A sei mesi dall'apertura del centro di prima accoglienza di Bellinzona incontriamo alcuni ospiti. ‘Il classico clochard non fa parte della nostra realtà’
Il termine ‘senzatetto’ richiama alla mente l’immagine del classico clochard, una persona povera che vaga per la strada apparentemente senza una meta, con barba lunga, abiti logori e tutto il suo mondo contenuto nei sacchetti che tiene in mano. Eppure c’è un mondo fatto da drammi personali talvolta invisibili, nel quale non c’è soltanto la povertà a togliere improvvisamente la casa, ma una grande varietà di casi della vita che possono colpire uomini, donne, minori e anche persone agiate e insospettabili. Varchiamo la porta di Casa Marta a Bellinzona, inaugurata sei mesi fa, dove incontriamo persone che ci aprono una finestra sul loro vissuto, con un passato carico di difficoltà, ma con un presente che sembra aiutarli a guardare con più fiducia verso il futuro.
Incontriamo Paolo (il vero nome è noto alla redazione) mentre è affaccendato a riordinare piatti e stoviglie. Al momento aiuta in cucina, pentole e fornelli non hanno segreti per lui che di formazione è cuoco, mestiere che ha praticato per diversi anni. Fino all’arrivo di un brutto incidente che gli ha fatto quasi perdere l’uso di una mano; da lì lo stop dal lavoro e tutta una serie di difficoltà. Rimasto senza impiego e alloggio, si è ritrovato a vivere dove capitava, ospitato da amici e conoscenti. Poi compagnie sbagliate, una serie di errori e per finire dei reati che gli aprono le porte del carcere, dove trascorre venticinque giorni. Dopo il periodo di detenzione si ritrova ancora senza casa e i responsabili del Penitenziario cantonale lo indirizzano verso il centro di prima accoglienza di Bellinzona. Lo scorso novembre il trentenne inizia il suo percorso a Casa Marta, seguito dagli operatori sociali della struttura con cui fissa degli obiettivi. «Mi hanno aiutato a trovare un appartamento dove ora vivo, a raccogliere la documentazione necessaria per aver diritto all’assistenza», spiega. Il giovane ha appena iniziato un pre-piano occupazionale prima dell’avvio di un periodo reintegrativo nel mondo del lavoro. Sta aiutando nella cucina di Casa Marta dove dice di essersi trovato molto bene nei tre mesi come ospite: «Mi sono sempre sentito accolto e ascoltato. Ci voleva un centro così a Bellinzona, perché questi problemi al giorno d’oggi in Svizzera non dovrebbero esserci. Non dovrebbero esserci giovani, residenti e non, vaganti per le strade senza una casa, costretti a dormire sotto i ponti. Eppure ci sono e io sono stato uno di quelli. Oggi mi sento molto stimolato, dopo tante porte chiuse e sbattute in faccia, qua ne ho trovata una grande aperta e anche una piccola famiglia». Paolo ha trovato anche serenità, fiducia e la forza per ripartire: «Sinceramente non avrei visto la luce in fondo al tunnel senza Casa Marta».
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Una presa a carico immediata, con uno sguardo sul futuro
Paolo è uno delle circa sessanta persone che sono state ospitate in questi sei mesi nella struttura di prima accoglienza. Attualmente sono presenti dodici persone, tra cui anche Chiara, sulla cinquantina, con una laurea universitaria e successive specializzazioni. Anche lei sta vivendo un periodo di difficoltà, la salute non le permette di praticare la sua professione e alcuni mesi fa un incendio divampato a casa sua l’ha lasciata senza un tetto. Ora, da due mesi vive a Casa Marta: «Non volevo stare troppo a lungo da amici perché preferisco prendermi il tempo per trovare una nuova dimora. Qua mi trovo molto bene, con gli altri ospiti e gli operatori, sono tutti molto calorosi e accolgono bene le persone». Incontriamo anche un ventenne, Marco, arrivato nel centro due settimane fa a seguito di seri problemi familiari. Adesso viene aiutato nella ricerca di un appartamento e di un posto di apprendistato: «Ho la patente e mi piacerebbe fare il camionista perché amo viaggiare», racconta grato dell’aiuto che sta ricevendo: «Da solo, non avrei saputo da che parte iniziare».
Ascoltando i vissuti di questi tre ospiti ci rendiamo conto di quanto sia variegata la casistica delle persone presenti. «Spesso ci sono situazioni di grande complessità, nelle quali a un disagio se ne sommano altri. Talvolta c’è un deficit cognitivo, ma anche problemi di dipendenza, difficoltà nella gestione della casa, episodi di violenza familiare», riconosce Lisa Bosia Mirra, operatrice sociale responsabile della struttura. È molto raro invece che a raggiungere il centro siano i classici clochard: «È successo due volte, ma nella nostra realtà ci sono piuttosto altre situazioni», rileva la responsabile. A tal proposito, Renato Minoli, presidente della Fondazione Casa Marta, fa presente che può rimanere all’improvviso senza domicilio anche una persona socialmente ben inserita e benestante, come professionisti in vari ambiti: anche ingegneri, medici o dentisti possono arrivare a chiedere aiuto. Come infatti è già avvenuto.
Due terzi delle persone che alloggiano nella struttura sono residenti in Ticino, mentre un terzo sono persone in transito. In media gli utenti soggiornano a Casa Marta due o tre mesi, ma c’è anche chi rimane solo una notte, giusto il tempo di riposare. «Lo scopo di una struttura come la nostra è aiutare le persone a reinserirsi nel tessuto sociale e noi assicuriamo un accompagnamento lungo questo percorso», spiega Bosia Mirra. Gli ospiti vengono quindi sostenuti nella ricerca di un alloggio duraturo, non da ultimo perché avere un recapito è fondamentale nella ricerca di un posto di lavoro. La maggior parte degli utenti viene indirizzata nel centro di prima accoglienza da altri servizi, fra cui ospedali e polizia. «Dopo il periodo in cui hanno alloggiato da noi, notiamo che se le persone rimangono a vivere nelle vicinanze, poi continuano a frequentare la struttura, per mangiare e socializzare. Ci fa piacere, perché significa che si è creata una rete e che questa nuova realtà è diventata per loro un punto di riferimento», evidenzia l’operatrice sociale.
Partita dall’iniziativa del compianto Luca Buzzi, la ristrutturazione del vecchio edificio si è rivelata onerosa. Il totale ha raggiunto 5,5 milioni di franchi, in parte coperti da donazioni e sussidi cantonali e comunali; ora vi sono ancora 450mila franchi scoperti per il pagamento degli ultimi artigiani. Il presidente della Fondazione rinnova quindi l’appello a sostenere Casa Marta: «I primi mesi di attività dimostrano quanto strutture di questo tipo siano necessarie, perché in grado di risolvere il fallimento, in determinate circostanze, della nostra rete sociale. Se qualcuno arriva da noi vuol dire che è finito tra le maglie della rete e non ha trovato il sostegno atteso. Da qui il nostro ruolo: dare un tetto nell’immediato e indirizzare verso i servizi che possono aiutare a un reinserimento duraturo».
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L’operatività della struttura che conta 15 camere, 32 posti letto e due appartamentini non beneficia di sussidi pubblici: «I costi di gestione sono a carico nostro», fa presente Minoli. «Cliniche, ospedali e carceri quando dimettono qualcuno privo di alloggio, lo indirizzano verso centri come il nostro. Accogliendo persone che altrimenti non avrebbero un posto dove stare, svolgiamo un importante lavoro sociale. Un ruolo che deve quindi poter essere riconosciuto», gli fa eco Bosia Mirra. «Insieme ad altre strutture analoghe, ci batteremo affinché il servizio svolto possa rientrare nella rete di assistenza di aiuto riconosciuta dal Cantone, in modo da percepire un sussidio. Ma per questo sarà necessario cambiare la legge sulla linea di quanto già fatto in alcuni Cantoni d’Oltralpe», evidenzia Minoli.
Casa Marta non è un ghetto, ma un luogo aperto dove sono già state organizzate anche mostre e riunioni. All’interno è infatti presente pure una sala che associazioni o gruppi possono affittare per i loro incontri. Con la volontà di aprire questo centro ancora di più verso la popolazione e al contempo aiutare chi ha bisogno, in futuro Minoli immagina di attivare una ‘mensa della solidarietà’. Nel refettorio vi sarebbe la possibilità di pranzare, pagando il piatto un po’ di più in modo da contribuire a un pasto caldo per qualcuno che ne ha bisogno e non potrebbe permetterselo.
Tra le situazioni curiose che si sono verificate in questi mesi, spicca fra tutte la nascita di un bambino. Un’ospite tedesca ha infatti partorito nella struttura il suo quinto figlio. «Alloggiava da noi da una settimana ed era prossima al parto». A Lisa Bosia Mirra s’illumina il volto nel raccontarlo: «Quando ha avvertito le contrazioni abbiamo subito chiamato la Croce Verde per il trasporto all’ospedale. Ma l’ambulanza non ha avuto il tempo di arrivare che il bambino era già nato».
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Silvana Buzzi, co-fondatrice con il compianto marito Luca della struttura di prima accoglienza