‘Da francescani a gesuiti’, ha commentato il fondatore su WhatsApp nei minuti della fatal consultazione. Una sferzata da battutista della prima repubblica
“Vasto programma”, rispose memorabilmente Charles de Gaulle a un ottimista che dopo un comizio gli aveva gridato: “Mort aux cons!”. Restando al turpiloquio, vastissimo era anche il programma incapsulato nel tonante “vaffanculo” con cui Beppe Grillo e i 5Stelle si affacciarono alla ribalta, a partire dal V-day del 2007: trasformare l’Italia, “un Paese dove sono accampati gli italiani” secondo l’immortale definizione di Flaiano, in una via di mezzo tra una socialdemocrazia scandinava con le ciclabili e le borracce in bambù, una start-up della Silicon Valley e la fattoria degli animali di Orwell.
Spiace rilevare, quindi, che la ‘Costituente’ di questi giorni ricorda più che altro una grande assemblea di condominio, col vecchio proprietario che non si presenta ma prepara le lettere in avvocatese per presentare ricorso, e i condomini che non sanno bene se discettare sui massimi sistemi della rappresentanza oppure occuparsi delle cantine che si stanno allagando.
Muore Sansone, Beppe Grillo, rimosso per votazione dalla posizione di garante, con tutti i filistei che avrebbe dovuto salvare dall’accidia e dalla corruzione col limite dei due mandati, cassato anch’esso. “Da francescani a gesuiti”, ha commentato il fondatore su WhatsApp nei minuti della fatal consultazione. Una sferzata da battutista della Prima Repubblica, degna di Andreotti in Transatlantico o di Fortebraccio su l’Unità, che attesta che i bei tempi del parlamento da aprire come una scatoletta di tonno sono davvero alle spalle. Certo fa impressione vedere l’antipartito che doveva scardinare la distinzione tra destra e sinistra arrovellarsi sulla semantica di “progressista”, sulla pragmatica di “alleanza”, sulla sintattica di “Wagenknecht” (Sahra, sponda rossobruna in Germania che Conte incontrerà questa settimana). Perfino l’idea di lanciare una “costituente” richiama certi psicodrammi al rallentatore, certi processi bizantini e inconcludenti per i quali i Cinque Stelle, fino a una decina di anni fa, erano soliti farsi beffe del Pd. Dall’Eur, a Roma, dove militanti e dirigenti sono riuniti in questi giorni, assicurano che questa non è la fine ma l’inizio di qualcosa, e forse hanno ragione: nella sua pur breve storia il Movimento ha letto più volte sui giornali il proprio necrologio, divertendosi poi a smentire la notizia come grandemente esagerata. Ma se è vero, come scrisse Sartre, che la purezza è un’idea da fachiri, si ha la sensazione che il Movimento delle origini e molti dei suoi interpreti siano rimasti infilzati, stavolta definitivamente.
C’è un fattore umano da non sottovalutare: la sostanziale espulsione di Grillo è stata accolta dalla platea con un boato, che i bene informati riferiscono aver profondamente offeso il fondatore. Il suo fedelissimo Paolo Becchi, aspirante eminenza oscura che del Rasputin ha perlomeno la barba, lo ha pubblicamente incoraggiato – se si andrà fino in fondo – a battersi nelle sedi adeguate per negare nome e simbolo al “partitino” di Conte, che dal canto suo pare tentato di liberarsene spontaneamente. Che contrappasso, celebrare la propria Bolognina nel 2024 con Giuseppe Conte nella parte di Achille Occhetto!
“Discutono del proprio destino senza capire che dipende dalla loro natura. Risolvano il problema della loro natura, e avranno chiaro il proprio destino”, ammonì all’epoca i postcomunisti Norberto Bobbio. Forse è un consiglio di cui dovrebbero fare tesoro anche i pentastellati, che sulla politica estera e sull’immigrazione, sull’economia e sull’Europa sembrano al momento avere le idee ancor più confuse che sul nome.