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Festival e lamentele

17 agosto 2016
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di Nicoletta Barazzoni

Solitamente chi si lamenta ha delle buoni ragioni per farlo ma il più delle volte o scarica le sue frustrazioni personali (unite a un’insoddisfazione patologica) su quanto sta per criticare oppure si lamenta perché non sta dalla parte dell’oggetto a cui sono rivolte le lamentele. Se chi si lamenta venisse cooptato in ciò che sta per demolire la smetterebbe di lamentarsi perché se lo facesse non avrebbe altra scelta se non quella di non più prendervi parte, e dunque abbandonare il progetto in discussione. Il Festival del film di Locarno come tutte le grandi strutture organizzative non potrà mai soddisfare tutti, ed essere quindi impeccabilmente perfetto. Lamentarsi senza portare delle controproposte alternative è un atteggiamento distruttivo fine a se stesso, che soddisfa semmai l’insano bisogno di spalare fango su una macchina organizzativa che raccoglie apprezzamenti ma è anche bersaglio di attacchi che non considerano il risultato d’insieme: portare attrattiva, radunare in un unico evento pubblici (volutamente coniugati al plurale) ma soprattutto risvegliare nel mese di agosto (periodo di particolare inattività produttiva) una città come Locarno, e il Cantone che sarebbero altrimenti assuefatti dall’apatia di un paesello a vocazione turistica. Senza dimenticare il significato intrinseco di un Festival, sinonimo di arricchimento e innalzamento culturale, e luogo deputato e privilegiato in cui l’arte del cinema trova respiro e riconoscimento. Sempre meglio del peggio. Orbene va bene lamentarsi ma se lo si vuole fare o si individuano approcci diversi nell’organizzare un Festival e si fanno proposte concrete su come migliorare l’ingranaggio oppure si definiscano alternative valide che non siano i bagordi serali o la movida che fa da corollario alla parte più cinematografica. Perché lamentarsi di un evento che porta una marea di appassionati e curiosi, di produttori, attori, registi, investitori, scenografi, è come invocare la danza della pioggia. Il Festival si autoproclama un avvenimento proprio per il fatto in sé, senza il quale Locarno sarebbe una città anonima, che 69 anni fa viveva nel suo letargo, culturalmente e internazionalmente parlando. Certo la scelta artistica di questo direttore può non piacere, possono non essere piaciuti i film, possono non convincere i film premiati ma questo non significa che sia tutto un fallimento su tutta la linea. Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli, anche se spesso i tromboni lamentosi, litigiosi e arrabbiati sono quelli che non muovono un dito per cambiare le cose. Di iniziative allettanti al Festival ce ne sono, come ci sono privati cittadini proprietari di piccole attività culturali e commerciali che si danno da fare. Locarno poi (da luganese) mi ricorda angoli di sublime bellezza di mondi lontani, dove il tempo ha vinto la sua battaglia contro ogni tentativo di cancellare il passato. Locarno valorizza la sua storia e non la demolisce. La lascio ogni anno nel tempo e la ritrovo intatta, con i suoi negozi arredati e originali, differenziati dal design sono piccoli angoli di creatività. Poi ci sono i suoi vicoli che si incrociano e formano una rete di meravigliosi sguardi. Quando qualche cosa al Festival di Locarno non mi convince mi lascio catturare dal piacere di vedere la gente radunata in piazza, o semplicemente me ne sto in disparte a immaginarmi come sarebbe tutto questo senza il Festival. E se dovessi iniziare a lamentarmi perché sono insoddisfatta cercherei altrove il piacere di colmare quel vuoto che mi attanaglia perché non vorrei diventare un’eterna scontenta che si nutre di risentimento per non essere parte attiva nel Festival. Inoltre il contenuto della lamentela non porta nulla di intellettualmente evolutivo per la ricerca di nuove soluzioni e di nuove coscienze. Lamentarsi vuol dire restare immobili.