Nella corsa a Palazzo Civico tra i mal di pancia a destra e le carte che sconfessano la maggioranza del Municipio nell'inchiesta penale sull'ex Macello
Uno impersona l’agnello sacrificale, l’altro è pronto a immolarlo e il terzo resta a guardare, preoccupandosi, però, di non fare la stessa fine del primo. Sono tre protagonisti della corsa al Municipio di Lugano, nella lista unica Lega-Udc, in una tornata elettorale nella quale c’è probabilmente in gioco qualcosa di più della ‘semplice’ poltrona di sindaco. I nostri protagonisti sono l’uscente municipale Tiziano Galeazzi, che non è disposto a interpretare il ruolo di capro espiatorio; il presidente nazionale democentrista dimissionario Marco Chiesa, che già prima dello scorso Natale aveva chiesto un posto nella lista malgrado la brillante riconferma al Consiglio degli Stati a novembre, e il sindaco leghista Michele Foletti, che non ha nascosto il proprio imbarazzo per l’ingombrante presenza del senatore luganese nella squadra.
Stride, in questa campagna elettorale definita fiacca, che la maggior parte dei media eviti di parlare dei malumori interni ed esterni generati dalla presenza del senatore e del recente sviluppo della seconda inchiesta penale sull’abbattimento di un edificio dell’ex Macello, che sconfessa in modo eclatante la versione fornita dalla maggioranza di destra del Municipio. Ma la partita per il sindacato di Lugano ruba la scena. Passa così in secondo piano l’incertezza su chi sarà probabilmente eletto in Municipio a rappresentare la sinistra. Dopo la rinuncia di Cristina Zanini Barzaghi, a giocarsela, sono almeno in tre: Tessa Prati, Carlo Zoppi e Raoul Ghisletta. Potrebbero fare la differenza i voti provenienti dagli altri schieramenti, mentre pare complicato l’ingresso a Palazzo Civico di Amalia Mirante, che, però, dovrebbe riuscire a conquistare consensi anche dal centro e da destra. Le candidature di parecchie liste preannunciano una frammentazione partitica che ostacolerà l’attività del Legislativo. Dovrebbero riuscire a mantenere il seggio, abbastanza tranquillamente, tutti i municipali in carica del Plr e del Centro.
Il discorso cambia, invece, sul fronte Lega-Udc. Il silenzio di Chiesa, che si candida senza voler pestare i piedi al sindaco, ma pare pronto a fargli le scarpe, è comprensibile: deciderà in base ai risultati elettorali. Che vinca anche a Lugano non è così scontato. Rimane un’incognita l’umore dell’elettorato, al quale, tuttavia, sono dovute risposte prima del 14 aprile, non dopo, anche se per alcuni, questa è una questione ridondante. Critiche in tal senso non sono mancate, come quella del consigliere di Stato leghista Zali. Tanto da insinuare crepe nella compattezza dello schieramento di destra. Eppure, è essenziale chiarire alla cittadinanza i motivi di una candidatura controversa. Altrimenti, si delinea lo scenario tratteggiato di recente su queste colonne: Chiesa a Palazzo Civico, al suo posto a Berna Norman Gobbi (con credenziali in picchiata, però, ora che è finito sulla graticola) e Piero Marchesi a Palazzo delle Orsoline. È impensabile, ma siamo pronti a essere smentiti, che chi verrà scelto come primo dall’elettorato, lasci la poltrona al secondo.
Tanti si chiedono perché Chiesa non abbia aspettato una legislatura per presentarsi. Anche no. Sarebbe stato sciocco non cavalcare l’onda di consensi ricevuti qualche mese fa: tra quattro anni la situazione potrebbe non essere più così favorevole. Del resto, l’appetito vien mangiando e l’ipotesi di una sua discesa in campo alle Comunali, dopo il decesso di Marco Borradori, l’avevamo evocata già per ben tre volte, nel 2021, nel 2022 e nel 2023. Allora, però, non ci credeva nessuno. Già.