Il racconto di Mattia Marinelli: ‘Abbiamo fatto in tempo a prendere un cambio biancheria e i documenti, per poi scappare. Del resort resta solo cenere’
Sole, mare e relax. Tanto relax. Doveva essere la classica vacanza per ricaricare le batterie, lontano dal tran tran quotidiano, ideale per riposare, immersi nell’ameno paesaggio della Grecia. Una meta che, del resto, è parecchio gettonata dai turisti, anche ticinesi. Come il gruppo di cinque famiglie di Lugano, ventuno persone in totale, di cui undici bambini, che lunedì hanno lasciato le rive del Ceresio per volare sull’isola di Rodi.
Già, ma come appunto detto in apertura, ‘doveva’ essere una vacanza di relax. Perché nei giorni seguenti la situazione ha preso tutta un’altra piega. «Al nostro arrivo ci avevano informati che sull’isola era divampato un incendio – ci racconta, da noi raggiunto in Grecia, Mattia Marinelli, uno dei componenti del gruppo di ticinesi bloccati a Rodi –. Ci avevano però detto che non avevamo motivo di cui preoccuparci, perché il resort che avevamo scelto come ‘campo-base’ per le nostre vacanze si trovava tutto da un’altra parte rispetto al posto dove divampava l’incendio: noi eravamo nella zona sud-est dell’isola, mentre l’incendio era localizzato più al centro».
Con il passare dei giorni, però, le cose cambiano, e non di poco… «Qualche giorno dopo abbiamo però cominciato a notare una imponente colonna di fumo all’orizzonte, cosa che ovviamente ci ha fatto salire un po’ l’ansia. C’era logicamente dell’apprensione, ma sempre, quando confidavamo a qualcuno del resort le nostre perplessità, ci venivano date in tutta risposta parole tranquillizzanti».
Ieri (sabato, 22 luglio, ndr), tuttavia, il corso degli eventi ha subìto un’ulteriore accelerazione, fino a precipitare. «Come ci siamo alzati abbiamo notato un fumo decisamente più denso rispetto al giorno prima, evidente segno che le fiamme si erano decisamente avvicinate per rapporto ai giorni precedenti. Ancora una volta però dal personale dell’albergo sono arrivate parole rassicuranti. Non del tutto convinti, abbiamo comunque deciso di farci una nuotata al mare. Proprio mentre eravamo in spiaggia è iniziato l’andirivieni di elicotteri con la benna per fare il pieno d’acqua da scaricare sull’incendio e pure dei canadair. E all’orizzonte le fiamme a quel punto si vedevano pure a occhio nudo… A un certo punto sulla spiaggia abbiamo visto arrivare parecchia gente dei resort più vicini al luogo da dove si scorgeva la colonna di fumo. E non arrivavano certo con costume e asciugamano per farsi una nuotata nel mare: in mano avevano quel che erano riusciti a radunare in fatto di effetti personali e stavano cercando un luogo dove riparare… Poco più tardi siamo stati raggiunti in spiaggia dal personale del nostro resort: senza tanti giri di parole ci hanno messo faccia a faccia con la realtà: ‘Cosa state facendo ancora qui, in spiaggia?’, ci hanno chiesto. E subito dopo: ‘Non c’è tempo da perdere: le fiamme minacciano l’albergo, ragion per cui dovete radunare quello che potete e andare via».
Cosa che Mattia Marinelli e compagni di sventura fanno senza farsi pregare: in men che non si dica si fiondano nel resort, raccattano lo stretto indispensabile («ognuno si è preso i documenti, un cambio di biancheria e pochissimo altro: letteralmente i classici due stracci. Come provviste d’emergenza ci siamo arrangiati come potevamo, prendendo quello che c’era nel frigo della camera dell’albergo») per poi scappare.
«Ci siamo incamminati per la strada: abbiamo marciato per tre chilometri, in direzione opposta alla colonna di fumo. Abbiamo lasciato l’albergo verso le 14.30 e verso le 17 abbiamo raggiunto una spiaggia sulla quale c’erano delle persone. Ci hanno detto che per il momento quello era il posto più sicuro in cui aspettare ulteriori istruzioni, per cui ci siamo fermati lì, fino a notte fonda. Alla 1 della notte su oggi (domenica) al largo di quella spiaggia è arrivata una barca che ha iniziato a imbarcare gli sfollati. Siamo saliti a bordo pure noi. Da lì siamo stati portati su un traghetto, attraccato al largo del porto di Rodi, circa tre ore di navigazione rispetto a dove ci trovavamo noi. Mentre ci spostavamo, in lontananza, abbiamo visto il nostro hotel. O, meglio, abbiamo visto ciò che ne restava: praticamente solo cenere…».
Dai piani originari, Mattia Marinelli e gli altri ticinesi del suo gruppo avrebbero dovuto far rientro in Ticino venerdì prossimo, 28 luglio. Visti gli accadimenti, logicamente, le coordinate del viaggio sono drasticamente mutate e il loro rientro in patria, salvo ulteriori rallentamenti, dovrebbe avvenire nella giornata di oggi, lunedì. «Abbiamo cercato di metterci in contatto con l’Ufficio federale degli affari esteri per avere qualche ragguaglio su come muoverci, su cosa dover fare in una situazione così. Poi abbiamo interpellato l’ambasciata svizzera a Rodi, come pure l’agenzia viaggi con cui avevamo organizzato il viaggio e i responsabili dell’albergo dove eravamo alloggiati. Insomma, ci siamo rivolti a chiunque altro potesse fornirci delle indicazioni, visto che situazioni così non capitano certo tutti i giorni, e per fortuna aggiungerei! Ma non abbiamo ricevuto che risposte vaghe e niente di concreto su cosa fare. Se non l’invito a seguire le indicazioni del personale preposto all’evacuazione e delle autorità locali. Così abbiamo deciso di muoverci per conto nostro e cercare il modo di tornare al più presto in Ticino: in serata un traghetto dovrebbe portarci dall’isola di Rodi a quella di Kos, e se tutto dovesse andare per il verso giusto (e lo speriamo veramente), nel pomeriggio di domani (alle 14) dovremmo avere un volo per la Svizzera per mettere finalmente la parola fine a questa odissea. Anche se di certo, anche una volta tornati in Ticino, ci attende tutta un’altra trafila burocratica da espletare».
Come Mattia Marinelli e il resto del gruppo di luganesi, altri turisti ticinesi si trovavano proprio in questi giorni in vacanza a Rodi. Fra questi anche una coppia di Locarno con la figlia undicenne, pure loro in attesa di rimpatriare in fretta e furia.