‘La Suisse de A(rbon) à Z(oug)’: in un libro il ritratto di 12 centri senza parlare delle metropoli. ‘Le città medio-piccole sono il cuore del Paese’
Parlare (anzi, scrivere) di città svizzere senza prendere in considerazione la Zurigo finanziaria, la Ginevra internazionale, la Basilea culturale. Sembra un paradosso o un esercizio di poco senso. Invece è un modo per leggere, conoscere e forse capire meglio la Svizzera urbana occupandosi della norma, le città medio-piccole, e non dell’eccezione, le metropoli sovrarappresentate nella ricerca scientifica. In ‘La Suisse de (A)rbon à Z(oug). Portrait en 12 villes’ (scaricabile in open access su epflpress.org) i responsabili del Laboratorio di sociologia urbana del Politecnico federale di Losanna propongono un quadro di una Svizzera in cui la città media è di circa 30mila abitanti, attraverso dodici delle numerose realtà tra i 10 e i 60mila abitanti disseminate sul territorio elvetico e il racconto di alcuni colleghi sulla base del loro vissuto, ognuno con un punto di vista particolare.
Le città scelte, dai contesti geografici e topografici diversi (criterio imprescindibile: essere il loro proprio centro e non parte di un agglomerato più grande, come Carouge di Ginevra o Bümpliz di Berna), portano le impronte del loro cantone e della loro regione, in particolare linguistica. Cosa raccontano della Svizzera? Ne esce una fotografia a patchwork, con ognuno dei pezzi che conserva caratteristiche e singolarità. Non uno studio scientifico, bensì un ritratto a volte sorprendente, che fa scoprire le dinamica, quando non addirittura l’esistenza, di città poco conosciute.
Le cose in comune tra Martigny e Parigi
«Non c’era un argomento preciso che si voleva dimostrare – ci dice Maxime Felder –; ci eravamo dati un compito descrittivo. Quando si riesce a fare una buona rappresentazione del mondo sociale, si fornisce già un contributo, pur senza spiegare o comprovare qualcosa». Sociologo e coautore del libro con Renate Albrecher, Vincent Kaufmann e Yves Pedrazzini, Felder è stato «sorpreso dalla difficoltà che sembra emergere nel parlare di una città, senza paragonarla a una metropoli. Credo sia sottostimato a che punto sia ancorato l’immaginario collettivo di una metropoli, che disegna una città non solamente in un determinato modo estetico ma anche come storicamente governata dalla sinistra e progressista. Un luogo in cui, per taluni, i cosiddetti valori della Svizzera vengono un po’ traditi. Ciò mostra quanto sia necessario pensare altri modi di intendere una città, che può benissimo essere conservatrice, o piccola e di indubbio fascino come Zugo e al contempo sede di aziende che operano non senza controversie in Stati lontani». Che cosa sia allora una città e quali siano gli elementi che ne definiscono una, «è oggetto di grandi dibattiti. Determinare come tale un’area solo perché densamente edificata, non è correttissimo poiché non si fa distinzione del tipo di costruzione (zona industriale? quartiere d’affari? abitazioni?). Dal libro emerge come, al di là della grandezza, una città è soprattutto un progetto politico: è ‘fatta’ sia dalle autorità sia da una popolazione che si investe in quel progetto e dibatte su quale direzione esso debba prendere. È con questa spiegazione che è possibile dire che Chiasso, Martigny, Basilea o Parigi hanno diverse cose in comune».
In termini di urbanizzazione, ‘La Suisse de A(rbon) à Z(oug)’ «potrebbe essere uno strumento utile. Comprendere ciò che conta per le persone, permette di non dimenticare certi aspetti che ‘fanno’ una città che però non entrano spesso nei dibattiti politici. Si sceglie di vivere in questo tipo di città, o al contrario di fare i pendolari, in base alle esperienze che esse procurano. Investimenti, condizioni fiscali, posti di lavoro hanno un ruolo importante, ma altrettanto lo hanno i rituali che strutturano la vita di una città, gli eventi che vi si svolgono e che assumono una dimensione identitaria (per quanto non sempre innovativa), gli episodi che ne scandiscono la storia e formano la memoria collettiva. Memoria, quando non una certa ‘mitologia’, essenziale per la formazione e il mantenimento di un’identità locale». Così Bienne sarebbe pragmatica e con spirito americano, Chiasso creativa e autorigenerata, La Chaux-de-Fonds inclusiva, unita, proletaria e rivendicatrice, Bellinzona discreta e un po’ sonnolenta.
Non bisogna dunque essere una piccola Zurigo, per essere una città?
Esattamente. Coseguenza logica della constatazione che non c’è una città media-tipo; ognuna di queste realtà segue percorsi diversi. Ci sono delle piccole Zurigo e ci sono altri modelli. Ne è un ottimo esempio Coira: situata in mezzo alle montagne, è l’unica città di un cantone enorme; però vista la topografia non è possibile centralizzare tutti i servizi e dunque non può e non riesce a esercitare appieno il suo ruolo di capitale. O prendiamo Sierre: il suo scegliere di rimanere una città automobile-friendly, non la fa meno città.
C’è un tratto comune che esce dai ritratti delle dodici città?
L’ambiguità relativa al loro statuto, il chiedersi (da parte di abitanti e autorità) ‘siamo un paesone o una città?’, volendo a volte essere una cosa e a volte l’altra. A differenza di Zurigo o Ginevra, che forse s’interrogano piuttosto su come si situino a livello internazionale, queste si pongono domande come ‘vogliamo ingrandirci, in qualche modo prendere la stessa direzione delle metropoli; o restare di taglia più contenuta?’ Quesiti non per forza espressi in modo così chiaro, ma alla base di ragionamenti che autorità e popolazione si fanno a ogni chiusura, effettiva o prospettata, di ufficio postale, sede bancaria, ospedale. Situazioni come queste generano dibattiti simili, credo, in questo genere di città e non nelle realtà più grandi, che non si sentono ‘minacciate’ allo stesso modo di quelle più piccole.
Il dibattito è meno presente nelle metropoli anche perché le persone che ci abitano sono meno interessate alla vita locale?
È una buona domanda. C’è chi nel libro ci ha letto poco attaccamento alla propria città e un’implicazione minore da parte di chi abita in una metropoli, rispetto a chi risiede in una città più piccola. Non so però se sia un dato di fatto: occorrerebbe paragonare le grandi città tra loro. Penso che ci siano persone attaccatissime a Ginevra e preoccupate per le sorti di Zurigo, altre che non avvertono alcun legame particolare con Sierre.
Per contro è vero, come viene evidenziato in alcuni capitoli, che più la città è piccola e più è facile investirsi nella vita locale in virtù di una maggiore prossimità anche con le autorità. Così com’è possibile che per chi viene da fuori ci si integri più facilmente in una realtà piccola, mentre probabilmente in una metropoli ci si assimili piuttosto al quartiere in cui si abita o si trascorre maggiormente il proprio tempo. È altrettanto vero che le metropoli sono luoghi di maggiore migrazione e c’è un’abitudine maggiore all’arrivo e all’accoglienza di nuove persone.
Cosa raccontano queste città della Svizzera?
Diverse cose. Una è la decentralizzazione del Paese. Se avessimo fatto il medesimo esercizio in Francia, tra gli Stati più centralizzati in cui si definisce provincia pressoché tutto ciò che non è Parigi, avremmo visto che queste città hanno meno peso (penso alle istituzioni federali, come il Tribunale penale a Bellinzona, che la Confederazione ha ‘distribuito’) e sarebbero assai più preoccupate per la loro sopravvivenza sul piano economico e politico di quanto non lo siano quelle di pari misura da noi. La ragione maggiore è da ricercare nel sistema politico (il federalismo), ma anche nella topografia della Svizzera e nel suo multilinguismo.
Le frontiere linguistiche possono essere più forti di quelle tra nazioni?
Essendo cresciuto a Friborgo, città bilingue, questo aspetto mi ha interessato in modo particolare. Se non ci fosse una frontiera tra tedesco e francese, Friborgo non sarebbe quella che è: probabilmente Berna avrebbe un ruolo assai più importante e Friborgo perderebbe la sua centralità a beneficio della capitale federale. Lo stesso vale per le città ticinesi, che oltre a quella linguistica hanno una frontiera topografica, con le Alpi a separare il cantone dal resto della Svizzera. Dal punto di vista della centralità, la differenza linguistica può essere un punto di forza.
Nel vostro lavoro dite che per comprendere come una città sia vissuta, va osservata da un’altezza media. Cosa si vede da lì?
La città e la sua regione più limitrofa. È osservando cosa c’è nelle immediate vicinanze che si percepisce cosa fa della città, una città: ossia una centralità, politica, economica, demografica.
Se si guarda da un’altezza maggiore (ciò che può essere utile per altri fattori), si vedono la mappa della Svizzera e le relazioni e i flussi tra città e città; mentre da un’altezza media si legge la relazione tra i comuni vicini con i quali ci sono legami piuttosto forti. Legami che evidenziano le complementarietà, vale a dire come le città medio-piccole assumono ruoli diversi, e le varie forme di una certa rivalità (come tra Sion e Sierre in Vallese; per il Ticino, lo lascio dire a lei... [ride, ndr]) che pure hanno un ruolo nella specializzazione e creazione di un’identità comune.
Secondo voi la particolarità di un Paese si legge meglio attraverso ciò che si comprende delle città ‘normali’ e non delle metropoli, che definite eccezioni. In che senso?
Le metropoli sono eccezioni già solo per una questione di numeri. Non avrebbe molto senso prendere unicamente in considerazione le realtà più vaste, per spiegare dinamiche relative agli esseri umani. Inoltre nei grandi centri c’è una maggiore omogeneizzazione: gli stessi negozi, il medesimo tipo di edifici abitativi, lo stesso modello di piazza, il medesimo modo di pedonalizzare certe aree. È guardando le città più ridotte che si può dunque comprendere meglio le specificità della Svizzera.
Città, quelle medio-piccole, che indicate essere il cuore della Svizzera.
Sì, poiché sono molto numerose ed è là dove si concentra la maggior parte della popolazione. Inoltre è un modo per dire che la Svizzera è urbana. Non è Zurigo o Ginevra, ma neanche Zermatt o Adelboden; cliché venduti all’estero da un secolo. È un Paese urbano non perché ha due, tre metropoli; bensì in quanto è disseminata di piccole-medie città.
È possibile immaginare quale sarà il futuro delle città medie in Svizzera?
È da supporre che si sviluppino in maniera diversificata. Prendiamo Coira: per posizione e caratteristiche dei Grigioni, è difficilmente pensabile che diventi una metropoli, mentre altrove delle città potrebbero decidere di andare in quella direzione o almeno averne l’opportunità.
Molto dipenderà dalle scelte politiche: è ipotizzabile che la maggior parte opterà per non ingrandirsi a dismisura; conservando ciò che qualificano come sinonimo di buona qualità di vita e mantenendo una dimensione ritenuta ideale per essere a misura d’uomo. Argomenti, questi, meno prioritari nelle metropoli; frutto anche delle politiche di edificazione che hanno portato a privilegiare una densificazione delle zone già ampiamente costruite. Questa visione potrà funzionare ancora un po’ ma, se la popolazione continuerà ad aumentare, in un modo o nell’altro tutte le città devono pensare che si ingrandiranno.
Il libro dedica due capitoli a città ticinesi: Bellinzona e Chiasso. Della capitale politica scrive Claire Fischer Torricelli, arrivata nel 1992 dalla grande e cosmopolita Ginevra col marito e due figlie in tenera età. Per l’autrice, quello con l’allora non aggregata cittadina dalla forte vocazione amministrativa, provinciale e “dal mio punto di vista un po’ addormentata e noiosa” fu un impatto non semplice, tanto da sentirsi straniera nel proprio Paese, in particolare visto il diffusissimo utilizzo del dialetto. A una città nel frattempo diventata grande (con la fusione) e “mia, cui auguro di sperimentare nuove vie per diventare davvero una piccola città dalle grandi ambizioni”.
Sandro Cattacin e Fiorenza Gamba hanno scritto il capitolo su ‘Chiasso: capitale della frontiera’. Luogo di passaggio in cui due stazioni, stradale e ferroviaria, ne ritmano le giornate, ne sono il simbolo e – per gli autori – anche perfetta metafora; Chiasso è anche città (più un tempo di oggi) di banche e industrie, che ha perso un po’ della sua funzione centrale nella regione a beneficio di Mendrisio. “Eppure, accanto a questa atmosfera crepuscolare, abbiamo sentito il desiderio e l’energia di una trasformazione”.