laR+ IL COMMENTO

Di apocalisse neomalthusiana e altri stereotipi del genere

Dall’‘espansione incontrollata della popolazione’ ai bravi imprenditori con le misure di contenimento sempre pronte è un attimo: in mezzo Udc e Plr

In sintesi:
  • Malthus morì a Bath il 29 dicembre 1834; il suo obsoleto determinismo demografico invece è stato tenuto in vita
  • I disavanzi in verità esistono, ma occulti
  • Certo che conoscere e imparare dalla storia può risultare faticoso
‘Past and Present’
(Ti-Press)
22 ottobre 2024
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Thomas Robert Malthus è nato a Westcott il 13 febbraio 1766. L’economista, filosofo e pastore protestante pubblicò nel 1798 la sua opera più famosa: ‘Saggio sulla popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società’. Il suo pensiero ebbe una grande influenza nei decenni successivi e diventò, per esempio, la base teorica su cui è stato edificato l’infame ‘darwinismo sociale’ di Spencer.

Malthus morì a Bath il 29 dicembre 1834; il suo obsoleto determinismo demografico invece è stato tenuto in vita. Alle nostre latitudini, al giorno d’oggi, a farne uso (e abuso) sono soprattutto le teste pensanti dell’Udc. Così, in un recente contributo pubblicato su laRegione, il presidente cantonale dei democentristi Piero Marchesi giunge alla conclusione che la fonte di tutti i mali che affliggono il nostro presente riguardi “l’espansione incontrollata della popolazione”. Dal sistema sanitario al traffico, dalle scuole sotto pressione alla sicurezza alimentare, perfino la fornitura di elettricità e acqua potabile sarebbe incerta: tutto perché la cosiddetta immigrazione di massa “non è un motore economico, ma piuttosto un freno allo sviluppo”.

È assai probabile, ed è davvero un peccato, che nelle mani dei grandi teorici dell’Udc non siano mai capitati gli articoli della rivista ‘Past and Present’ raggruppati sotto il nome di ‘Dibattito Brenner’: una discussione tra esperti di diverse scuole di pensiero intorno alla struttura e allo sviluppo economico della società feudale tra i secoli XIII e XVI. Tale dibattito – particolarmente pertinente per un contesto postfeudale come il nostro – contrappone il determinismo demografico degli storici Postan e Le Roy Ladurie alla visione, chiamiamola olistica, proposta dagli esponenti del materialismo storico Guy Bois e Rodney Hilton. Per Bois l’elemento demografico non può essere analizzato in maniera isolata rispetto all’ecosistema di relazioni sociali che caratterizzano il feudalesimo, epoca – osserva il francese – in cui è possibile ipotizzare una caduta tendenziale della rendita signorile sul lungo periodo. Crisi delle rendite che a livello continentale – suggerisce Hilton – avrebbe innescato la reazione conservatrice che diede vita, verso la fine del XVI secolo, allo Stato assolutista.

Che sia proprio il presunto Stato ipertrofico e onnipresente uno dei bersagli preferiti, in Ticino, dei democentristi e dei loro “cugini” liberali non fa che rafforzare ulteriormente il parallelismo. Certo, con delle sfumature (sempre meno però): mentre Marchesi chiede lo stop all’immigrazione di massa, il presidente della Camera di Commercio (Cc) Andrea Gehri prima lamenta “la difficoltà di reperire manodopera”, per poi virare verso altri cliché: dal buon padre di famiglia si passa ai bravi imprenditori che, se confrontati con dei disavanzi come quelli delle finanze cantonali – afferma Gehri –, “sarebbero obbligati a intervenire e trovare misure di contenimento”. Chi glielo spiega che tali disavanzi in verità esistono, ma occulti; che vengono assorbiti dallo Stato attraverso una vasta rete di politiche sociali che finiscono per finanziare indirettamente le varie rendite di posizione; e che quella macchina statale “invasiva e costosa” è stata concepita proprio per garantire una base economica all’egemonia dell’élite?

Certo che conoscere e imparare dalla storia può risultare faticoso, addirittura scomodo per alcuni. Più semplice – e conveniente – risulta invece continuare a sventolare lo spauracchio dell’apocalisse neomalthusiana e altri stereotipi del genere.

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