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La determinazione va oltre ogni ostacolo

Con la franco-ticinese Claire Ghiringhelli, la Svizzera al via delle gare di canottaggio paralimpiche. ‘Il coronamento di un progetto varato nel 2021’

In azione sul Rotsee (Keystone)

Con la franco-ticinese Claire Ghiringhelli, la Svizzera al via delle gare di canottaggio paralimpiche. ‘Il coronamento di un progetto varato nel 2021’

12 luglio 2024
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‘Determinazione, non rende le cose facili, le rende possibili’. È questo, scritto in lettere blu su sfondo bianco, lo slogan che campeggia nella sala pesi della Società Canottieri Locarno. E questa è, anche, la filosofia con cui Claire Ghiringhelli affronta la vita e le varie situazioni che la stessa le mette davanti. Spesse volte ostacoli da superare. Alti, ma, appunto, non impossibili da lasciarsi alle spalle. Come la sfida di reinventarsi una vita dopo la brutta malattia che nel 2017 l’ha costretta alla sedia a rotelle. O, ancora, quella che tra due mesi e spiccioli attende la 46enne nata e cresciuta in Francia ma con origini ticinesi da parte materna, quando a Parigi rappresenterà il nostro Paese nelle regate delle Paralimpiadi, come prima svizzera a partecipare a una gara di para-rowing su questa ribalta.

«Quello slogan rappresenta la storia della mia vita, la mia storia – racconta Claire Ghiringhelli, in un italiano fluente, solo ‘sporcato’ un po’ dall’accento francese –. È anche la storia del progetto ‘Paralimpiadi’, iniziato tre anni fa e che ora sta per arrivare al suo compimento. Malgrado tutto: in Francia ho fatto tutto ciò che mi era stato chiesto per allenarmi, pur non potendo approfittare delle agevolazioni di cui beneficiavano le altre, ma non è stato sufficiente. Non mi è praticamente mai stata data la chance concreta di ambire alle Paralimpiadi. Grazie al sostegno che ho trovato in Svizzera, e in Ticino in particolare, questo sogno si è invece realizzato. È appunto questa determinazione che mi ha dato la forza di andare avanti, anche nei momenti più difficili; quei momenti in cui tutto sembrava voltarmi le spalle. Certo, le difficoltà ci sono, e ci saranno sempre, ma sono viva, e questa vita voglio renderla la migliore possibile».

Ti-Press‘In estate, purtroppo, il Lago Maggiore è troppo trafficato per allenarsi’

Nella vita di Claire Ghiringhelli c’è un prima e un dopo. Il ‘prima’, ovviamente, è riferito al periodo antecedente il 2017. Chi era Claire Ghiringhelli prima di questa data? «Ero sempre io, la stessa Claire (ride, ndr). Battuta a parte, ero una ‘under 40’ sportiva. Professionalmente ero attiva come ingegnere manager in un laboratorio di ricerca dei materiali aeronautici di un’importante azienda francese nota in tutto il mondo. E non da ultimo, ero (e sono) una mamma di tre figli, che ora hanno rispettivamente 20, 17 e 13 anni. Amavo occupare il mio tempo libero con lunghe camminate in montagna, le escursioni sul ghiaccio, l’alpinismo e pure lo sci. Con mio marito, avevamo anche un appartamento in montagna, in Francia, dove trascorrevo quasi tutte le mie vacanze. Ad accompagnarci in queste escursioni spesso era una guida alpina italiana, di Bardonecchia, e così, tra un passo e l’altro avevo anche l’occasione di perfezionare il mio italiano. Nelle pause di mezzogiorno, poi, spesso, facevo anche un po’ di corsa, per tenermi allenata. Una vita intesa sì, ma tutto sommato normale…».

Autodidatta nello sport, ma anche autodidatta nell’apprendimento delle lingue, e in particolare dell’italiano. Cosa non evidente per qualcuno che, malgrado le radici ticinesi, è pur sempre nato e cresciuto a Parigi. «Effettivamente non capita di frequente di parlarlo qui, nella capitale dell’Esagono. In queste settimane però le cose sono un po’ cambiate per me, anche perché con l’approssimarsi delle Paralimpiadi le interviste si moltiplicano, soprattutto dalla Svizzera italiana. Così voglio fare lo sforzo e cercare di rispondere a tutti in italiano. In fondo è anche l’occasione che ho per poterlo migliorare. Va da sé che una cosa è parlarlo, e un’altra scriverlo: lì le mie lacune sono maggiori… Anche perché non l’ho mai studiato a scuola: l’ho appreso parlando a casa, con mia madre, con i miei nonni e i parenti in Ticino, dove spesso trascorrevamo gran parte delle estati, da bambine, io e mia sorella. Assieme guardavamo i cartoni animati: è così che io e Sophie abbiamo imparato l’italiano, ma non prima degli 8 anni». Di entrambe: «Sì, perché io e Sophie siamo gemelle… È la prima volta, nelle molte interviste che mi hanno fatto, che mi ritrovo a parlare di lei. Entrambe abbiamo avuto una gioventù simile: anche Sophie vive in Francia,e ci sentiamo regolarmente».

Poi, appunto, ecco arrivare il fatidico 2017. «Mi era stato diagnosticato un tumore molto esteso, che provocava una compressione quasi totale del midollo spinale. All’altezza del cuore, ragion per cui per poterlo asportare i medici hanno dovuto optare per passare dalla schiena. Considerata l’estensione del tumore, era inevitabile che l’intervento avrebbe lesionato in modo importante le vertebre, ma non si poteva fare altrimenti. L’eventualità concreta di una parziale paralisi era praticamente chiara fin da subito. Anche perché già prima dell’intervento, con il progredire del tumore, avevo perso gran parte della forza nella gamba sinistra, e diverse funzioni, come quelle motorie e quelle fisiologiche, erano diventate ormai problematiche… Quando ne parlo, per praticità, dico che la mia disabilità è divenuta effettiva da quando mi hanno operata, ma in realtà il processo, irreversibile, che mi ha poi portato sulla sedia a rotelle, era iniziato già prima».

Ti-PressSul pontile dei Canottieri di Locarno

Il ‘dopo’

La malattia, la disabilità e poi il divorzio

La forza, fisica e soprattutto mentale, tuttavia, non le è mai mancata. Nemmeno nei momenti più difficili, e non sono stati pochi quelli che ha dovuto attraversare. Un ostacolo dopo l’altro, Claire ha sempre trovato il modo di metaforicamente rialzarsi e superarlo. «Quelli successivi all’operazione sono stati mesi e anni molto difficili, lo ammetto, ma non mi sono mai scoraggiata. Dopo l’intervento ho impiegato parecchio a riprendermi: già solo per stare seduta ci sono voluti mesi… Avrei dovuto ‘sedermi’ e lasciarmi andare, aspettando che gli altri provvedessero a me. Marito e figli mi sono comunque sempre stati vicini».

Prima che con i limiti fisici dettati dalla sua nuova condizione, Claire ha dovuto combattere una battaglia mentale per vestire questi nuovi panni: «Qualche settimana dopo l’intervento ho lottato con tutte le mie forze per restare in piedi. Anche quando sono finalmente stata dimessa dall’ospedale, a fine estate 2018, ho continuato a lavorare con questa idea: non volevo arrendermi; ho provato a fare qualche passo, prima un paio di metri, poi quattro. Ma era una fatica immane, cadevo di continuo. Poi, passati un paio di mesi, mi sono resa conto che continuando così facevo solo del male a me stessa: dovevo prendere consapevolezza che le cose non sarebbero più tornate ‘normali’, e che sarebbe stato meglio focalizzarmi sul come reinventare la mia vita nella condizione di parziale paralisi. Così ho fatto ‘clic’, e sono riuscita a riprendere in mano la mia vita e a riacquistare la mia indipendenza. Ho imparato a guidare, mi sono rimessa al lavoro, sempre per la ditta per cui lavoravo prima: è stata quasi una liberazione».

Quando pensava che, una volta terminato il lungo percorso di riabilitazione fosse il punto finale del suo calvario, ecco però un altro ostacolo da affrontare: il divorzio: «È stato un altro momento duro da superare, perché dovevo nuovamente ‘reinventarmi’ e adattare la mia vita, con tutti i limiti che la mia disabilità comportava. A bocce ferme direi che quella è stata forse la situazione più difficile per me».

Il canottaggio

Dalla montagna all’acqua: come ci è arrivata Claire Ghiringhelli al canottaggio? «All’acqua ci sono arrivata solo dopo l’operazione: prima era prevalentemente in montagna che trascorrevo il mio tempo libero. La mia nuova condizione imponeva però che cercassi altro per praticare un po’ di sport: avevo la necessità di rimettermi in movimento, specie perché per due interminabili anni, complice la malattia e la lunga convalescenza, non avevo più fatto niente di particolare. L’idea di praticare uno di quegli sport ‘classici’ per i paraplegici, come il basket o il tennis in carrozzina, non mi stimolava particolarmente. Cercavo qualcosa di intrigante, qualcosa che potesse portare una ventata di novità in modo da voltare metaforicamente pagina e iniziare un nuovo capitolo della mia vita. Così mio marito mi aveva proposto il canottaggio. Mi sono documentata un po’ in internet e poi sono andata a bussare al club di Corbeil-Essonnes, società francese di para-rowing nota per avere una squadra molto competitiva. Ad accogliermi è stato il direttore sportivo, che a tutt’oggi è il mio allenatore, e mi ha subito messo in acqua. Lì per lì ero spaventata, ma lui continuava a insistere... Ebbene, superato quel timore iniziale, mi sono sentita quasi rinata: avevo trovato il mio sport!».

Ti-Press‘Superato il timore iniziale, mi sono sentita quasi rinata: avevo trovato il mio sport!’

Il richiamo del Ticino

«Ho staccato la licenza di canottaggio francese, ma poi, considerato che per gran parte della mia riabilitazione sono stata in Ticino, mi sono avvicinata ai Canottieri di Locarno, ed è con loro che finalmente, l’anno scorso, ho partecipato alla mia prima gara internazionale». E qui, sulle sponde, anzi, nelle acque del Lago Maggiore è appunto nato il progetto a cui Claire si è dedicata anima e corpo: «Sì, volevo fare qualcosa di grande, per cui mi sono prefissata la partecipazione alle Paralimpiadi: sarei stata la prima svizzera a riuscirci. Anche perché in Francia, dove c’erano già parecchie brave para-rematrici, avevo capito che ci sarebbe stato poco spazio per coltivare i miei sogni. Nemmeno come riserva. In Svizzera, e in Ticino, invece, potevo davvero continuare a inseguire questo traguardo. Così mi sono tesserata per i Canottieri di Locarno, dove in un certo senso mi sono sentita ‘a casa’. All’inizio non è stato facile organizzare tutto, specialmente dal profilo logistico, ma poi, spinti dalla voglia di coronare questo sogno, abbiamo superato anche queste difficoltà».

Un sogno che adesso è diventato una splendida realtà. Il percorso che l’ha riportata a Parigi, però, ancora una volta, non è stato tutto in discesa: l’anno scorso infatti, una trombosi a un braccio l’aveva costretta a rinunciare ai Mondiali di Belgrado, dove avrebbe avuto la prima occasione di qualificarsi per Parigi. Nemmeno questo però ha scalfito la sua determinazione, e grazie al risultato ottenuto ai Campionati europei di Szegez (Ungheria) in aprile, finalmente, Claire Ghiringhelli ha validato il suo ticket per le Paralimpiadi di Parigi. «Il primo traguardo l’ho tagliato, e ne sono felicissima! Ma ora devo ancora lavorare sodo, perché a Parigi voglio dare il meglio di me. Per questo mi alleno a ritmo di nove sedute settimanali: tutti i giorni una volta, con il raddoppio nel weekend, per un totale che oscilla tra le 18 e le 20 ore di lavoro». Ma non in Ticino: «Purtroppo, con la bella stagione il Lago Maggiore è troppo ‘trafficato’ ragion per cui da qui alle Paralimpiadi, a malincuore, non ho più previsto di allenarmi in Ticino: non ci sarebbero le condizioni ideali. Le prime due settimane di agosto sarò comunque in Svizzera per l’ultimo campo di allenamento, basato a Sarnen e facendo capo al Rotsee. Poi, per un’altra settimana sarò a Corbeil-Essonnes, dopodiché, dal 25 agosto, mi sposterò a Vaires sur Marne, all’est di Parigi, dove si svolgeranno le gare di canottaggio delle Paralimpiadi (come pure quelle delle Olimpiadi), per preparare al meglio la competizione». Una competizione che si svolgerà quando? «Le qualificazioni dei 2’000 m sono in programma il 30 e 31 agosto: le prime due delle batterie accederanno direttamente alla finale A, che si svolgerà il 1° settembre, mentre le altre andranno a caccia dei restanti biglietti per l’ultimo atto nel ripescaggio. Non vedo l’ora: di certo verrà diversa gente a vedermi, anche dal Ticino: tra canottieri, parenti e amici, in molti hanno già detto di volerci essere».

Alle Paralimpiadi, Claire Ghiringhelli sarà verosimilmente l’unica ticinese impegnata: un onore ma anche un onere… «Sento prima di tutto la fierezza di poterlo fare: è qualcosa di cui vado orgogliosa! Penso sia il modo perfetto per onorare la memoria dei miei nonni, che tanto mi hanno dato, e le mie radici ticinesi».

Ti-PressIl carico di lavoro in vista di Parigi 2024 oscilla tra le 18 e le 20 ore settimanali