L'ex titolare della ditta risponde così alle domande del presidente della Corte delle Assise criminali, che ha respinto le 58 questioni pregiudiziali
Adria Costruzioni, nel 2015, aveva «diversi debiti, tra i quali gli stipendi dell’ottantina di dipendenti, che contavamo di onorare con i tanti crediti aperti legati alle operazioni immobiliari ed edilizie in corso». Adriano Cambria, 61enne ex titolare dell’impresa che balzò agli onori della cronaca poco meno di nove anni fa, per aver causato una voragine finanziaria stimata in oltre venti milioni di franchi, oggi, ha riposto così alla domanda sul fallimento della ditta, con sede a Pregassona, che gli ha posto Marco Villa, presidente della Corte delle Assise criminali di Lugano. Il maxiprocesso, stamattina, ha potuto prendere avvio al quinto piano della Casa comunale di Paradiso, dopo che il giudice ha respinto tutte le 58 questioni incidentali, pregiudiziali e istanze probatorie presentate soprattutto da cinque dei sette avvocati, per conto di altrettanti imputati, la settimana scorsa.
Il dibattimento è dunque cominciato con l’interrogatorio dei sette imputati da parte del giudice, che non è ancora entrato nel merito delle ipotesi di reato, formulate nell’atto d’accusa firmato dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli. Anche se, da alcune risposte, si possono intuire quelle che saranno le strategie difensive. Comunque, Adriano Cambria ha raccontato che avviò l’attività in Ticino nel 2012, dopo aver lavorato in Italia nel settore dell’edilizia sin da quando era piccolo in Sicilia. Tutto cominciò dunque con la ristrutturazione di un immobile ad Aldesago, poi l’anno successivo, con un altro cantiere in via Ferri a Lugano. La persona per la quale realizzò la prima costruzione, lo mise in contatto con la filiale ticinese della banca Wir e con l’ex responsabile. Poi, il 61enne ex titolare che percepiva un salario mensile di 20’000 franchi, continuò a operare nei cantieri che nel frattempo si moltiplicarono e lasciò la questione dei crediti al figlio.
Interrogato dal giudice sui due anni di crescita esponenziale della ditta, Filippo Cambria, 34 anni, ex direttore operativo dal 2013, ha confermato che la banca Wir concesse all’impresa e ad altre società riconducibili a loro e ai soci, oltre 100 milioni di crediti ipotecari. All’epoca, stiamo parlando degli anni 2014-2015, il parco veicoli di proprietà della famiglia era composto da vetture di lusso come Ferrari e Porsche. In tutto, padre e figlio versavano circa 15’000 franchi al mese di leasing per le auto intestate alle varie società a loro riconducibili. La situazione precipitò nel settembre 2015, quando i sindacati presentarono istanza di fallimento alla Pretura di Lugano, perché l’ottantina di dipendenti della società con sede operativa a Pregassona e sede legale a Paradiso, non percepiva la paga da mesi. Poi, venne il giorno in cui le manette scattarono ai polsi del 34enne, che ha trascorso un centinaio di giorni in stato di carcerazione preventiva. Un periodo difficile, «durante il quale si è sgretolata tutta la mia quotidianità. Volevo sistemare il sistemabile, ma in carcere non fu possibile. L’eco mediatica della vicenda ebbe un effetto devastante su di me e tutte le persone che portano il mio cognome: subirono tutti discriminazioni», ha ricordato il 34enne.
«Venni assunto in banca Wir, quale responsabile di filiale, oltre che per le mie conoscenze linguistiche e competenze nell’ambito delle transazioni con franchi Wir, soprattutto per incrementare i correntisti e la cifra d'affari dell'istituto di credito in Ticino. Entrai in carica il 1° gennaio del 2006. A quei tempi lavoravamo solo con la moneta Wir». Anche Yves Wellauer, 55enne, ha risposto alle domande postegli dal giudice Villa. Allo stesso modo degli altri imputati, l’ex direttore della filiale ha illustrato le propria situazione personale e professionale a poco meno di nove anni dal giorno dell’arresto. Un arresto che gli ha scombussolato la vita, perché è stato allontanato dalla sua famiglia. Il 55enne ha spiegato che, inizialmente, la banca non trattava ipoteche immobiliari. Fu una scelta della sede centrale di Basilea, decisa alcuni anni dopo la sua entrata in carica. «Come gli altri sette responsabili di filiale non avevamo una formazione bancaria, bensì nel commercio che era l’ambito di sviluppo del sistema Wir – ha detto Wellauer –. Inizialmente, eravamo in due nella sede di Riva Caccia, io e una segretaria. Poi, venne assunta un’altra persona per il servizio esterno». Per quale ragione è stato licenziato? Come emerge dal verbale di un interrogatorio raccolto nell’ambito della causa civile per la Residenza Rivasole a Riva San Vitale, richiamato dall’avvocato Filippo Ferrari, l’ex responsabile di filiale venne licenziato in tronco tra il 26 e il 27 settembre 2015. Il motivo? «Mi venne contestata la violazione del segreto bancario per via della relazione con padre e figlio Cambria». In quel verbale di interrogatorio, emerge ancora che i crediti ipotecari per le operazioni immobiliari vennero decisi dalla sede cantiere di Basilea.
In mattinata, come detto, Marco Villa, ha respinto tutte le 58 tra questioni incidentali, pregiudiziali e istanze probatorie presentate soprattutto da cinque dei sette avvocati. Il giudice non ha riconosciuto le violazioni del principio accusatorio, del contraddittorio e non ha assunto agli atti le nuove prove come chiesto dai legali. In particolare, non è stata acquisita l’istanza probatoria avanzata dall’avvocato Filippo Ferrari, legale del 37enne accusato di truffa, in parziale correità con gli imputati principali, che ha prodotto i verbali dell’interrogatorio di alcuni dirigenti di banca Wir nell’ambito della causa civile pendente in Pretura a Lugano. Non ha avuto miglior sorte nemmeno quella formulata dall’avvocato Nadir Guglielmoni, legale del 44enne, anch’esso accusato di truffa, in parziale correità con gli imputati principali, che ha chiesto di assumere agli atti la transazione tra l’istituto di credito e l’assicurazione. L’atto d’accusa, con le relative correzioni apportate lunedì scorso, è stato ritenuto dalla Corte sufficientemente chiaro, per cui l'incarto non tornerà al Ministero pubblico e il processo può finalmente cominciare.