta e da allora mi sono sentito dei dolori e mi ha bloccato”.

'Parlate degli affari nostri soltanto quando sarò in orizzontale'

Il virgolettato integrale del superstizioso Alberto Sordi è forse il meno intimo dei ricordi contenuti in ‘Alberto Sordi segreto’, libro scritto da Igor Righetti, giornalista, autore, conduttore radiofonico e cugino dell’attore. Ma più di ogni altra esternazione pubblica, quel messaggio porta con sé una certa, seppure esposta, riservatezza. «A noi familiari mio zio ha sempre fatto una raccomandazione: “Parlate degli affari nostri soltanto quando sarò in orizzontale”», racconta Righetti a laRegione, che Sordi lo chiama zio perché così Sordi ha voluto essere chiamato, da Igor e dal fratello, «forse per il non aver avuto figli».

“Quando sarò in orizzontale” perché, a proposito di superstizione, «’morte’ era una parola che Alberto usava poco ». Il libro-verità, edito da Rubbettino, arriva col centenario, «anche per spazzare via tante maldicenze su di lui, spesso frutto della rivalità che tra colleghi c’è da sempre». E per raccontare (come da sottotitolo) “Amori nascosti, manie, rimpianti”, e i luoghi comuni a partire da quella storia dell’avarizia. «Che lui ha cavalcato alla grande».

'Alberto frequentava gli orfanotrofi, tant’è che una delle sue ultime volontà, raccontate a noi e alle persone vicine, fu quella di trasformare la sua villa in orfanotrofio e non nel museo che è oggi' ('Taccagno io?' - parte prima)

“Io non la smentisco questa cosa, perché se tutti sapessero quanta beneficienza faccio m’importunerebbero”. Spiega Righetti: «In famiglia abbiamo sempre saputo della sua natura di filantropo, della marea di adozioni a distanza. Alberto frequentava gli orfanotrofi, tant’è che una delle sue ultime volontà, raccontate a noi e alle persone vicine, fu quella di trasformare la sua villa in orfanotrofio e non nel museo che è oggi». Dal libro emerge un Alberto Sordi tutt’altro che autocelebrativo. «Non pirotecnico, come spesso accade per i comici. Cordiale, ironico, certo, ma anche schivo e diffidente, soprattutto dopo il successo. E abbastanza solitario», per bisogno di fuga dai bagni di folla, per riparare nella sua villa-rifugio: le stanze chiuse a chiave, un primo piano interdetto a tutti al quale stavano il suo studio, la sua barberia, il suo bagno; accessibili, al piano di sotto, solo il salone, la cucina e un bagno. «Oggi non può che farmi strano questo museo. Non so cosa penserebbe, lui, dell’orda di curiosi la popolano, che sfiorano le sue ceramiche, le madonne e i pappagallini. Strano mi fa anche la sua sala cine-teatro privata degli originari divanetti», ellitticamente disposti, scelti in prima persona. Velluti preziosi, ornamenti di una villa comperata nel 1954 soffiandola a De Sica perché pagata in contanti, e quella legnaia trasformata in teatro. «Oggi ci sono sedie blu di plastica, le sedie dei centri congressi. Se n’è snaturata l’essenza. D’altra parte questa Fondazione Museo non è stata costituita da mio zio».

Fondazione Alberto Sordi per i giovani, fortemente voluta per l’avere lui sofferto così tanto ('Taccagno io? - parte seconda)

Le diatribe legali occupano troppo spazio per questa pagina; le lasciamo al libro, ai rotocalchi e alla tv della diatriba. Parlare di fondazioni che portano il suo nome, però, aiuta nel campo delle fake news. Perché nel 2002, come Fondazione Alberto Sordi, il presunto taccagno sborsò «a proposito di avarizia, la bellezza di dieci miliardi di lire» per donare un lotto di terreno a sud di Roma affinché fosse eretta una struttura comprendente il Centro per la Salute dell’Anziano e un Centro Diurno Anziani Fragili. Fondazione che è pure Ente sostenitore dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, che a sua volta ospita sullo stesso terreno due ulteriori poli medici, di bioingegneria e didattica. E poi c’è la Fondazione Alberto Sordi per i giovani, «fortemente voluta per l’avere lui sofferto così tanto», quand’era ancora un giovane attore squattrinato e col Federico Fellini convinto di diventare un gran regista, pelle e ossa per la fame, tirava a campare. «Noi familiari non capiamo, e nemmeno gli amici quelli veri, non quelli dell’ultim’ora. Perché sono tutti amici di Alberto Sordi, è tutto un “Quanto mi era amico!”, “Quanto mi voleva bene!” (capitolo, gli amici, dal quale Carlo Verdone non esce esattamente immacolato).

Ma non chiamatelo Albertone

Alberto Sordi, o ‘Albertone’, ultimo di quattro figli. «Non lo potevamo chiamare così, perché cambiava espressione come Linda Blair ne ‘L’Esorcista’» racconta Righetti. Questo perché «il terzogenito, che morì pochi giorni dopo il parto, si chiamava come lui. La madre non superò mai il lutto, cercando di lenirlo con la preghiera. Alberto conosceva la provenienza del suo nome e non gradiva affatto che fosse storpiato. Alberto Sordi e «un sogno per il quale soffrì per le peggiori umiliazioni e per il quale mio nonno, fratello della mamma Maria Righetti, si spese aiutando la famiglia alla morte del padre e stimolando Alberto a non mollare. Nonno al quale Alberto fu sempre grato e volle pagare le cure quando questi si ammalò. Gli fu detto che non aveva la faccia da attore, che non era né bello né brutto. Soffrì anche per una certa tendenza a ricoprire ruoli che andavano palesemente contro la logica del successo: «’Mamma mia che impressione’, prodotto da Vittorio De Sica, fu un mezzo fiasco, ’Lo sceicco bianco’ prendeva in giro i fotoromanzi, cosa inaudita per l'epoca».

'Ma io certi personaggi nemmeno li ho mai amati…'

Alberto Sordi l’anti-eroe. O anche «il primo grande cattivo d’Italia, il primo politicamente scorretto. Ci ha dipinti così, con i pregi e i molti difetti, che sono quelli che fanno ridere», commenta Righetti. Detto con parole di altri: “Ve lo siete meritato, Alberto Sordi!”. Nella prefazione del libro, il critico e docente di storia del cinema Gianni Canova cita il Nanni Moretti di ‘Ecce bombo’ e il suo voler sintetizzare, in quel verso, “alcuni tratti negativi e deteriori dell’antropologia degli italiani”. Scrive Canova: “Si sbagliava, Moretti. E sbagliava due volte. La prima perché confondeva (errore, purtroppo, assai comune fra gli intellettuali e i maitres à penser) l’attore con i suoi personaggi. La seconda perché un “mostro” (sacro!) come Alberto Sordi, purtroppo, molti italiani hanno dimostrato di non meritarlo affatto, troppo impegnati a trafficare con i loro affarucci quotidiani per rendersi conto di come e quanto Sordi restituisse, esasperandola, la loro immagine allo specchio”.

Chiamato con regolarità a smontare la pretesa di altri che nell’uomo risiedessero davvero il genio malato del professor Guido Tersilli ‘Medico della mutua’, il qualunquismo di Pietro Chiocca commerciante di armi in ‘Finché c’è guerra c’è speranza’, l’Alberto Nardi parassita e scialacquatore de ‘Il vedovo’, Sordi si giustificherà più volte: “Ma io certi personaggi nemmeno li ho mai amati…”.

'E quando te lo danno l'Oscar, Albe'?'

La stima dei grandi, in ‘Alberto Sordi segreto’, occupa un capitolo intero, con dentro l’idea chi di lui si fecero Matt Dillon, Taylor Hackford, Helen Mirren: «Ho potuto avvicinarli consegnando il Premio internazionale Apoxiomeno a lui dedicato». È parte di quell’America dalla quale Sordi si sarebbe aspettato una statuetta, e che invece non gli ha riservato nemmeno una nomination. «Fino all’ultimo ci ha creduto. Mio padre gli chiese “E quando te lo danno, Albe’?”. Lui, che era già sulla settantina, rispose che a Charlie Chaplin l’avevano dato a 83 anni e che quindi non era detta l’ultima parola». Per uno che di premi ne aveva vinti tanti – Orso d’argento a Berlino per ‘Detenuto in attesa di giudizio’, un Golden Globe 1964 per ‘Il diavolo’, una dozzina di David di Donatello, e vari Venezia, Bafta, Nastri d’Argento – il pensiero ci stava. Anche soltanto per il Giovanni Vivaldi che vendica l’assassinio del figlio in ‘Un borghese piccolo piccolo’.

Difficile, però, se l’Italia non ti candida. «Mai, nemmeno in ruoli drammatici come ‘La grande guerra’, ‘Una vita difficile’. E qui il motivo è prettamente politico» conclude Righetti. «Alberto era una persona libera, non amava granché i critici italiani, se non pochi, mentre era idolatrato dalla critica francese, inglese, amatissimo dagli americani». Anche dagli attori: “Quello che ho imparato nel comico lo devo ad Alberto Sordi” (Dustin Hoffmann, 1993).