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Uno splendido inganno

(Ti-Press)

"Non abbiamo mai detto che l’apertura della formazione al Dfa (ogni tre-cinque anni circa, nda) garantisse un posto di lavoro".

Quando torno a Lugano, e in particolare nel quartiere in cui sono nato e cresciuto, devo stare molto attento ai miei comportamenti da automobilista, perché la mia memoria stradale cozza con i cambiamenti del sistema viario che hanno trasformato la città. Per me è ancora oggi innaturale girare a sinistra in via Buffi, a destra in corso Pestalozzi. E se non ci fossero i cartelli a ricordarmi che le cose sono cambiate, e che rischio una salata contravvenzione, credo che la città della mia giovinezza prevarrebbe.

È questa la inopportuna, ipocrita posizione che hanno assunto il direttore della Divisione della scuola e il direttore del Dfa, in particolare nelle persone dei signori Alberto Piatti ed Emanuele Berger, quando giustificano lo splendido errore di previsione e calcolo che ha stroncato in pochi secondi i legittimi sogni e investimenti anche economici di tredici potenziali docenti di italiano del settore medio superiore.

È infatti la prima volta, come gli stessi Berger e Piatti ammettono, che chi segue la formazione offerta dal Dfa non sarà, quasi automaticamente o in pochi anni, inserito nel mondo della scuola. Lo sbaglio di valutazione, dunque, è gargantuoso; dichiararsi dispiaciuti, insufficiente. Soprattutto se, a propria discolpa, vengono aggiunti argomenti ancora più inaccettabili, almeno per chi la formazione l’ha seguita e ne ha memoria viva. Perché dire che il Dfa offre una formazione di livello accademico, alla luce delle debolezze formative che sono state con regolarità lamentate dai suoi frequentatori, ma anche della quasi totale mancanza (almeno per italiano) di alternative a livello svizzero, è come dire che il campionato svizzero di calcio è il migliore della Svizzera. Aggiungere poi, dulcis in fundo, che il Dfa non prepara i docenti solo per le scuole ticinesi è ancora più surreale, fastidioso, a meno che non si produca immediatamente una dimostrazione oggettiva che questo è avvenuto con una certa regolarità. Che io sappia, e spero di sbagliare, ciò non si è praticamente mai verificato; salto perciò sulla sedia quando il direttore Piatti, invece di chiedere pubblicamente scusa alle tredici persone che per sua co-responsabilità non avranno ore di insegnamento, adduce argomenti che hanno il sapore delle scritte minuscole e semi-invisibili apposte in fondo ai contratti o ai bugiardini.

A mio modo di vedere questo sbaglio – non il primo in cui incorrono i vertici del Decs in questi mesi – rende necessarie delle riflessioni profonde. L’errore che è stato commesso può essere archiviato come lapsus, oppure nasconde la necessità, per chi dirige e lavora al Dfa, di assicurare il proprio lavoro? Alla luce dei cambiamenti demografici, dunque del diminuito compito di integrazione dei docenti nella scuola, è ancora necessario investire risorse pubbliche in un istituto formativo che, per sua stessa ammissione, non ha il compito di garantire l’accesso diretto a un impiego nella scuola? E inoltre, quali sono le responsabilità del Decs, quali quelle del Dfa? Quali quelle amministrative, quali quelle politiche?

Mi auguro veramente che le persone coinvolte possano sentire il dovere di fornire risposte a queste domande, perché se dovessi essere multato per avere indebitamente svoltato a sinistra in via Fusoni, in assenza del cartello di divieto, la contravvenzione risulterebbe legale, ma ingiusta. E l’ingiustizia è proprio ciò che le istituzioni dovrebbero evitare.