Moriva esattamente cent’anni fa uno dei più significativi pionieri del gioco del calcio, ideatore delle norme di base e fondatore della FA
Se oggi centinaia di milioni di persone nel mondo – o forse addirittura miliardi – amano il football, è soltanto grazie al lavoro e alla lungimiranza di Ebenezer Cobb Morley, l’entusiasta appassionato di sport di cui oggi ricorrono i cent’anni dalla morte che, attorno alla metà dell’Ottocento, iniziò a elaborare idee per codificare e uniformare il gioco con la palla rotonda, che in tempi lontani ben poco si differenziava da quello praticato con la palla ovale, cioè il rugby, dal quale per molti aspetti derivava.
Sopratutto, Morley auspicava che quella nuova disciplina – che andava diffondendosi velocemente ma purtroppo con una moltitudine di varianti scolastiche, regionali o addirittura rionali che creavano enorme confusione – si affrancasse da quegli aspetti che rendevano – e tuttora rendono – il rugby uno sport basato sulla forza bruta: nella sua visione, il football avrebbe dovuto profilarsi infatti come un gioco fondato su abilità, strategia e correttezza.
Forse, a scatenare in Morley il bisogno di un regolamento il più possibile condiviso – che desse al gioco maggior dignità e più credibilità – erano stati gli insegnamenti del padre, un ministro della Chiesa piuttosto anticonformista ma pur sempre rispettoso di canoni e leggi. Oppure, a spingerlo all’elaborazione di un codice più restrittivo per il football furono il suo mestiere di notaio e la sua dimestichezza con leggi e prescrizioni.
Fatto sta che, dopo aver fondato ancor giovanissimo alcuni club di canottaggio e qualche regata che diverrà poi tradizionale, è al gioco del pallone, al suo perfezionamento e alla sua diffusione che volle dedicare gran parte del suo tempo libero e della sua vita, che durò la bellezza di 93 anni, fino a quando si spense il 20 novembre del 1924, vale a dire esattamente cent’annni fa.
Nato nell’agosto del 1831 a (Kingston upon) Hull, rimase nella sua città dello Yorkshire fino all’età di 27 anni, quando decise che – se davvero voleva dare al gioco la fisionomia che si era ripromesso di conferirgli – avrebbe dovuto trasferirsi a Londra, che all’epoca era davvero il centro del mondo. E, in quanto tale, la capitale dell’Impero britannico gli avrebbe certo consentito di continuare a svolgere senza problemi pure la sua solita professione nel campo del diritto.
Sulle rive del Tamigi, si iscrisse al Barnes Club – sodalizio già attivo nel cricket e nel canottaggio – e creò la sua emanazione calcistica nel 1862. Nemmeno un anno più tardi, in qualità di capitano della squadra, Morley scrisse al Bell’s Life, uno dei settimanali sportivi più in voga, per lanciare un appello: cercasi volontari per fondare un gremio che abbia il compito di fissare regole comuni a quel passatempo diventato in pochi anni così popolare.
A rispondere alla chiamata fu un buon numero di rappresentanti di vari circoli di Londra e altre città, che il 26 ottobre 1863 si riunirono alla Freemason’s Tavern per dar vita alla Football Association, la mitica FA, evento fondamentale nella storia del gioco che tutti noi adoriamo.
Oltre a quelli del Barnes, a battere i boccali di birra per suggellare l’intesa al termine della serata furono i tesserati di Blackheath (i più restii a bandire le giocate violente), Percival House, War Office, Crusaders, Forest of Leytonstone, Kensington School, Crystal Palace e No Names Club of Kilburn. Sempre siano lodati, tutti loro, compresa la Charterhouse School, benché il suo delegato abbia infine rifiutato di sottoscrivere gli accordi.
Raccogliendo le sollecitazioni dei suoi sodali, e proponendo suggestioni a sua volta, Morley riuscì in breve tempo a stilare una lista di 13 regole – atte in primo luogo a ridurre la violenza – che diverranno la colonna vertebrale del calcio come lo conosciamo oggi.
A essere finalmente codificati furono aspetti come le dimensioni del campo e la durata delle partite, il numero di giocatori, il tipo di interventi da punire e quelli invece da tollerare, senza dimenticare la fondamentale norma del fuorigioco, che da lì in avanti avrebbe impedito ai partecipanti di stazionare davanti alla porta nemica in attesa del pallone. Ma, soprattutto, veniva definitivamente messa fuorilegge la possibilità di raccogliere la sfera con le mani e di involarsi tenendola stretta al corpo verso la rete nemica, come il rugby insegnava a fare.
Altre norme ebbero invece vita breve, o vennero a loro volta mutate, come quella che obbligava le squadre a cambiare campo dopo ogni gol segnato o quella che – in assenza della traversa – consentiva di marcare punti calciando la palla a qualsiasi altezza, basta che si infilasse fra i due pali o il loro immaginario prolungamento. Soprattutto però, come detto, il regolamento unificato limitava parecchio i contatti fisici, che fin lì erano invece stati largamente tollerati: fu trovato un compromesso, consentendo a tutti di continuare pure a scalciare liberamente gli avversari, a patto che lo si facesse soltanto sugli stinchi.
Ciò che conta è che quel primo regolamento, modificato nei decenni soltanto in alcuni dettagli, fu il medesimo che venne poi adottato nel 1904 dalla neonata Fifa. Il testo originale di quel primigenio regolamento assunse in seguito un’importanza tale che, nel 2013, in occasione del 150° anniversario della FA, venne esposto alla British Library di fianco alla Magna Charta e ai più significativi lavori di Shakespeare.
In occasione dei successivi incontri di quel lontano autunno del 1863 – che nel giro di poche settimane, grazie al contributo del Dipartimento sportivo della Cambridge University, portarono a un ampliamento del codice fino a 23 articoli – Ebenezer Cobb Morley fu nominato dapprima segretario della FA Ricoprirà quella carica per tre anni, durante i quali il numero dei club membri crebbe esponenzialmente, per poi diventare presidente fino al 1874, periodo in cui, oltre a istituire la celeberrima FA Cup, tentò fra l’altro, senza fortuna, di abrogare la regola dell’offside che lui stesso aveva tanto brigato affinché venisse adottata.
Ma non pensiate che il nostro si limitasse a studiare norme e firmare scartoffie, tutt’altro: giocò tutte le prime partite ufficiali delle rappresentative della FA disputate sotto l’egida del nuovo regolamento, in una sorta di tournée che, per alcuni anni, batté le Isole Britanniche portando ovunque il nuovo verbo. Senza trascurare ovviamente gli altri passatempi all’aria aperta di cui fu sempre fedele appassionato.
Oltre al canottaggio, attività che praticò quotidianamente in ogni stagione fin oltre gli ottant’anni da socio e dirigente di una manciata di club, il vecchio Ebenezer adorava la caccia alla volpe, per la quale addirittura delirava, tanto da allevare in proprio – nel corso della sua lunghissima vita – un’infinità di mute di beagle.
Come detto, Ebenezer Cobb Morley, un uomo a cui ogni appassionato di pallone dovrebbe rivolgere un ringraziamento e accendere un cero ogni mattina, morì cent’anni fa, quando il gioco – per molti versi – ancora albergava nel pleistocene, un’epoca in cui, ad esempio, la Coppa del mondo ancora non era stata nemmeno immaginata.
La sua figura di padre del calcio moderno e della FA, che definire fondamentale sarebbe riduttivo, è però purtroppo meno considerata di quanto meriterebbe, se non addirittura ormai del tutto dimenticata.
Colpa, forse, del fatto che non ebbe figli e dunque nemmeno eredi. Sta di fatto che la targa commemorativa che stava appesa sulla casa dove il pioniere redasse la prima stesura delle regole del gioco più bello del mondo è caduta nel 2015 quando l’edificio subì una ristrutturazione, e non fu mai rimpiazzata. Mentre la lapide della sua tomba, insieme a molte altre, è ormai crollata – o sta per farlo – nel cimitero abbandonato di Barnes, nel sud-est di Londra.