Dmitrij Muratov, Nobel della Pace 2021, una delle voci più autorevoli della dissidenza russa: ‘Nessuno è in grado di vincere la guerra’
Agente straniero, matricola 665. Nemico della patria. Dmitrij Muratov, storico caporedattore di Novaja Gazeta, non demorde. La metà dei giornalisti della sua testata è riparata all’estero, diversi sono finiti in carcere, sei sono stati uccisi da quel 7 ottobre del 2006 quando dei sicari pensarono di celebrare il compleanno di Putin eliminando Anna Politkovskaja. “Con lei litigavo spesso, per me la sua vita era più importante delle sue inchieste. Ma lei ha preferito non cedere e gliel’hanno fatta pagare con la vita”.
Muratov è dunque rimasto in patria, combatte rimanendo lì con la sua sola presenza, ma il giornale è sotto censura, vietato criticare, vietato addirittura usare il termine “guerra”. “Alexeï Gourinov, dissidente, è stato condannato a 7 anni, marcisce in carcere in condizioni estreme, unicamente per aver pronunciato la parola proibita”. La libertà d’opinione non può manifestarsi in Russia, ma “è importante essere accanto ai nostri lettori, sapendo anche che possono comunque accedere, tramite il sistema Vpn al quotidiano Novaja Gazeta Europe che abbiamo fondato a Riga in Lettonia da dove opera del tutto liberamente”.
Aggredito nello scompartimento di un treno da uno sconosciuto che gli ha versato addosso della vernice rossa, Muratov ha dovuto farsi operare alla retina: “Né la polizia né i servizi di sicurezza hanno trovato il colpevole, noi giornalisti invece sì”, ma “non ci aspettiamo nulla dal processo”. La giustizia non tutela chi è contro “l’operazione speciale”. Il generale Guilov ha addirittura affermato che chi critica l’intervento in Ucraina “va eliminato”: stiamo parlando di 30-40 milioni di persone.
Quando davanti a una sala stracolma il giornalista Andrea Leoni gli chiede cosa risponderebbe a chi, anche qui da noi, pensa che la guerra sia stata provocata dal presunto “golpe” di Maidan del 2014, dalla repressione contro i russofoni del Donbass, dall’espansione della Nato, Muratov risponde con lapidario sarcasmo: “Noto con piacere che Russia Today (la televisione della propaganda di Stato, ndr) ha un buon pubblico anche in Svizzera”. “Conosco Putin, da giornalista l’ho incontrato diverse volte. Risponde in modo chiaro a tutte le domande: il problema è che mente come respira, ha fatto della menzogna un suo principio”.
“Nel 2021, un anno prima di quello che io chiamo l’Inferno per non usare quell’altra parola, mi disse che non avrebbe annesso altre terre in Ucraina, aveva escluso qualsiasi intervento”. “Aveva negato di voler ripresentarsi alla presidenza, aveva giurato sulla Costituzione, che all’articolo 29 proclama che la censura è vietata e che vige il principio della libertà di opinione”. Di fatto l’ideologia imperante è quella fascista, il Cremlino è sotto l’influenza del filosofo Alexandr Dugin e degli ambienti di estrema destra, fascisti dichiarati per i quali “il fascismo senza confini è un fascismo rosso”. Dugin si spinge fino a sostenere, sostenuto da parte della Chiesa ortodossa, che “la morte per la patria è più importante della vita”. Un’adesione a teorie nazional-razziali che spiegherebbe, gli chiediamo, la popolarità di Putin tra l’estrema destra europea? “Proprio così”, ci risponde.
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A Muratov il premio ’Marco Borradori 2024’
Crescono, negli ambienti del Cremlino, a cominciare da quelli dell’ex presidente Medvedev, i discorsi che caldeggiano un intervento nucleare. Non è apparentemente più un fantasma lontano, “diversi commentatori e politici chiedono che si proceda con armi nucleari sul terreno ucraino. Secondo loro così non solo si porrebbe fine al conflitto costringendo Kiev alla resa, ma si eviterebbe una guerra nucleare su vasta scala”. Una follia. Si sta giocando con l’apocalisse. Ma l’opinione pubblica ha solo in parte preso le distanze dall’autocrate. “Con il presidente sono rimasti gli anziani, potrei dire che l’Urss è con Putin, mentre tra i più giovani e la classe media troviamo gli spiriti più critici”.
Quando gli chiediamo le ragioni di un tale sostegno al presidente, Muratov le riassume con una formula a effetto, molto pregnante: “I russi hanno barattato la libertà con la sicurezza, un certo benessere, una vita più o meno dignitosa”. E aggiunge: “Stando ai sondaggi la libertà di parola, nella classifica delle priorità è solo al tredicesimo posto”. C’è naturalmente chi insorge, chi non accetta la dittatura, “centinaia di migliaia di persone, informatici, artisti, tecnici, medici, hanno lasciato il Paese”. E poi naturalmente i dissidenti, condannati a pene pesantissime per delitti di opinione. Muratov mostra le fotografie di diversi prigionieri politici, ritratti prima, durante o dopo la carcerazione: donne e uomini ridotti a stracci umani. Snocciola diversi nomi, Navalny naturalmente, poi una mezza dozzina di altri, tra cui Pavel Kuchner, grande pianista, incarcerato, pestato a sangue, torturato, ucciso. Il prima lo vediamo ritratto davanti alle tastiere mentre suona Schumann, il dopo è la foto di una bara. “Perché non organizzare a Lugano un festival musicale in suo ricordo?”. Prendiamo nota, una proposta degna di essere presa in considerazione.
La scure della censura non si è abbattuta unicamente sulla stampa. A farne le spese anche Memorial, l’istituzione grazie alla quale i russi e il mondo sono venuti a conoscenza dei crimini di Stalin. “È un’organizzazione fondamentale, creata da Andrej Sacharov, che si prefiggeva con la ricerca della verità di portare pace e prosperità nel Paese”. “Grazie a Memorial, i russi sono venuti a conoscenza del fatto che Stalin ha fatto fucilare, prima della guerra, 770mila persone, e che ne ha mandate a morire nel Gulag diversi milioni. La procura di Mosca ha recentemente deciso di metter fine alla riabilitazione delle vittime dello stalinismo. E parallelamente si è cercato di riabilitare... Stalin”. George Orwell diceva che chi controlla il passato, controlla il presente: interpretazione più che mai attuale, vero? “Esattamente – ci risponde Muratov, completando la frase del celebre giornalista e scrittore britannico –, e chi controlla il presente, controlla il futuro”.
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‘Vertigini di libertà’
“Nessuno è in grado di vincere la guerra in Ucraina”: le sue parole ribadiscono quanto già pensano diversi esperti. Ma come detto, a Mosca crescono le pressioni dei guerrafondai pronti a tutto, anche all’utilizzo dell’atomica. L’incubo incombe, il pericolo di una fatale escalation è dietro l’angolo. E allora? Dmitrij Muratov non vede alternative a un cessate il fuoco. Le sanzioni di fatto non funzionano, anche perché la loro applicazione è condizionata da una grande ipocrisia europea. Politici come il tedesco Schroeder o il francese Fillon siedono nei Cda delle aziende russe, l’embargo su gas e petrolio è aggirato dalle importazioni attraverso l’India. Tutti fanno finta di non sapere... A 5 minuti dalla mezzanotte rimane l’opzione coreana: un cessate il fuoco immediato, “poi si vedrà sperando che le prossime generazioni siano più lungimiranti e sagge. In Corea da 70 anni è lo stallo, ma almeno non muore nessuno”. Ma allora, chiediamo, significa alzare bandiera bianca e accettare l’aggressione? “In nessun modo – ribatte Muratov – ma siamo di fronte al pericolo nucleare, a Mosca c’è chi è ormai pronto a premere sul pulsante rosso, i seguaci di Dugin vedono addirittura l’apocalisse atomica come uno sbocco salvifico, di rigenerazione. Un cessate il fuoco è l’unica via per fermare il massacro, e per dar tempo a chi poi potrà tentare di definire un accordo”. La guerra del Vietnam terminò anche grazie alle pressioni della società civile. “Tutti, Ong come Médécins sans Frontières, Reporter sans Frontières, Croce Rossa, devono muoversi in questa direzione. E naturalmente un numero più alto possibile di Stati. Se si vuole porre termine alla carneficina ed evitare il rischio nucleare, bisogna negoziare, anche se bisogna farlo con il diavolo. Il recente scambio di prigionieri è un piccolissimo raggio di luce che va in quella direzione”.
Dmitrij Muratov racconta di aver venduto all’asta la medaglia del Premio Nobel. Un successo strepitoso: in un attimo si sono raggiunti i 103 milioni di dollari, “sono rimasto sbigottito, mai avrei pensato a una tale somma”. La colossale cifra è stata in buona parte versata per soccorrere i bimbi vittime della guerra in Ucraina: il conflitto ha già provocato 16 milioni di rifugiati, tra cui moltissimi bambini. L’attribuzione del più prestigioso riconoscimento al mondo ha conferito una notorietà planetaria a Muratov. Ma quando gli chiediamo se questo gli consentirà di ottenere maggiore protezione, più sicurezza, di vivere più serenamente, il fondatore di Novaja Gazeta ci fissa brevemente, giusto il tempo per riflettere, per fornire una risposta sensata, scuote il capo: “Non lo so, credo che questa domanda in realtà bisogna porla a Vladimir Putin”.