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Le gattare di Kamala e le mucche del Wisconsin

Nel campus della città universitaria di Madison l'85 per cento sta con Harris. Il suo comizio sta lì a dimostrarlo, nel bene e nel male

Harris in mezzo a giovani fan
(Keystone)

“Ogni persona che conosco con in casa più di sei libri, letti, e non usati solo per coprire gli spazi vuoti tra i soprammobili, vota Kamala. Io qui ne ho migliaia. Per chi vuoi che voti?”. Sto parlando a un piede appoggiato a un bancone con dietro foto di cani, vecchi volumi e un poster di Harris che sorride con la scritta “Insieme possiamo vincere”. Collegata a quel piede, dietro a uno scaffale, c’è la voce e anche il resto del proprietario di Paul’s Bookstore, storica libreria indipendente che s’affaccia sul corso centrale del campus della Wisconsin University.


R. Scarcella
Parlare con un piede in una libreria

Se si votasse solo qui, non proprio nella libreria, ma tutt’intorno, a Madison, capitale del Wisconsin, non ci sarebbero dubbi su chi vincerebbe le elezioni in uno dei più delicati tra i sette Stati in bilico. “Tra gli studenti del campus l’85% vota Harris, solo il 15% sta con quell’altro”. Quell’altro è, ovviamente, Trump. A parlare così, su una sedia da regista che troneggia su un giardino rialzato della piazza della Memorial Library e in testa uno strano cappello con la scritta “Vote” appiccicata con un nastro adesivo, c’è Steve. Possono sembrare numeri buttati a caso, ma è davvero così: quattro anni fa, nella contea di Dane, di cui Madison fa parte, Biden e la sua vice Harris vinsero con oltre il 75 per cento.

Mentre parliamo, un signore avanti con l’età, con un cappellino da baseball della Norvegia e sulla giacca un paio di spille pro Harris, si avvicina a Steve: “Ho appena convinto un repubblicano”, dice con un sorriso largo e soddisfatto, di quelli che siamo abituati a vedere sulle facce dei bambini davanti a un regalo inaspettato.

L’uomo che converte i repubblicani si chiama Per e arriva davvero dalla Norvegia, come il cappellino. Lui e la moglie Sara (una specie di groupie di Harris, stracolma di gadget) hanno già votato, sfruttando la possibilità dell’Early Voting: “Così usiamo gli ultimi giorni a disposizione per convincere gli altri”. Con loro salgo su uno dei pullman che il Partito democratico ha messo gratuitamente a disposizione per raggiungere il Veterans Memorial Coliseum, un’arena da diecimila posti nella periferia cittadina dove Harris terrà un suo comizio preceduta da politici locali e – soprattutto – alcuni cantanti e band in grado di attirare i più giovani: tra cui i Mumford&Sons, due dei The National (gli altri tre sono malati? Avevano judo? Suonano per Trump? Non si sa) e Gracie Abrams, che – pur meno popolare – si rivelerà la più capace a emozionare il pubblico, con e senza musica.


R. Scarcella
Steve, ‘l’uomo del voto’

Le suffragette e Hillary Clinton

Sul pullman, strapieno di giovani, c’è solo un’altra persona che ha superato i 40 anni: è la coordinatrice Anna, che prova a forzare l’entusiasmo degli universitari con vecchi cori da gita scolastica che ricevono solo timide risposte. Risentita, si mette a parlare con un ventenne, ricordandogli come “ai suoi tempi” il mondo degli studenti non era per nulla coinvolto. “Noi giovani stavamo fuori dalla politica e nessun adulto ci spiegava quanto votare fosse importante”. La sua prima volta, nel 2004, fu il democratico John Kerry, che provò a ostacolare la rielezione di George W. Bush con grandi speranze nei sondaggi e poi nessuna nel mondo reale nonostante una perfetta faccia da presidente.

Arrivati a destinazione, a due ore dall’apertura delle porte, scopriamo che la coda è ben più lunga del previsto e gira come un serpente lungo gli hangar che circondano l’arena. Qui è dove è impossibile non rendersi conto di una cosa: il numero sproporzionato di donne. Ci sono le nuove suffragette con tanto di storica fascia viola, bianco e oro e la scritta “Votes for Women” e c’è un’armata forse ancor più agguerrita e numerosa, quella delle “Childless Cat Ladies for Kamala”, ovvero “le gattare senza figli”. Così JD Vance, il candidato vicepresidente di Trump, etichettò Kamala Harris pensando di denigrarla, senza rendersi conto che le stava facendo un grande favore regalandole uno slogan vincente.


R. Scarcella
Orgogliosa ‘Gattara senza figli’

Bambine, adolescenti, ragazze, madri, nonne: ci sono tutte e tutte si sentono parte di una svolta imminente, quasi inevitabile a sentir loro. Ashley, una delle tante a esibire con orgoglio un gatto sulla maglia, rivendica un’appartenenza che va al di là dell’amore felino: “Otto anni fa votai Hillary Clinton senza convinzione. Tante non la sostennero perché era una donna che non rappresentava le donne. Ogni volta che sorrideva, rivedevo il volto del peggiore tra i maschi, l’approfittatore”. Ashley non lo sa, ma sta citando un cantante che parla una lingua di cui conosce appena qualche parola presa dal menù, il Roberto Vecchioni di ‘Voglio una donna’, quella dove lei è “stronza come un uomo, sola come un uomo”. E Harris? “Non è Taylor Swift, ma va benissimo. È una di noi”.

Occupy Wc

Man mano che il palazzetto si riempie, le donne sono talmente tante che alla fine occupano sia il bagno degli uomini che le loro orecchie, con una scaletta musicale quasi tutta al femminile, da Aretha Franklin (‘Respect’) a Cindy Lauper (‘Girls Just Want to Have Fun’), da Whitney Houston (‘I Wanna Dance with Somebody’) a Shania Twain (‘That Don’t Impress Me Much’). Sul palco apre le danze il deputato al Congresso Mark Pocan, uno che indubbiamente sa come scaldare le folle. Intorno spuntano cartelli, bandiere americane e un grosso striscione con scritto “Freedom”. A ognuno di noi è stato consegnato uno di quei braccialetti colorati che di solito ti danno ai concerti, non a un comizio: si illumina a intermittenza di rosso, bianco e blu. I democratici hanno organizzato una grande festa e – bisogna ammetterlo – gli è venuta bene. La usano come spot, vendendo quell’entusiasmo a chi guarda dalla tv, a chi leggerà su Internet e sui giornali, sperando di convincere chi oggi dispone del bene più prezioso: il voto.


R. Scarcella
La fila delle donne nel bagno degli uomini

In attesa di Harris, è – come detto – Gracie Abrams a scaldare il pubblico mentre canta e quando usa il microfono per parlare: di equità, integrazione, senso di comunità, dignità, ma – soprattutto – dell’importanza della “basis decency”, quel “minimo di decenza” che Trump ha dimostrato a più riprese di non avere, abbassando sempre più l’asticella man mano che il 5 novembre si avvicina.

Quando una quasi-sosia di Harris sale sul palco (stessa altezza, stessa carnagione, stesso taglio di capelli) per un’ultima prova (luci, sicurezza e chissà che altro) e un bodyguard con movenze da film di spionaggio attacca lo stemma vicepresidenziale sul podio si capisce che è arrivato il momento di Kamala, che in questi mesi ha acquisito sicurezza nell’andatura e nell’eloquio.


R. Scarcella
Spille elettorali

Ricorda i due anni passati da bambina proprio a Madison, dove i genitori lavoravano all’università, strappando il più facile degli applausi: da lì è un crescendo interrotto solo dai fischi, molto americani, a Trump, ogni volta che lei lo evoca. Sul finale, chissà se per stanchezza o per emozione le esce fuori un difetto del passato, quella voce stridula da vecchia zia delle pièce teatrali (simile in tutto per tutto – per chi la ricorda – alla tonalità raggiunta da Janice, la fidanzata di Chandler, in ‘Friends’). Glielo perdoneranno, come le hanno perdonato una descrizione del tutto favolistica del suo eventuale quadriennio alla Casa Bianca, perché l’amore è così, e lì ad ascoltarla c’erano soprattutto gli innamorati.

Prima accecati, poi bagnati

Dopo quattro ore di show accecante da ogni punto di vista, il ritorno alla normalità è uno shock. Non se n’era accorto nessuno, ma fuori piove così forte che si è allagato tutto. In alcuni punti l’acqua arriva quasi alle caviglie, mentre molti non solo non hanno la giacca, ma nemmeno un maglione o una felpa (mai vista così tanta gente vestire leggera in un posto così freddo e ventoso) con cui limitare i danni.


R. Scarcella
Gli spalti dell’arena di Madison

Chi ha l’auto si arrangia come può, tutti gli altri si ritrovano a fare un’altra lunghissima fila in attesa dei bus che dovrebbero riportarli in città, ma che non arrivano. Addirittura, alcuni inservienti si dicono dubbiosi sul fatto che ci siano. E invece ci sono, o meglio, ci saranno, ma nessuno sa quanti e quando. Il primo arriva dopo una quarantina di minuti che sotto l’acqua sembrano tre ore. Per gli altri bisogna aspettare. Nel frattempo a peggiorare le cose, la polizia fa spostare tutti sul ciglio della strada, sull’erba inzuppata, dove ci si bagna ancor di più, perché deve passare il corteo di auto (al momento ancora vice) presidenziale.

Una vecchia e nota ricerca, proprio dell’Università di Madison, sosteneva che le mucche del Wisconsin a cui veniva fatto ascoltare Mozart producevano il 7,5% di latte in più. Sembra che i democratici, aggiornando i canoni musicali, abbiano più o meno tentato di riprodurre la stessa mungitura con gli elettori. Con un’aggravante a cui le mucche non furono state sottoposte e che ricorda certe strombazzate promesse pre-elettorali e la loro successiva sparizione: ovvero che quando bisognava accorrere allo show le navette c’erano per tutti, una volta spente le luci e finita la festa non c’erano più (poi, ma molto poi, dopo tanta, troppa acqua, sono arrivate).


R. Scarcella
Le mucche del Wisconsin versione gadget