laR+ I dibattiti

Astenersi, perché

Scrivo dopo aver letto l’intervento di Orazio Martinetti sul tema dell’astensione e della perdita di credibilità di istituzioni quali la chiesa e la magistratura. Sono poco interessato ai destini della prima, se non per chiedere che lo Stato si decida a occuparsi seriamente delle sue attività, monitorandole con attenzione e senza i soliti (para)occhi di riguardo; sulla seconda ho già detto su queste colonne a proposito del grave vulnus che comportamenti messi in campo da taluni, anzi da parecchi e a tutti i livelli, stanno infliggendo al prestigio e alla dignità di molte cariche pubbliche. Martinetti si duole dell’astensione, che anche lui chiama – un po’ patologizzando il fenomeno, anche nella scelta di lessico – “astensionismo”, e la riconduce a moventi tra l’emotivo, lo psichiatrico e l’egoistico, ipotizzando addirittura altri e non meglio precisati “meno nobili” sentimenti, e via stigmatizzando.

Vorrei però rivendicare – per me, che non la pratico ma che ci sto pensando – motivazioni meno disdicevoli per l’astensione; lo faccio per amore di polemica e di confronto, ma un po’ anche per disperazione di fronte a eventi (di convergente scarsa moralità pubblica) che lasciano attoniti. Mi riferisco all’ipotesi che, nella misura in cui sia ancor più diffusamente praticata, l’astensione possa avere effetti positivi sulla dinamica democratica e sulla prassi politico-partitica, e alla fine sulle istituzioni stesse e su coloro che sono chiamati a personificarle nel quotidiano. Qualche anno fa, avevo proposto (https://naufraghi.ch/plaidoyer-per-la-scheda-senza-intestazione) un elogio della scheda bianca, ipotizzando che essa potesse generare analoghi e salvifici effetti; mi rendo ora conto che l’inerzia patologica del territorio, l’atteggiamento castale e autoreferenziale della nostra politica, l’assenza di visioni e di proposte dirimenti, e lo sprezzo di fondo per i votanti che anima molti nostri eletti, oltre al moltiplicarsi degli inaccettabili comportamenti pubblici e privati di alcuni di coloro che incarnano funzioni istituzionali, rendono la scheda bianca un avvertimento forse troppo poco incisivo. Vedo male un politico eletto magari da una lieve maggioranza di una minima minoranza di elettori possa, trascorso un momento di infimo imbarazzo, mettere in discussione la propria legittimità solo di fronte di una marea di schede bianche (cioè persone che, comunque, sono andate a votare, legittimando l’istituto del voto). Michel Onfray, intellettuale girondino di una sinistra ruralista e antiliberista, nelle sue qualche volta inquietanti esternazioni ha pur speso parole interessanti in favore dell’astensione e dei benefici che essa, se generalizzata e provvisoria, procurerebbe alla vita politica e alle istituzioni repubblicane. E vi è da chiedersi se la situazione attuale della cosa pubblica non possa validare, da noi e altrove, il gesto supremo di un non-voto che imponga a tutti, forse addirittura a coloro che a dispetto dei disastri attuali poco meritatamente vivono e lucrano in cariche su cui spargono discredito, qualche riflessione e qualche passo indietro, una catartica riflessione e, perché no?, un sussulto etico. Un bagno salvifico dal quale tutti potremmo emergere più degni delle istituzioni che persone migliori di noi hanno creato con una dose di eccessivo ottimismo su coloro che le avrebbero occupate in futuro; un lavacro che ci porterebbe poi tutti a votare con la ragionevole convinzione dell’utilità di questo gesto che, in condizioni normali (cioè non quelle attuali, direi), è di banale ed essenziale civiltà.