L'ex presidente del Consiglio italiano, ospite domenica di Endorfine Festival, punta il dito contro i partiti personali, teme Trump e boccia Netanyahu
La democrazia è in crisi, l’economia è in crisi e anche lo stato sociale non si sente tanto bene. L’ex presidente della Commissione europea ed ex presidente Consiglio italiano Romano Prodi (che sarà ospite di Endorfine Festival, domenica alle 17.30 al Palazzo dei Congressi di Lugano) dipinge un quadro a tinte fosche sul presente, ma è anche ottimista per il futuro.
Presidente Prodi, senza entrare in dettagli pruriginosi, il caso Sangiuliano ha rimesso al centro la questione morale in politica. Come si esce da questo malcostume diffuso e apparentemente irrisolvibile?
“È una risposta quasi impossibile. Perché ormai si sono abbassati i criteri di giudizio. Nel senso: le cose che facevano scandalo oggi non lo fanno più. Tutto è ritenuto normale. Quanto sia stato responsabilità della rivoluzione di Berlusconi nessuno può dirlo. E scandali ce ne sono sempre stati, intendiamoci. Ma il giudizio generale di ritenere certe cose quasi normali è un fatto nuovo. Il caso Sangiuliano nello specifico non l’ho seguito perché l’ho ritenuto soprattutto un sottile gioco di personalità e debolezze incrociate. Però il fatto che abbia mobilitato per giorni e giorni l’opinione pubblica senza che ne fossero definiti i confini, ci dice come l’opinione pubblica sia debole.
Il centrodestra ha i suoi guai. A sinistra invece si fatica a trovare un personaggio aggregante come fu lei ai tempi dell’Ulivo.
Un po’ è vero. Ma ci sono anche esempi virtuosi. In Emilia, dove vivo, c’è stato addirittura un caso di due naturali candidati. Ma uno ha detto all’altro “vai tu che sei più giovane. Ti aiuterò, dobbiamo fare squadra’. Ciò ha reso assai più facile la creazione di un campo largo. Purtroppo le evoluzioni dei partiti hanno portato a partiti personali.
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Passaggio di consegne con Silvio Berlusconi nel 2008
Si riferisce a partiti come quelli di Renzi e Calenda, con pochi voti, ma con molto potere nel suk politico?
Certo. Si è arrivati a partiti personali che sono più un’involuzione che non un’evoluzione della democrazia. E non è un problema solo italiano. Pensiamo alla Francia o alla Germania. Prima lì c’erano due partiti, poi tre, poi quattro, ora siamo arrivati a sette. Governava un partito solo, poi si è passati ad alleanze di due partiti con idee abbastanza omogenee e compatibili e oggi in Germania c’è una coalizione in cui fra i tre partiti al governo, due quasi non si parlano tra di loro. Poi è vero che è un problema molto italiano e della sinistra in particolare, ma è un problema più generale della democrazia odierna. È come in una famiglia povera dove si mangiava solo pane e latte, poi il menù si complica e iniziano differenziazioni e litigi.
A proposito di personalismi e complicazioni, come la vede la situazione in America dove c’è il bipolarismo, ma la situazione non pare molto migliore?
Lì c’è il bipolarismo, ma c’è anche Trump, che col suo personalismo ha cambiato la lotta politica acuendo la crisi dei partiti. Il partito repubblicano non esiste più, è completamente sfasciato. E c’è una personalità sola che può addirittura vincere le elezioni. Ed è pericolosissimo. Ma tutto il quadro che ho descritto lo è. Perché sento una crisi della democrazia. Una crisi profonda. Bisogna molto lavorare per riportare la gente a occuparsi di politica.
E cosa si può fare?
La democrazia è faticosa e va ricostruita dal basso, sennò non esiste. Bisogna farlo anche nelle scuole, ma è difficile. Anche perché i ragazzi sono tra i più fuori oggi dal discorso politico. Io vado spesso a parlare nei licei, ed è a suo modo interessante, perché prima bisogna richiamare in modo elementare l’attenzione sulla cosa pubblica. Ma le faccio un esempio, quando parlo dell’Ucraina e della pace, i ragazzi mi guardano come un dinosauro.
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Con un giovane Putin
Perché?
Perchè la pace per loro è garantita. E se non c’è l’inquietudine dell’anima non si pensa a cosa bisogna fare per conservare le cose più elementari come la pace, il lavoro, la solidarietà, la sicurezza sociale.
A questo proposito, non le pare che la sinistra si stia molto battendo per i diritti civili, dimenticando i diritti sociali?
Finora sì. Ma proprio nelle ultime settimane c’è stato un cambiamento nella direzione da lei auspicata. Perché è vero, i diritti civili sono importantissimi, ma non sono gli unici. Il peggioramento, che non è solo italiano, ma generalizzato, delle condizioni economiche e della protezione sanitaria, sta facendo venir fuori il problema. Spero che finalmente si mettano i diritti sociali al pari dei diritti civili. È un processo che, se Dio vuole, sta tornando. Da questo punto di vista sono ottimista. E la battaglia è finalmente più sentita. Che poi si riesca anche ad avere successo è più complicato perché in Italia le difficoltà finanziare sono grosse e i tagli sono stati pesanti.
Proprio in questi giorni c’è stato il rapporto allarmante di Mario Draghi sui conti dell’Ue. Lei come le vede?
Si vede che la situazione è complicatissima, visto che si prevede una spesa supplementare di 800 miliardi di euro l’anno. Il problema del rapporto Draghi non sono i contenuti, sui quali convergo totalmente, ma sulla difficoltà nel trovare le risorse.
A proposito di Europa e soldi. Fu lei a negoziare il cambio lira/euro. Molti ancora la criticano per questo… si è mai pentito?
No, anzi. Più passa il tempo, più un’Italia fuori dall’euro si sarebbe ritrovata anche fuori dall’Europa, perché la sua politica era stata di svalutazione continue e ciò non era più compatibile con il rapporto con gli altri Paesi. Ricordo il presidente francese dell’epoca, Chirac, dire in modo chiaro “non crediate di poter andare avanti svalutando continuamente. Non è più compatibile con l’Europa”.
Forse così però salvo l’Italia da una deriva antidemocratica?
Speravo che la cosa instaurasse più disciplina di quel che non è poi avvenuto. Col mio governo ho portato il debito pubblico da 120 al 103 (di percentuale sul Pil). E con entrambi i governi un miglioramento del rapporto debito-Pil, ma l’esempio non è stato seguito, non è diventato dottrina comune e si è continuato a indebitarsi fino. Questo per me è una spina nel fianco. Ma senza l’euro sarebbe stato un disastro totale.
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Con Jacques Chirac
Prima parlava di pace e di uomini forti visti come soluzioni facili a problemi complessi. Cosa pensa dell’Ucraina e della questione palestinese?
La guerra in Ucraina si risolve solo con un accordo tra cinesi e americani. L’ho detto il primo giorno e lo penso ancora oggi. Usino un mediatore qualsiasi, non importa chi, ma facciano in fretta, perché né la Russia né l’Europa oggi hanno la forza di fare finire questa orrenda guerra. In Medio Oriente invece è il grande problema tra Stati Uniti e Israele. Una situazione difficile in cui il presidente Biden sostiene giustamente la battaglia contro Hamas e altrettanto giustamente biasima Netanyahu per le folli esagerazioni e per la tremenda politica che sta facendo a Gaza, ma poi la politica interna lo spinge ugualmente a dare armi a Israele.
Non crede che la figura di Netanyahu stia compilando una situazione già fin troppo complicata?
Non c’è dubbio. Ma non credo che la politica interna israeliana permetterebbe poi un leader molto diverso da Netanyahu riguardo a questi problemi.