Nel primo paragrafo della Critica del Giudizio, Kant scrive: “non ci sono che due tipi di concetti che permettono altrettanti principi diversi della possibilità dei loro oggetti: cioè i concetti della natura e il concetto della libertà”. Questa distinzione sembra portare a risultati che, se non sono contraddittori, sembrano comunque rinviare a una tensione straordinariamente problematica. Quando Kant mostra nella prima Critica (Critica della Ragion Pura) quali sono i fondamenti essenziali della nostra conoscenza scientifica del mondo, arriva a un risultato che si può definire naturalistico. Quando però, nella seconda Critica (Critica della Ragion Pratica), Kant si concentra sull'azione umana e quindi sulla sfera della realtà non soggetta alle leggi della natura, ma alla libertà, egli giunge a un risultato che può essere letto come antinaturalistico. La Critica del Giudizio è in un certo senso l'opera in cui Kant cerca di uscire da questo dualismo. E questo implica una sorta di revisione del concetto di natura rispetto alla Critica della Ragion Pura. In particolare, nella discussione della finalità naturale Kant apre la strada a una concezione della natura che non è semplicemente una oggettività che sta di fronte a un soggetto. Con il concetto di fine naturale, Kant pensa qualcosa che potremmo chiamare una soggettività della natura o, per usare un termine oggi molto usato, un'agency naturale.