laR+ IL COMMENTO

Il Consiglio della magistratura? Un tantino sotto stress

Non c'è solo il caso Perucchi Borsa. Nell'organo di autogoverno delle toghe la maggioranza dei membri è nominata... dal parlamento. Rischio interferenze

In sintesi:
  • L'avvocata luganese, finita sotto inchiesta penale, si è autosospesa dal Cdm. Era il minimo che ci si poteva aspettare
  • Gli altri nodi da sciogliere
  • Chi è stato eletto per fare le leggi si interroghi anche su indipendenza e autonomia del potere giudiziario. Non pensi solo alla ripartizione partitica dei posti 
Per il Cdm non c’è pace
3 ottobre 2023
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Per il Consiglio della magistratura – l’autorità che in Ticino vigila sul funzionamento del sistema giudiziario con poteri disciplinari nei confronti di procuratori pubblici e giudici inadempienti – non c’è pace. Il precedente Cdm ha rimediato una pessima figura (un eufemismo), certificata anche da una sentenza del Tribunale d’appello, per come aveva agito in occasione dell’elezione/rielezione, nel 2020, dei procuratori. Quello, ampiamente rinnovato, a cominciare dalla presidenza, entrato in carica in gennaio, è alle prese con un problema dopo neppure un anno di attività. Uno dei suoi componenti non togati, l’avvocata Simonetta Perucchi Borsa, ex consigliera comunale del Ppd (oggi Centro) a Lugano, è finita sotto inchiesta penale. Per le ipotesi di riciclaggio, in alternativa carente diligenza in operazioni finanziarie, e falsità in documenti. Reati ai quali lei continua a dichiararsi estranea. Ma la notizia oggi non è questa: già si sapeva dell’invito alla Procura a indagare sull’avvocata formulato dal presidente della Corte delle Assise criminali, Amos Pagnamenta, durante la lettura del verdetto di colpevolezza nei riguardi del faccendiere italiano Nicolò Svizzero. Era mercoledì 13 settembre. La novità di queste ore è la decisione di Perucchi Borsa di autosospendersi temporaneamente dal Consiglio della magistratura. Una notizia appresa e divulgata ieri dalla ‘Regione’, che nei giorni successivi alle parole del giudice Pagnamenta si è costantemente interrogata sull’opportunità della presenza di Perucchi Borsa nel Cdm. Nella sua “presa di posizione” indirizzata venerdì al giornale, l’avvocata ha ribadito di respingere “con forza” ogni accusa, senza tuttavia accennare a un’eventuale autosospensione. Una decisione che aveva (avrebbe) però comunicato ai vertici del Consiglio della magistratura. Non ci fossero state le giustamente insistenti ricerche/telefonate di un cronista, quanto avrebbero dovuto aspettare i cittadini per ricevere un’informazione ufficiale, che in un caso del genere, considerate le implicazioni istituzionali, e politiche, deve essere tempestiva?

Ora, al di là del comportamento apprezzabile di Perucchi Borsa, per citare il presidente del Consiglio della magistratura Damiano Stefani, l’autosospensione era il minimo che ci si potesse attendere dall’avvocata, eletta nel Cdm con gli altri membri laici lo scorso novembre dal Gran Consiglio. E qui riaffiora un altro problema, manifestatosi con il passo analogo compiuto nel febbraio 2019 da Ivan Pau-Lessi, anch’egli componente non togato. A differenza della ricusa, l’autosospensione non è prevista dai vigenti articoli della Legge sull’organizzazione giudiziaria concernenti ruolo e compiti del Consiglio della magistratura. Quest’ultimo può pronunciare sanzioni disciplinari, la più grave è la destituzione, a carico di giudici e procuratori, sanzioni impugnabili davanti alla Commissione di ricorso sulla magistratura. Nulla invece la legge dice su autosospensione o sospensione (decretata da chi?) dei membri del Cdm. Un aspetto che va finalmente chiarito sul piano normativo. Magari in quel Regolamento del Consiglio della magistratura sollecitato dal parlamento nell’ambito dei correttivi cui ha dato luce verde di recente per scongiurare il ripetersi dei pasticci procedurali che tre anni fa hanno contrassegnato il rinnovo dei mandati in seno al Ministero pubblico.

Ma c’è una questione più importante e urgente da risolvere. È un nodo che si trascina dal 1997, con l’approvazione da parte del Gran Consiglio di un emendamento targato Ppd che ha sovvertito la maggioranza nel Consiglio della magistratura, attribuendola ai non togati. Tre membri e due supplenti sono magistrati e vengono designati dall’Assemblea dei magistrati. I restanti componenti del Cdm, cioè la maggioranza, sono eletti dal Gran Consiglio: quattro membri e tre supplenti. Membri laici e non solo avvocati. Per la nomina dei quali i partiti, e relativi accordi sulla spartizione dei posti, giocano un ruolo di primissimo piano. Un’anomalia, tutta ticinese, la maggioranza di non togati in un organo di autogoverno della magistratura. Il rischio di interferenze partitiche, attraverso i laici, nel lavoro del Cdm non è assolutamente da sottovalutare. Peraltro, l’indipendenza della magistratura deve essere sì effettiva, ma pure apparente.

La vistosa anomalia è già stata denunciata nero su bianco dagli stessi magistrati. Coloro che vengono eletti per fare le leggi paiono però non considerarla. Eppure indipendenza e autonomia del potere giudiziario non si difendono soltanto a parole. Quei principi vanno anche ancorati a leggi e regolamenti. Politica colpevolmente sbadata.