Quarant’anni dopo ‘Wild Boys’ e un piede rotto, di nuovo all’Ariston tra i nostalgici dei favolosi anni Ottanta e chi ancora sposerebbe Simon Le Bon
Facendo il verso a Elvis, frontman come lui, Simon Le Bon prova il microfono della sala conferenze accennando due classici con i quali potrebbe essere cresciuto, ‘My Baby Left Me’ e ‘Be-Bop-a-Lu-La’. La sua voce scalda i cuori dei cinquanta/sessantenni della sala, paninari, ex paninari e non. Ma al Roof dell’Ariston non c’è l’isterismo delle grandi occasioni, forse perché i quattro seduti al bancone sono ancora in splendida forma, in direzione ostinata e contraria all’effetto nostalgia che ci fa immaginare le rockstar com’erano e non sono più.
Insomma: Simon, Nick (Rhodes), John e Roger (Taylor) non sono ancora la caricatura di loro stessi e nemmeno paiono tendere a diventarlo. A chi chiede loro come siano riusciti a durare così tanto, i Duran Duran, nomen omen, spiegano che il segreto è tutto nelle acconciature: “Non è mai mancato il giorno in cui io non abbia detto a Simon ‘ma che pettinatura fantastica hai!’”, dice John. “Ma anche lui – aggiunge il bassista – ha sempre fatto lo stesso con me. Perciò sì: credo che il motivo per il quale siamo ancora qui a quarant’anni da ‘Wild Boys’ dipenda anche dai capelli”. Con parole più da tastierista, così la spiega Nick: “Amiamo quello che facciamo, portiamo con noi una dinamica chiamata ‘gioia’, di cui la gente ha estremo bisogno”.
Nell’inverno del 1985, quando i Duran Duran scombussolarono la città, il giovane Dj Carlo Conti era arrivato a Sanremo sull’ormai nota Fiat 127 arancione e con il registratore in spalla dava la caccia ai ‘nuovi Beatles’ (tutte le band inglesi vengono chiamate ‘I nuovi Beatles’ quando diventano famose). Lo faceva in nome e per conto di una radio privata fiorentina, provando a raccogliere quei saluti – “Ciao, siamo i Duran Duran e state ascoltando…” – che ancora oggi sono un tesoro per le emittenti grandi e piccole. Il destino volle che i Duran Duran gli negarono il saluto e che tornino quest’anno per risarcire il danno emotivo.
“Nel 1985 eravamo veramente dei pazzi”, ricorda Simon al Roof. “Non eravamo ancora così famosi, stavamo diventando davvero grandi e la gente iniziava a volerci bene. Mi ricordo uno stuolo di ragazzini e ragazzine sui motorini che c’inseguivano impazziti, indipendentemente da dove andassimo o cosa facessimo. Ricordo anche il conduttore di quell’edizione, Pippo Bello. Lavora ancora? È ancora vivo?”. Giusto il tempo di cambiare Bello in Baudo, ed essere aggiornati sulla condizione di vivente dello stesso, e l’incontro può proseguire.
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Al Roof
Nel febbraio del 1985, l’Hotel Royal di Corso Imperatrice, che Repubblica in quei giorni definì “un presidio militare”, ospitava i Duran Duran e il relativo strascico di giovanissimi col naso in su, occhi puntati verso le finestre delle camere. Niente di diverso da quel che succede oggi sotto l’Hotel Des Anglais, casa dei rapper che per isteria collettiva rallentano il traffico, o davanti all’Hotel Globo, a due passi dall’Ariston. Una chiara ricostruzione degli appostamenti giorno e notte sotto l’hotel nel 1985 la danno Clive Griffiths e Rick Hutton, voci e volti di Videomusic – compianto canale di musica anche e soprattutto dal vivo – nel libro ‘Videomusic: i nostri anni Ottanta’. Griffiths racconta di conoscere a memoria le liriche di ‘Save a Prayer’ perché le fan dei Duran Duran avevano cantato quella canzone per tutta la notte sotto le finestre del Royal. Come a Wimbledon, dove i fan del tennista di casa si accampano lungo la strada che conduce all’England Lawn Tennis and Croquet Club per trovare posto sul Centrale la mattina dopo, anche a Sanremo gli/le irriducibili attesero nell’alba dell’inverno per garantirsi un posto non autorizzato alla conferenza stampa del giorno successivo, indetta nella hall dell’albergo. Ma alla conferenza Simon Le Bon non si presentò…
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Young and famous
“Quella sera – racconta il Simon Le Bon del 2025 al Roof – avevo deciso di uscire a fare una passeggiata verso la massicciata del porto. È successo che sono scivolato tra due rocce abbastanza appuntite e mi sono rotto il piede. Allora ho mandato giù della vodka e più ne bevevo e meno sentivo male. Ma il male è rimasto. Il giorno dopo dovetti andare all’ospitale (citiamo l’originale, ndr) perché non riuscivo a stare in piedi per il male. Mi misero un tutore e mi diedero un bastone, per quello zoppicai per tutto il Festival”. Raccontata alla maniera del gossip, sugli scogli della riviera di Sanremo, il bel Simon ci sarebbe andato con la bella veejay Kay Rush di DeeJay Television, cui si devono tante delle interviste a Sanremo di quei giorni. Quella notte, una fan della band avrebbe visto i due scambiarsi ‘Cuoricini’, per dirla con i Coma_Cose, e avrebbe riferito tutto alla stampa. La mattina dopo l’affaire era di dominio pubblico. Ma Rush non ha mai confermato il momento amoroso e quindi la verità – per il momento e forse per sempre – resta quella del Le Bon adulto.
Per completezza d’informazione, sul palco dell’Ariston per cantare ‘Wild Boys’ – il mantra di Ezio Braschi, il paninaro del Drive In – Le Bon ci andò con l’outfit da pronto soccorso. Per non farsi mancare nulla, fece pure cadere il microfono rivelando il playback, modalità di esibizione sconosciuta forse a pochi sognatori e che solo un anno prima aveva mandato su tutte le furie Freddie Mercury, all’Ariston con i Queen, che in segno di protesta con gli organizzatori cantò buona parte di ‘Radio Ga Ga’ col microfono molto lontano dai baffetti. Rhodes, a chiudere sul Festival: “Sanremo contiene ancora l’atmosfera degli anni Ottanta. Non posso dire quando abbia iniziato ad assumere queste caratteristiche, so che gli artisti, le band, i media ancora alimentano un fermento che trovo sempre interessantissimo. Il rapporto con la musica è il medesimo che si percepiva negli anni Ottanta e questa cosa non può che farci felici”.
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Correva l’anno
Alla fine di tutto questo andare e venire dal passato al presente, è Nick a mettere un piede in un futuro che va oltre la band: “Nessuno di noi avrebbe potuto prevedere un cambiamento così grande nella musica. Non parlo solo dei prodotti fisici che non si usano più, ma anche del fatto che i ragazzini hanno migliaia di canzoni sui telefonini. È qualcosa di mai successo prima e fa bene alla musica, si dà la possibilità a tutti di accedervi e fa bene, paradossalmente, anche a chi produce ancora album, perché fare album significa ideare copertine, concept grafici”. Perché “tutto questo gioca a nostro favore: se siamo ancora musicalmente vivi, lo dobbiamo a questo”.
Chiude Le Bon, per un futuro ancor più prossimo, questa volta con un’allerta: “È già esistita la prima canzone prodotta dall’Intelligenza artificiale (Ia), siamo arrivati molto vicini al momento in cui alla radio e alla tv, ovunque ascolteremo musica creata dalla macchina e non dall’uomo. Nel Regno Unito si è già dato il permesso a una azienda di ‘grattare’ stile, testi e musica senza riconoscere la controparte all’artista, che non ha diritto ad alcuna royalty. Dobbiamo far sentire la nostra voce se non vogliamo che la musica sia prodotta da mani che non sono umane”.
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Con Victoria
Al Roof c’era anche il batterista Roger Taylor. È stato lui a farsi tramite delle condizioni di salute di Andy Taylor, chitarrista (i Taylor dei Duran Duran non sono parenti). “Sta combattendo con tutte le sue forze un cancro alla prostata allo stadio 4, metastatico. Lotta come un leone, siamo con la mente e il cuore vicino a lui”.
Poche ore dopo, i quattro sono sul palco dell’Ariston. La galleria, quella degli aspiranti suicidi dei tempi di Pippo Bello, ha già avuto i suoi momenti di gloria (ovazione a Brunori Sas) ed è tanto più calda della platea che, per introdurre i Duran Duran sul palco, Carlo Conti sale al piano di sopra; sotto c’è un palco pieno di microfoni perché si suonerà dal vivo, e una voce straniera dice “one more minute”: la prima è ‘Invisible’ dal 2021, ma la seconda è ‘Notorius’ e le un tempo giovani fan di Simon Le Bon sono tutte uno smartphone. Sfila la splendida ‘Ordinary World’, poco dopo ‘Girls On Film’, il basso raddoppia con Victoria dei Måneskin su ‘Psycho Killer’. Le Bon è in voce, gli anni Ottanta fanno l’inchino su ‘Wild Boys’ e il resto è tutto per Katia Follesa con in mano il cartello ‘Sposerò Simon Le Bon’, in nome e per conto di tutte quelle che Le Bon volevano sposarselo e se lo sposerebbero ancora (per il bacio si rimanda a YouTube).
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È tutto come prima