La storia di due coniugi allevatori di bestiame che nel 2021 hanno rischiato di veder distrutta la fattoria dall’incendio. Poi le pecore sbranate
Prima le fiamme, poi il predatore. Un uno-due micidiale in termini pugilistici. Il colpo, al morale, è carico pesante. Di che esasperare e scoraggiare più di un allevatore di bestiame giovane, figuriamoci nel caso dei protagonisti di questa storia, in là con gli anni. Si tratta infatti di una coppia di anziani titolari della piccola azienda agricola nel Gambarogno, i coniugi Flachsmann. Con rammarico e rabbia raccontano la storia del loro gregge, che da una trentina di pecore si è ridotto alla metà a causa delle predazioni del lupo nella zona, dopo aver scampato il pauroso incendio che nel gennaio del 2022 ha colpito la zona dei monti del Gambarogno. Come molti loro colleghi, che si sentono abbandonati e un po’ presi per i fondelli dalle istituzioni e dalla politica, continuano a ribadire che nelle nostre piccole vallate la convivenza con il lupo non è possibile. Ma andiamo con ordine, perché prima dell’arrivo del predatore, ci è mancato poco che non fossero le fiamme a portarsi via il loro gregge. Il rogo boschivo che ha interessato in particolare i boschi sul versante di Indemini (con l’evacuazione frettolosa degli abitanti) ha fortunatamente solo lambito il fondo dell’azienda agricola, senza causare danni grazie al lavoro dei pompieri. Ma per i due coniugi, quella notte di paura è stata un vero incubo: «Hanno dovuto portare via il bestiame presente in zona Pezze e metterlo in salvo nella stalla situata all’Alpe di Neggia – racconta la figlia –. Grazie anche all’aiuto di familiari tutto è andato a buon fine. Per due settimane comunque i miei genitori non hanno potuto far rientro in paese perché nella zona dell’azienda persisteva pericolo di caduta di sassi e l’acqua era stata dichiarata non potabile dopo i controlli che hanno fatto seguito all’incendio. Grazie alla disponibilità di un’allevatrice di bestiame del Gambarogno le pecore sono quindi state provvisoriamente trasferite in un’azienda sui Monti di Gerra, dove sono rimaste per due settimane. Per alcuni mesi l’acqua è rimasta non potabile. Si è dovuto garantire l’approvvigionamento per l’abitazione e l’azienda tramite cisterne e condotte provvisorie».
Ma il calvario vero e proprio doveva ancora iniziare. Nel maggio di quest’anno, si verifica una predazione. Solo una settimana dopo la transumanza per l’estivazione sui Monti di Sciaga, che la Sezione dell’agricoltura ha successivamente definito come ‘non proteggibili’. Nel corso di una notte di fine maggio, il lupo (o forse più lupi) partono all’attacco e fanno una mattanza. Della trentina di ovini, se ne salva la metà. «Mia madre se n’è accorta quando una pecora stranamente è rientrata in stalla. A quel punto ha temuto il peggio. Si è messa a cercare il resto del gregge e ha potuto recuperare una dozzina di capi. Molti esemplari presentavano ferite da morso e sono stati medicati». I due anziani, affezionati al loro bestiame da reddito, non si danno pace e proseguono per giorni le ricerche del resto del gruppo. Tre ovini, vivi, vengono recuperati nelle settimane successive. Un agnello è addirittura rinvenuto in un pascolo di mucche del Malcantone. Non porta migliori risultati nemmeno l’impiego di un drone messo a disposizione da un vicino di casa. Altrettanto logorante come il sali e scendi lungo i pendii è la parte burocratica che attende i due anziani: fino a quando non saltano fuori le carcasse ed è dimostrata la predazione, niente rimborso (anche se poi non c’è moneta che compensi i capi uccisi a un allevatore: ogni pecora è una ‘sua pecora’, frutto del ‘suo’ lavoro e delle sue cure, ndr). Con gli uffici dipartimentali parte il consueto tira e molla (prezioso per la coppia risulta essere l’aiuto e la consulenza di Armando Donati, presidente dell’Associazione per un territorio senza grandi predatori).
A settembre, cronaca recente, dopo ricorsi al Dipartimento e lettere al Consiglio di Stato, arriva finalmente la conferma che vengono risarciti tutti i 12 capi rinvenuti, mentre i 5 dispersi no: «Una dimostrazione di mancanza di rispetto ed empatia nei confronti di chi lavora, fa sacrifici e cura il territorio – commenta la figlia –. Il groviglio di leggi non aiuta a capire e, mentre dalle pecore superstiti ma ferite sono stati prelevati campioni di tessuto per l’esame del Dna, dalle carcasse ciò non è stato fatto. Ci siamo chiesti se non fosse consentito l’eventuale abbattimento preventivo del lupo dal momento che si raggiunge la soglia minima di capi predati (la revisione della legge è entrata in vigore il 1°luglio). Altrove in Svizzera si interviene, qui da noi no. Ci sentiamo poco considerati. La gestione del predatore non funziona. Ci è chiaro che ormai bisogna imparare a conviverci, ma è evidente che così non si può proseguire».
Serve una nuova regolamentazione che per molti allevatori, quando arriverà, forse sarà già tardi. Occorrono abbattimenti selettivi laddove la situazione si è fatta insostenibile. I Flachsmann l’anno prossimo, dispiaciuti per gli animali dei quali si prendono cura, lasceranno la loro attività. E altri allevatori, se il contesto non muterà, seguiranno le loro orme.