Depenalizzazione della canapa indiana, un dibattito mai chiuso. Se ne torna a parlare in questi giorni, vuoi per l’impatto sul mercato della marijuana senza Thc, vuoi per un atto parlamentare ticinese che chiede di sollecitare una sperimentazione cantonale più tollerante verso la cosiddetta ‘droga leggera’. Su fronti opposti due deputati del Plr: Galusero e Käppeli.
di Aldo Bertagni e Andrea Manna
Il tema è tornato d’attualità. Iniziamo da Galusero. Lei teme che il Ticino torni ad essere il mercato della canapa, così come in passato quando si vendevano i ‘sacchetti odorosi’. Ma molto è cambiato da allora, o no? La nuova coltivazione di canapa, nel Piano di Magadino, oggi è ‘light’ ovvero sotto l’1 per cento di Thc. Un mercato poco allettante, non crede?
Giorgio Galusero - Io spero che non lo sia, ma ho forti dubbi. Temo piuttosto che torneremo a coltivare la canapa con maggiore grado di tossicità, perché quella che lei cita, la ‘light’, non penso proprio troverà mercato: è solo paglia o fieno. Quest’ultimo è piuttosto l’ennesimo escamotage per arrivare a depenalizzare e liberalizzare l’altra canapa, quella con più alto valore di Thc. Io, figlio di agricoltori, vedo male fra l’altro il Piano di Magadino trasformato in coltivazione di canapa. Vorrei anche sapere come s’intende agire nei confronti di coloro che hanno avuto sussidi pubblici per promuovere i prodotti agricoli ticinesi, vedi i pomodori, e adesso le stesse serre cambiano produzione e si dedicano alla canapa.
Dunque per lei è meglio il pomodoro della canapa light?
Galusero – Ma certo! Esagerando, altrimenti, potrei aggiungere che gli unici prodotti agricoli ticinesi a chilometro zero resteranno solo i ‘cannoni’?
Monocultura agricola ticinese, dunque, è questo il rischio anche secondo lei Käppeli?
Fabio Käppeli – Le mie idee politiche prevedono che lo Stato non vada a mettere il becco nelle attività imprenditoriali ticinesi. Dunque lo Stato non dice cosa si deve o non si deve coltivare. Poi il mercato sa reagire da solo e magari il valore dei pomodori ticinesi non subirà contraccolpi. Preferisco anch’io i prodotti locali e credo proprio che continueranno a esserci. Per quanto ammetto che il boom della canapa light possa sorprendere, date le dimensioni del fenomeno. È comunque un mercato alimentato da chi cerca semplicemente di rilassarsi e non vuolo lo “sballo”. E va a prendere anche una fetta di mercato al crimine organizzato. Oggi, fra l’altro, chi si rivolge al mercato illegale non sa cosa compra. Peraltro è noto, lo dice uno studio bernese, che il 90 per cento della canapa venduta in Svizzera è contaminata da sostanze nocive, come pesticidi. Dunque tutto il mercato della canapa va regolamentato se non altro per una questione di salute pubblica.
Galusero – A proposito di regole. Lo Stato in questi mesi ha esercitato un certo controllo e con quali risultati? La sostanza a basso valore tossicologico, la light appunto, oggi costa di più della canapa diciamo “normale”. Questo dimostra che anche con l’intervento dello Stato la questione non si risolve. Anzi, peggiora.
Käppeli – Non direi che sia peggiorata. Anzi, oggi la light è un prodotto controllato e la gente è disposta a pagare magari di più, piuttosto che acquistare un prodotto illegale senza garanzie sulla qualità dello stesso.
Galusero teme che la canapa light sia l’anticamera della depenalizzazione completa. Lei è d’accordo?
Käppeli – Noi non vogliamo la liberalizzazione completa e quando dico noi intendo i comitati oggi favorevoli alla depenalizzazione della canapa. Ci andrebbe bene anche una regolamentazione che ne accetti il consumo, pur con alcuni limiti e dunque la necessaria severità.
Galusero – Cosa vuol dire severità?
Käppeli – Che lo Stato metta dei paletti, ad esempio sull’età o sulla vendita esclusiva ai soli cittadini qui residenti. Così come si potrebbe limitarne il consumo a determinati ambiti. Oggi esistono modelli più orientati al libero mercato e altri alla salute pubblica. Noi vogliamo mettere al centro della politica sulla canapa non la droga ma l’individuo.
Galusero – E con i minorenni come la mettiamo? Sono il 50 per cento dei consumatori...
Käppeli – Resta il problema, ma lo è anche oggi con la massima repressione. E questo è un dato che mi preoccupa.
C’è un dato che riguarda entrambi perché militanti dello stesso partito, il Plr, che sostiene i tagli alla spesa pubblica. Comunque la si pensi, in questo settore urge una maggiore presenza dello Stato: o per reprimere o per controllare. Come si fa in Ticino? Con quali soldi?
Käppeli – Il consumo di canapa in Svizzera oscilla fra le sessanta e le settanta tonnellate annue. Lo Stato, in questo caso, dovrebbe svolgere il ruolo di arbitro come già capita nel campo dei medicamenti. L’ente pubblico li controlla, li autorizza e questo genera indotto. Le entrate fiscali derivanti da questo commercio potrebbero essere destinate alla prevenzione. Regolamentando il settore della canapa le risorse finanziarie arrivano. Avremmo maggiori risorse da destinare alle forze dell’ordine – perché possano concentrarsi così sulla lotta contro le sostanze più pericolose e contro il narcotraffico – e per fare una prevenzione con la P maiuscola.
Galusero – Per me va bene la situazione attuale. Non cambierei niente. Poi magari mi chiedo come si potrà controllare chi oggi coltiva canapa light, quindi legale, nel Piano di Magadino per evitare che in realtà le stesse piantine contengano il 15 per cento di Thc... Se fosse dipeso da me, non avrei autorizzato neanche la light.
Käppeli – Scusa Giorgio, a te va bene la regolamentazione attuale. A me no. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità la Svizzera è il secondo Paese al mondo per il consumo di canapa...
Galusero – Allora aumentiamo le possibilità?
Resta il punto che ogni legge per essere credibile deve essere applicata. Oggi reprimere il consumo così come si dovrebbe è di fatto impossibile. Si riempirebbero le galere... Non sarebbe dunque il caso di ripensarla?
Galusero – Secondo me no. Anche perché restano aperte non poche domande. Cosa si fa di fronte a un automobilista “sballato”? La sostanza stupefacente resta nel sangue assai più a lungo dell’alcol, per dire. Ecco perché dico: meglio restare dove siamo. Certo, oggi c’è un gran consumo, ma a mio avviso il divieto resta un deterrente importante.
Käppeli – Te lo dico da giovane. A Bellinzona, dopo le dieci di sera, riesci a trovare qualsiasi tipo di droga.
Galusero – Beh, il presidente dei Giovani liberali ticinesi è sulla mia posizione.
Si potrebbe anche dire che mantenendo un limite, il divieto, si continua a problematizzare una sostanza comunque da prendere con le molle, soprattutto là dove viene banalizzata come la realtà giovanile.
Galusero – Senza dimenticare che c’è uno studio, dell’Università di Losanna, che collega il consumo di canapa con la schizofrenia.
Käppeli – Beh, la canapa viene anche usata come medicamento, mentre invece quella contaminata è decisamente nociva. E, a proposito della banalizzazione. Quando Giorgio dice che gli va bene la situazione attuale, è proprio lui che fa di tutto tranne che affrontare il problema. Ci si comporta come gli struzzi. Lo ripeto. Le entrate fiscali date dalla vendita potrebbero essere fondamentali per potenziare la prevenzione. Oggi la politica dei quattro pilastri [la strategia federale per la lotta contro la droga, ndr] è decisamente sbilanciata a favore della repressione. In questo modo viene meno il contatto con chi abusa o ha un consumo problematico. È più difficile.
Galusero – Ma se il consumo diventa libero... Cosa dici ai giovani, a un ragazzo di quindici anni? E a proposito delle entrate fiscali dalla vendita di droga: se lo Stato deve stare in piedi per questi soldi... L’ho già sentita per il gioco d’azzardo.
Käppeli – Volevo rispondere sulla circolazione stradale. Non è un problema perché quando si guida si deve essere abili e idonei. Vale per tutti i consumi, farmaci come alcol.
Käppeli, lei prima ha sostenuto che le andrebbe bene anche una regolamentazione: non si rischia comunque di banalizzare il consumo di canapa e di favorire, seppur indirettamente, l’abuso?
Käppeli – Anche con il consumo di alcol ci sono abusi e non mi sembra proprio che lo Stato stia a guardare. Fissa dei paletti e promuove campagne di sensibilizzazione. Rientra poi fra i compiti di un genitore spiegare chiaramente al proprio figlio che ci sono sostanze le quali, sebbene lecite, non sono innocue. È dai tempi di Paracelso che la scienza dice che a essere velenosa è la dose, non la sostanza. È del resto un aspetto su cui si basano anche i principi di una alimentazione sana.
Galusero, non sarebbe meglio puntare sulla riduzione del danno?
Galusero – Secondo me il danno sarebbe maggiore depenalizzando il consumo della canapa, perché non vi sarebbe più, come ho detto prima, alcun deterrente. Non nascondiamoci dietro a un dito: chi passa alla cocaina e all’eroina solitamente è passato prima dalla canapa.
Käppeli – Oggi però una persona che vuole fare uso di canapa deve rivolgersi al mercato nero. Prima o poi lo spacciatore avrà tutto l’interesse a vendergli qualcosa di più forte e quindi di più pericoloso. E di più redditizio, per il fornitore.
Galusero – Non è vero. Chi vende canapa, non vende cocaina.
Käppeli – Ad ogni modo a livello internazionale la tendenza è verso la regolamentazione del consumo della canapa. In Italia, per esempio, è tema di discussione. E lo stesso avviene nel nostro Paese.
Galusero – In tempi recenti (nel 2008, ndr) il popolo svizzero però ha detto no.
Cannabis da regolamentare, propongono in Ticino un’interrogazione parlamentare e una mozione al Consiglio di Stato, delle quali lei, Käppeli, è rispettivamente primo firmatario e firmatario. Non sarebbe stato meglio indirizzare questa richiesta alla Confederazione?
Käppeli – Con l’interrogazione chiediamo al governo ticinese cosa ne pensa fra l’altro di una regolamentazione. L’atto parlamentare, peraltro, è pendente dall’ottobre 2016. Dallo scorso maggio è pure pendente una mozione il cui primo firmatario è Carlo Lepori (deputato socialista, ndr): è stata inoltrata allo scopo di avviare una sperimentazione in Ticino, previa autorizzazione, ovviamente, dell’Ufficio federale di sanità pubblica. Ci interessa verificare, con criteri scientifici e su un periodo di tre, cinque anni, se sia meglio il sistema attuale o se non valga la pena tentare qualcosa di nuovo. Non siamo comunque gli unici a chiedere un progetto pilota di regolamentazione della canapa. A Ginevra per esempio si vorrebbero sperimentare i cannabis social club. E anche a Ginevra si è in attesa dell’autorizzazione.
Galusero – Sperimentazione? Non ci penso nemmeno.
La legalizzazione non porta più consumi, la marijuana nuoce meno dell’alcol, ma i rischi restano. Domande e dubbi mai completamente risolti e che continuano a generare pareri diversi. Alcuni dati per non far di tutta l’erba un fascio.
di Lorenzo Erroi
Insieme alle controversie suscitate dalla vendita di cannabis “light,” si torna a discutere la legalizzazione della sua sorella maggiore: la marijuana vera e propria. Le domande sono tante, le risposte non sempre facili, e i pregiudizi ben radicati. Ecco alcune informazioni utili.
Legalizzare aumenta il consumo?
Il più delle volte, no. Un sondaggio fra 37mila studenti dello Stato di Washington, dove la marijuana è legale dal 2012, documenta un tasso invariato di consumatori. Stessa storia in Colorado, dove il tasso di consumatori è passato dal 25% del 2009 al 21% del 2016, 4 anni dopo la legalizzazione. In Europa, il Portogallo ha decriminalizzato 17 anni fa il consumo di qualsiasi droga. Secondo l’Osservatorio europeo delle droghe e delle dipendenze, a sei anni dalla decriminalizzazione il consumo era rimasto sostanzialmente stabile. Anche oggi il consumo abituale in Portogallo interessa il 2,7 per cento della popolazione, sotto alla media europea (6,2%). La conclusione: “Non si osserva alcuna semplice correlazione fra cambi nella legge e consumo di cannabis”. Storicamente più elevato il consumo abituale nei Paesi Bassi, antesignani della legalizzazione e alle prese in passato con il “turismo dell’erba”. I consumatori che nel 2014 avevano fumato almeno una canna erano l’8,7%. Ma anche questo dato è in calo costante e inferiore a quello di Paesi più proibizionisti, come l’Italia (9%) e la Francia (11,1 per cento).
Quanto fa male la marijuana?
Molto meno di alcol e tabacco. Science Reports, rivista scientifica del gruppo Nature, nel 2015 ha valutato il tasso di mortalità legato alla marijuana. Il metodo: confrontare le dosi letali di ogni sostanza con quelle normalmente assunte da chi ne fa uso. Risultato: la marijuana risulta 114 volte meno mortale dell’alcol ed è l’unica fra le sostanze esaminate classificata come “a basso rischio di mortalità”. Ciò non toglie che la marijuana presenti seri rischi: intanto perché molti la consumano insieme al tabacco, danneggiando vie respiratorie e sistema cardiovascolare, e poi perché può aggravare problemi preesistenti di salute mentale (depressione, disturbi d’ansia, disturbi della personalità).
Un altro rischio viene dalla scarsa igiene della cannabis: l’analisi di 150 campioni sequestrati nel 2015, effettuata dall’Università di Berna, ha riscontrato nel 91% dei casi presenza di diluenti, pesticidi, metalli pesanti, sostanze da taglio, muffe, funghi e batteri.
Crea dipendenza?
A volte. La valutazione è difficile, un po’ per la “clandestinità” del consumo, un po’ perché non c’è un accordo chiaro sul concetto di dipendenza, caratterizzata da fattori fisici e psicologici difficilmente districabili. Il governo Usa ritiene che 1 consumatore su 10 sviluppi una forma di dipendenza, sebbene in generale i sintomi di un’eventuale astinenza risultino molto più lievi di quelli causati dalle droghe “pesanti.”
Una droga ‘di passaggio’?
Non è chiaro. Da un lato, la maggior parte dei consumatori di eroina ha effettivamente iniziato sperimentando la marijuana. Ricerche su cavie mostrano che la cannabis riduce la sensibilità dei recettori di dopamina, rendendo più probabile la ricerca e l’abuso di altre sostanze. D’altra parte il Dipartimento della sanità Usa, che ha effettuato la ricerca, aggiunge: “La maggior parte di chi consuma marijuana non consuma poi sostanze più ‘pesanti’. Il fenomeno della sensibilizzazione incrociata non interessa solo la marijuana”, ma vale anche per alcol e nicotina. Ci sono fattori più decisivi , quali il contesto sociale, predisposizioni genetiche e la disponibilità di altre droghe sullo stesso mercato illegale.
Adesso c’è più Thc di una volta?
Sì. Non esiste un dato universale; tuttavia la Confederazione rileva che “mentre negli anni Sessanta i prodotti della canapa contenevano meno del 3% di principio psicoattivo (tetraidrocannabinolo-Thc), oggi il suo tenore si aggira perlopiù tra il 10 e il 20%”. I sostenitori della legalizzazione notano che essa permetterebbe di produrre e consumare anche varietà più leggere. Uno studio americano mostra poi che i consumatori adattano le quantità utilizzate alla potenza.
Cosa succede al volante?
Guidare ‘stoni’ costituisce un pericolo. Ma mentre è relativamente facile capire quanto alcol è troppo per guidare, lo stesso non si può dire per la cannabis, i cui effetti sono legati a differenti processi metabolici. E, mentre i controlli permettono di riscontrare il consumo anche diverse settimane prima del test, c’è un dibattito aperto sui valori-soglia oltre i quali la guida risulta compromessa. In Svizzera, il valore-soglia è di 1,5 microgrammi di Thc per litro di sangue.
Cos’è la marijuana light?
È marijuana legale, contenente meno dell’1% di Thc. L’unico principio attivo rimanente è il cannabidiolo. Non si tratta di una sostanza psicoattiva: i suoi effetti sono blandamente calmanti, fra questi si menzionano spesso proprietà antiossidanti, anticonvulsivanti e ansiolitiche, ma mancano studi definitivi in materia.
Come siamo messi in Svizzera?
Secondo un sondaggio dell’Ufficio federale della sanità pubblica (2017), il 5,4% degli svizzeri ha consumato cannabis almeno una volta nei sei mesi precedenti. Fra gli 11mila intervistati il consumo risulta un fenomeno principalmente giovanile. Gli uomini sono i maggiori consumatori (7,6%; donne: 3,4%). Un fumatore recente di marijuana su cinque fa un “consumo problematico”. Un numero di persone ben inferiore rispetto a quello di chi abusa di alcol (250-300mila svizzeri). I consumatori problematici sono soprattutto uomini, nella fascia fra i 15 e i 34 anni, spesso tabagisti e inclini all’abuso di alcol. La Confederazione precisa che “ad oggi non esiste nella scienza e nella prassi una definizione universalmente valida di cosa si debba considerare consumo problematico di cannabis”. Di norma si usa un test che valuta la perdita di inibizioni, la “mancata soddisfazione delle aspettative sociali”, problemi di memoria e concentrazione, difficoltà a scuola o sul lavoro. La percentuale dei consumatori è stabile rispetto al passato.