Per lo storico Ilan Pappé, ‘Israele ha ignorato la miseria inflitta alla popolazione di Gaza’. Un cessate il fuoco? ‘Solo con l’impegno degli Usa’.
La guerra tra Israele e Hamas che va avanti dallo scorso 7 ottobre continua a colpire i civili. Fin qui sono 8mila i morti nei raid dell’esercito israeliano (Idf) tra i palestinesi, di cui 3’324 bambini, mentre 1’400 sono le vittime israeliane dall’avvio dell’operazione Tempesta di al-Aqsa da parte di Hamas. Abbiamo parlato delle cause e delle dinamiche del conflitto in corso con lo storico israeliano dell’Università di Exeter, Ilan Pappé, autore tra gli altri del volume ‘The Making of the Arab-Israeli Conflict, 1947-1951’ (I.B. Tauris) e tra i fondatori della campagna di Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds).
Come è stato possibile che il movimento che governa la Striscia di Gaza abbia preso di sorpresa uno dei più sofisticati sistemi di sorveglianza al mondo lo scorso 7 ottobre entrando in territorio israeliano, uccidendo centinaia di civili e prendendo centinaia di ostaggi, molti dei quali in seguito sono stati trasferiti a Gaza? È sembrato che per alcuni giorni lo Stato fosse assente. C’è stata una sottovalutazione del rischio di un possibile attacco da parte delle autorità israeliane?
Non si tratta di certo della prima sorpresa e neppure sarà l’ultima. Hamas ha potuto perpetrare questo attacco in particolare per le priorità del governo israeliano. Benjamin Netanyahu era interamente concentrato sulla Cisgiordania e ha abbandonato la difesa del confine meridionale del Paese. C’è stata anche una forma di arroganza tra gli orientalisti israeliani all’interno delle forze di sicurezza o nei media per cui credevano di sapere cosa pensano e quali sono le strategie dei palestinesi.
Vuole dire che tutto questo sangue è il frutto di un conflitto che va avanti all’infinito, senza soluzione, della colonizzazione dei territori occupati, dell’assedio di Gaza?
Tutto questo ci riporta a una totale mancanza di comprensione della realtà degli ultimi 75 anni. Cioè stiamo parlando di un popolo colonizzato, quello palestinese, che non ha rinunciato alla sua lotta contro la colonizzazione. Quello che in particolare è mancato sulla comprensione della situazione sul campo da parte israeliana, sia se si guarda alla rappresentazione mediatica sia se si considera l’azione dell’intelligence, è stato di ignorare la miseria che ha inflitto alla popolazione di Gaza sin dal 2007 e che sarebbe di certo esplosa prima o poi, come è successo qualche giorno fa. Sapevamo che sarebbe accaduto, non immaginavamo quando e come, ma eravamo sicuri che sarebbe accaduto. Quando uso il “noi”, mi riferisco a tutti coloro i quali non sono prigionieri della narrativa sionista israeliana.
Gli attacchi di Hamas possono essere stati motivati dall’avversione per la normalizzazione tra Egitto, Arabia Saudita e Israele che era in corso, con la mediazione degli Stati Uniti, a 50 anni dalla guerra dello Yom Kippur (1973)? L’intesa sembra ormai essere stata accantonata, in seguito allo scoppio del conflitto, e dopo il colloquio telefonico senza precedenti tra il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, e il principe ereditario saudita, Mohamed Bin Salman, in cui i due leader hanno espresso l’impegno comune per fermare l’escalation del conflitto in corso e il pieno sostegno alla causa palestinese.
Io penso che il motivo principale che ha spinto il movimento che governa la Striscia di Gaza ad agire sia stato di fermare l’assedio e chiedere il rilascio dei prigionieri. È possibile che l’accordo con l’Arabia Saudita abbia determinato il momento temporale in cui è stato deciso e attuato questo attacco, ma non era di sicuro la principale preoccupazione che avevano in mente.
Possiamo quindi affermare che gli attacchi del 7 ottobre che hanno dato il via a questo gravissimo e sanguinario conflitto tra Israele e Hamas siano stati orchestrati contro le continue violazioni da parte israeliana allo status quo della moschea di al-Aqsa a Gerusalemme, luogo di preghiera per i musulmani e di visita per i non-musulmani, con i raid della polizia israeliana e la provocatoria incursione del ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir?
Dal 2020, le ripetute violazioni della moschea di al-Aqsa da parte dell’esercito e dei coloni israeliani hanno fatto accrescere nei palestinesi la motivazione di dover fare qualcosa. Anche le uccisioni dei palestinesi sin dal 2021 in Cisgiordania sono andate drammaticamente aumentando e l’Autorità palestinese si è dimostrata incapace di proteggere i suoi cittadini. E così tutti questi fattori hanno giocato un ruolo nel riaccendere il conflitto.
Si può forse sostenere che Hamas stia combattendo una guerra per la sua esistenza? In altre parole, il movimento che governa la Striscia di Gaza vuole mostrare al mondo che il conflitto israelo-palestinese esiste e non è marginale rispetto alle guerre che dilaniano il Medio Oriente, come il conflitto in Siria?
Di sicuro c’è anche questo fattore, ma il punto cruciale restano sempre lo stato di assedio e la richiesta di rilascio degli oltre 10mila prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.
A questo punto l’esercito israeliano sta esagerando, con i raid a tappeto dell’operazione Spade di ferro (2023)
che in una sola notte hanno causato oltre 700 vittime, l’invasione di terra di Gaza, già sotto assedio dopo il ritiro unilaterale israeliano del 2005, dove stanno finendo le scorte di acqua, benzina, medicinali ed elettricità, e la richiesta agli abitanti di Gaza Nord di spostarsi al confine con l’Egitto?
Siamo oltre l’esagerazione. Siamo di fronte a qualcosa di simile a politiche di genocidio che non possono essere comparate con nessuna altra azione o attacco che Israele abbia inflitto negli anni passati contro la Striscia di Gaza.
Con il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, che, dopo anni di sostegno incondizionato a Israele, si è detto contrario allo spostamento dei palestinesi di Gaza in Egitto, in questo contesto di conflitto così grave, come è possibile avviare una mediazione per un corridoio umanitario, il rilascio degli ostaggi e una tregua tra le parti?
Tutto è nelle mani degli Stati Uniti in questa fase. Nel momento in cui il corridoio umanitario e il rilascio degli ostaggi saranno la principale priorità statunitense, Israele agirà di conseguenza. Altrimenti ci sono davvero opportunità molto limitate perché questo scenario si realizzi.