Ideato dallo stesso Paolo Villaggio, nato come racconto a puntate poi divenuto libro, il Fantozzi cinematografico fu pensato dapprima per Renato Pozzetto e poi per Ugo Tognazzi, che declinarono l’invito del suo autore. Tra neologismi (“fantozziano”, per la lingua italiana, si dice di persona “impacciata e servile con i superiori”) e recenti citazioni (tra gli imputati di Calciopoli, intercettati al telefono, la parola d’ordine era “… è lei Fantozzi?”), la satira dei primi due atti colpisce le dinamiche aziendali, il logorio della vita moderna e il potere, dissacrato nei luoghi di lavoro e di svago, come il circolo del tennis, o il cinema d’essai teatro della grottesca demolizione della Corazzata Potëmkin, film che per la storia italiana non sarà più il capolavoro di Ejzenštejn, ma per sempre “una cagata pazzesca”. Il successo dei primi due capitoli si deve anche al genio di Luciano Salce, regista e fine umorista, artefice di una fedele ricostruzione degli estratti dal film sovietico che ancora sembrano materiale originale (in tempi non sospetti, prima di cotanto sarcasmo, “Fantozzi” ricevette in Russia un Premio Gogol come miglior opera umoristica del 1971).
Per l’innata caratteristica di parafulmine (così è raffigurato alla fine del secondo capitolo) e per via di un irreversibile destino che ha nella “nuvoletta dell’impiegato” la sua materializzazione, il Fantozzi impacciato e servile come vuole il vocabolario assurge ad eroe moderno anche per necessità e autodifesa, e non solo per congenita meschinità. Figura ripugnante e romantica allo stesso tempo, intorno al suo essere capro espiatorio ben prima del Sig. Malaussène ruota una fauna di vecchi ma sempre attuali mostri: l’opportunista Ragionier Calboni, il maldestro Filini, i megadirettori che gli storpiano il cognome, e poi la signorina Silvani, oggetto delle passioni extraconiugali del Fantozzi potenziale fedifrago, con la moglie Pina sempre disposta a perdonare (non tanto per amore, quanto – dichiaratamente – “per stima”). Tutti parte integrante della spietata caratterizzazione di un Belpaese che – visto oggi – sembra mutato soltanto nell’abbigliamento. E se Fantozzi è figurina tipicamente italiana, la galleria di posapiano, furbetti e leccapiedi è categoria senza confini che rende il Ragionier Ugo, a suo modo, universale.
Il Fantozzi cinematografico ha avuto uno sviluppo comune a trilogie, tetralogie e saghe, ovvero il progressivo impoverimento dei capitoli successivi. Ai due capolavori di tragica comicità si accoda soltanto il terzo atto (“Fantozzi contro tutti”), ma solo per la cifra comica, perché la storia è già passata dalle mani del cinico Salce a quelle del festaiolo Neri Parenti, padre dell’odierno cinepanettone tutto risate grasse. I capitoli dal quarto in poi includeranno – tra piccole e grandi assurdità - un’ascesa in cielo (“Fantozzi in Paradiso”), l’ubiquità storica (“Superfantozzi”) e l’anzianità (“Fantozzi va in pensione”). La clonazione del Ragioniere, affidata ad altri, sarà il non indimenticabile atto conclusivo. Più forte di una certa voglia di cassetta e di una tipologia di personaggio che è funzionata anche sotto altre spoglie (Fracchia in primis), il Ragioniere un po’ inflazionato si spegnerà nella macchietta ripetuta ad libitum, tra apparizioni tv e anniversari, fino al restauro dei primi tre capitoli della saga, avvenuta un paio d’anni fa. Proprio al 2015 risale il Fantozzi a noi geograficamente più vicino, quel Paolo Villaggio a tratti esilarante e a tratti confuso (“credo di stare lentamente rincoglionendo”, disse) che al Palacongressi festeggiò il suo personaggio nel monologo “A ruota libera”. Seppur orfano da ieri del suo creatore, dopo i molti finti necrologi e le molte morti smentite, il Ragionier Ugo gli sopravviverà, eterno e indistruttibile. Forse perché Fantozzi – sono parole di Villaggio – “è il più grande perditore di tutti i tempi”.