Mondiali di hockey

Paolo Duca: "Non ho ancora fugato il dubbio"

Il direttore sportivo dell'Ambrì si confida, parla della sua nuova vita, del futuro e del Kloten

TiPress
16 maggio 2018
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La domanda ancora senza risposta

L’anno scorso, già presente ai Mondiali di Parigi come opinionista della Rsi, era al debutto in qualità di direttore sportivo. Quasi sempre con il cellulare all'orecchio, faceva concorrenza a un agente di un call-center di una qualunque compagnia telefonica e ci disse di non sapere se fosse un lavoro adatto a lui. A distanza di un anno chiediamo a Paolo Duca se adesso ha la risposta. «Non ancora, perlomeno non esaustiva e definitiva. Sono stati 365 giorni intensissimi carichi di lavoro. Lo svolgimento della professione di direttore sportivo è quello che mi attendevo, non mi ha riservato particolari sorprese. Ci sono tanti aspetti che mi piacciono di questo mestiere, specialmente quelli legati direttamente all’hockey e più in generale alle faccende sportive. Penso ad esempio allo scouting e al contatto diretto con i giocatori. Però esistono altre sembianze che gradisco un po’ meno. Mi riferisco alle pratiche amministrative e alla risoluzione dei mille problemi quotidiani. Il mio più grande dubbio, che non mi permette ancora di rispondere alla domanda, è legato al tempo. Ho investito tante energie e molto tempo e così ho avuto poco spazio da dedicare a mia moglie e ai nostri figli. Questo fatto mi pesa molto. Mi auguro che sia legato soprattutto al problema del contingente del primo anno e dal cambio di strategia e spero che nella stagione alle porte i ritmi cambino un po’.  

Dire "addio" a un vecchio compagno!

È stato difficile modificare rispettivamente gestire i rapporti con i suoi vecchi compagni di squadra di lungo corso, come ad esempio Marc Gautschi? Magari dover comunicare a uno di loro che non lo si sarebbe più tenuto in futuro? «È chiaro, non è evidente uscire dallo spogliatoio e diventare direttore sportivo. Io credo che l’unica via per mantenere dei buoni rapporti è di scindere il contatto professionale da quello privato. A me piace la comunicazione veloce e diretta, senza fronzoli e non tenere troppo in ballo le persone. Una volta che prendo una decisione la comunico al diretto interessato. Ogni tanto fa male, ma è meglio che faccia male subito. Inoltre per mantenere il reciproco rispetto è necessario mettere le carte in tavola. Ovviamente bisogna saper fornire delle motivazioni valide e corrette in merito a certe scelte prese. Effettivamente il tutto non si è rivelato un compito facilissimo con parecchi ex compagni di squadra, anche perché a me la vita da spogliatoio è sempre piaciuta moltissimo. Ogni tanto, quando ne varcavo la soglia nel campionato appena finito, dovevo ricordarmi di aver cambiato ruolo».

Il dramma del club storico!

Sorpreso dalla retrocessione del Kloten? «Non me l’aspettavo onestamente. Per gli Aviatori è stata una stagione difficile, con un inizio in salita, in cui non sono riusciti a invertire la tendenza. Sono tuttora convinto che la loro era una squadra di buon livello e qualità,  con al suo interno un paio di giocatori veramente molto forti. Sono dispiaciuto che un club storico sia stato retrocesso, ma d’altro canto bisogna dire che il Rapperswil ha strameritato la promozione: infatti ha saputo sfruttare la relegazione di tre anni or sono per riordinare le idee, risanare le finanze e lanciare un nuovo corso. L’ideale sarebbe stato di poter avere entrambe le società nella massima divisione: io sarei favorevole a una National League con 13 o 14 squadre».

Pazienza e certezza!

La caduta del Kloten valorizza ulteriormente la salvezza dell’Ambrì? «Non lo so. Mi piace ricordare che quando l’anno passato affermammo che il nostro obiettivo era la salvezza lo facemmo perchè eravamo coscienti del pericolo incombente e che ancora sussiste. Ecco, la caduta del Kloten lo conferma. Non dobbiamo dimenticare da dove veniamo e ricordarci della nostra realtà e delle difficoltà. Bisogna avere pazienza, non si possono cambiare il corso e la mentalità di un club nell’arco di una o due stagioni. Si può cominciare a lavorare diversamente, e questo lo abbiamo fatto, ma ci vuole tempo. Guardiamo al Bienne. Ha trascorso diversi anni d’inferno, ha iniziato a lavorare in una determinata maniera e ora sta adagio adagio raccogliendone i frutti. E non mi riferisco solo alla prima squadra, bensì anche al settore giovanile. Ha vinto il campionato svizzero tra i Mini e i Novizi e questi risultati significano tanto, Ma, ribadisco, ci vuole pazienza. In questo senso non penso che per noi nella stagione prossima cambierà molto. Ovviamente si vuole sempre fare meglio, ma una salvezza non sarà mai scontata».

La trappola, il realismo e l'elogio!

Oltretutto, paradossalmente, il secondo anno, con tutte le sue trappole, potrebbe essere più complicato del primo. Finora non c’erano moltissime aspettative e l’intera società ha potuto lavorare tranquillamente. «Togli il paradossalmente. È sempre più difficile il secondo campionato. Confermarsi non è mai facile. La nostra concentrazione rimane sul fatto di dare importanza al processo quotidiano del lavoro e della costanza. Non guardiamo troppo distante. Non abbiamo aspettative di ottenere chissà che risultati, anche se ovviamente vogliamo fare un passo in avanti, ma in sostanza l’obiettivo non si discosta da quello dello scorso campionato. Trovo che nella stagione appena conclusa il pubblico è stato eccezionale da questo punto di vista e ci ha sostenuto dall’inizio alla fine. Penso che i nostri tifosi siano consapevoli che la via intrapresa sia l’unica possibile per gettare delle basi a medio-lungo termine».

Il primo frutto, che orgoglio!

Un frutto del nuovo corso l’Ambrì l’ha già raccolto eccome. Sono ben 3 (4 aggiungendo Hofer, futuro biancoblù) i leventinesi presenti a questi Mondiali. Se l’anno scorso qualcuno lo avesse predetto, lo avrebbero preso per ubriaco o pazzo. (Paolo Duca ride ndr). «È un motivo di orgoglio per tutta la società. Ci rallegra ed è bello ritrovare i nostri ragazzi in un ambiente così piacevole e familiare come quello che si respira ai Mondiali. Ho incontrato i nostri ragazzi diverse volte, abbiamo discusso e siamo usciti insieme a bere qualcosa. La loro presenza è una conferma della bontà del nostro lavoro. Fora e Zwerger hanno fatto un grande passo in avanti, Hofer è un giocatore interessante e Kubalik sta disputando finora un Mondiale incredibile e questo mi fa molto piacere».

Wow, miracolo!

La chiacchierata con Duca è terminata, Incredibile, ma vero, nei minuti che ci ha dedicato non gli è mai squillato il cellulare. Forse è un record. Già, perché anche un anno dopo Paolo continua a fare concorrenza al famoso agente del call-center.