Sempre più aggressivi, i pusher nei boschi del Varesotto e Comasco servono anche tanti clienti ticinesi. Una giornata con chi li combatte sul campo
«Avevamo di fronte un grosso cespuglio, siamo riusciti a ridurlo a una siepe da cui tagliare i rami secchi». Con questa immagine il capitano Vincenzo Piazza, comandante della Compagnia dei Carabinieri di Luino, descrive i risultati della lotta allo spaccio di droga che imperversa nelle zone boschive delle province di Como e Varese a ridosso del confine con il Ticino. Uno sforzo che negli ultimi due mesi ha ricevuto uno slancio importante dall’entrata in campo degli squadroni dei Cacciatori, reparti speciali dell’Arma dei Carabinieri esperti nelle operazioni in luoghi impervi. Per saperne di più su questa battaglia contro quello che è un fenomeno criminale in pericolosa ascesa, siamo andati a conoscerne i protagonisti. Con loro abbiamo passato una giornata fra colloqui e sopralluoghi sul campo.
Da lontano potrebbero essere scambiati per normali escursionisti intenti a godersi le bellezze della natura: una tenda (spesso realizzata con telai e materiali di fortuna), un piccolo fuocherello per riscaldare e addirittura un piccolo angolo cottura, dove sistemare pentolini e altri contenitori, diverse bottigliette d’acqua. Eppure questi uomini che – sempre più spesso – sono stati visti sbucare dai fitti e tetri boschi d’oltre confine non sono ‘gente qualunque’, ma spacciatori che da ormai diverso tempo hanno trasformato le zone boschive del Varesotto e del Comasco in vere e proprie piazze di spaccio. Un giro d’affari ancora non quantificato, ma che potrebbe valere diverse centinaia di migliaia di euro, forse anche milioni e che si svolge in zone a noi vicine come la Valganna e la Valcuvia. O anche proprio a ridosso del confine, come al Biviglione, nei pressi di Luino, teatro del nostro sopralluogo in compagnia dei Carabinieri, appena sopra la strada provinciale che costeggia la Tresa: qui il Ticino è semplicemente al di là del fiume.
Come spiegano il Comandante provinciale dei Carabinieri di Varese, colonnello Gianluca Piasentin, il loro profilo è chiaramente definibile: si tratta nella quasi totalità di persone provenienti dalle zone montuose del Maghreb, immigrati in modo irregolare, e che abitualmente non vivono nelle località in cui operano. Essi sono inseriti in un contesto ben strutturato e formano dei sodalizi criminali. Non si tratta, però, di un’unica organizzazione ma di piccoli gruppi che agiscono individualmente e che spesso, soprattutto negli ultimi mesi, sono entrati in conflitto fra di loro contendendosi le varie zone di spaccio: ciò ha generato diversi episodi di violenza, sfociati anche in ferimenti con armi bianche o da fuoco. Anche alcuni omicidi avvenuti recentemente potrebbero essere collegati alle lotte fra le varie bande, anche se è tuttora in campo l’ipotesi che si possa trattare di punizioni interne ai vari gruppi. Come spiega il colonnello Piasentin, è molto difficile identificare i soggetti criminali, in quanto, essendo giunti in Italia aggirando le normali procedure di registrazione dei migranti, non c’è nessuna traccia di essi nei database a disposizione delle forze dell’ordine. «In pratica sono dei fantasmi», conclude.
«I pusher creano dei bivacchi di fortuna, dove di fatto vivono per alcuni giorni, alternandosi in turni, e dove vengono custoditi gli stupefacenti. In genere questi rifugi si trovano più a monte rispetto ai luoghi in cui avviene lo scambio con il cliente: più vicini a essi, invece, abbiamo delle postazioni temporanee in cui il “cavallino”, ovvero la persona incaricata di consegnare la droga e ricevere in cambio il denaro provvede al confezionamento delle dosi. Il contatto con i consumatori avviene in genere tramite telefono, spesso su chat di Telegram o Whatsapp, come emerso dal sequestro di diversi telefoni cellulari sul campo. Ci si accorda con il cliente sul luogo, tramite messaggi in codice, ad esempio comunicando il modello e il colore dell’auto: in genere si tratta di strade provinciali poco frequentate su cui a volte vengono posti dei segni di riconoscimento in corrispondenza del luogo dello scambio. Avvistata la vettura, dunque, lo spacciatore esce rapidamente dal bosco, effettua la consegna e altrettanto di corsa rientra fra la boscaglia»
Ma lo spaccio non è l’unico dei problemi. «Come in una spirale, esso produce altri fenomeni criminali», spiega Piasentin, «Prima di tutto, gli scontri fra bande rivali, sempre più cruenti e che lasciano sul campo anche dei feriti. C’è anche un pericolo concreto per la popolazione: sono numerose le segnalazioni di persone, ad esempio cacciatori, escursionisti o cercatori di funghi, che si sono trovate a passare nelle zone controllate dagli spacciatori e che da essi sono state minacciate verbalmente o anche con armi bianche, persino dei machete, perché si allontanassero. Il bosco diventa dunque, da luogo di svago per i cittadini, un’area di controllo dove questi gruppi perpetrano i loro crimini». E c’è anche un aspetto ambientale. «I pusher lasciano in genere sul campo una grande quantità di rifiuti: ad esempio il cellophane con cui è incartato lo stupefacente, avanzi di cibo, vestiti usati. Soprattutto, a costituire il rischio maggiore per l’ambiente sono le batterie delle auto che vengono utilizzate per ricaricare i telefoni cellulari: tanto che, in genere, quando si smantella un bivacco è poi necessario intervenire per bonificare tutta l’area. Ci poi stati, infine, degli incendi nelle zone boschive anche in inverno: non è accertato, ma si pensa che possano essere correlati alle attività di spaccio».
Nel concreto, quanto il nostro cantone è toccato da tale fenomeno? «Mettendosi nei panni degli spacciatori, sicuramente la vicinanza con la Svizzera, e di conseguenza con il Ticino, gioca un punto molto importante per i loro affari. E questo per due ragioni: in primo luogo perché svolgere le proprie attività criminali qui, a ridosso del confine, permette loro di ampliare il bacino di clientela, attingendo a consumatori non solo italiani ma anche elvetici. E poi c’è la vicinanza che rende più comodo il rapporto di compravendita. Un tempo per ottenere la droga bisognava magari spostarsi nelle grandi città lombarde o nell’hinterland milanese, ora la si può trovare anche nelle zone più periferiche e discoste, come questi boschi», spiega il colonnello Piasentin, che prosegue: «Non possiamo sapere con certezza quanti sono i clienti provenienti dal Ticino, ma ci sono. La prova sono le diverse banconote svizzere sequestrate durante le nostre operazioni. Il fatto che gli spacciatori siano predisposti ad accettare anche i franchi svizzeri significa che non disdegnano il mercato elvetico e che anzi, vivono anche grazie a questo».
Certo, una clientela che fa gola e che a sua volta è molto ingolosita dalla vicinanza di questi venditori quanto dai ‘prezzi bassi’ che concedono per una dose di eroina oppure di hashish. C’è poi anche un altro fenomeno di cui tener conto, ovvero che nelle scorse settimane diversi bivacchi sono stati scoperti proprio a pochissimi passi dal confine che separa i due Paesi e, stando alle autorità italiane, vi sarebbe uno spostamento sempre più a nord, a ridosso della Svizzera, appunto. Potrebbero esserci stati dei casi anche di sconfinamento? «Da quello che abbiamo potuto constare noi, no. Non conviene loro, rischierebbero troppo. Come già detto la stragrande maggioranza di questi individui è sprovvista di regolare permesso. Sconfinare per loro significherebbe essere doppiamente clandestini: sia qui che in Svizzera e, in caso di cattura, questo comporterebbe maggiori possibilità di essere espulsi. Per non parlare poi dei fattori logistici. Per raggiungere i bivacchi o i punti di incontro spesso percorrono brevi tratte, ma molto impervie e scoscese. Fare ciò oltrepassando addirittura una frontiera – seppure naturale – per vendere alla fine piccole quantità di droga è molto complesso e faticoso. Molto più che appostarsi dietro un cespuglio, aspettare la chiamata del cliente e poi corrergli incontro per consegnargli la sostanza stupefacente», afferma il colonnello Piasentin.
C’è poi un altro aspetto determinante che il comandante dei Carabinieri ha voluto sottolineare, e che riguarda il profilo del ‘consumatore tipo’: «Negli anni non solo abbiamo visto una delocalizzazione degli spacciatori che appunto, dalle metropoli si sono spostati verso zone più provinciali. C’è stata anche una diversificazione della clientela. Un tempo il tossicodipendente era un soggetto ben riconoscibile e che apparteneva a un determinato ceto sociale o a una certa generazione. Ora il fenomeno è trasversale: oggi consumano droga il medico o l’avvocato di successo, così come l’operaio o la maestra di scuola, per non parlare poi dei giovanissimi. Lo spaccio è in aumento perché sono aumentati i consumatori che possono avere tanti tipi di stupefacenti a disposizione e a prezzi anche abbordabili».
Sono addestrati a operare su terreni impervi, spesso a caccia di latitanti nelle zone più inaccessibili del Sud Italia, in particolare Sardegna, Puglia, Sicilia e Calabria. Parliamo dei Reparti Eliportati Cacciatori dell’Arma dei Carabinieri italiana, in breve i Cacciatori, divisi in quattro squadroni che prendono il nome dalle regioni in cui sono di stanza. Si muovono nei boschi a passi lenti e cauti, tastando il terreno con attenzione, attenti a non emettere il minimo rumore: un fruscio di fogliame o un ramo spezzato, infatti, amplificati dal silenzio del bosco, bastano spesso a causare la fuga repentina degli spacciatori. «Ormai sono abituati» raccontano a laRegione «al minimo rumore, anche solo di un animale selvatico, lasciano immediatamente il bivacco». A volte, per questo, i Cacciatori scelgono proprio di allungare il tragitto, anche a condizione di prendere percorsi più accidentati, per non rischiare, ad esempio, di calpestare un tappeto di foglie che potrebbe produrre un rumore eccessivo. Sono loro, in questi ultimi due mesi, ad aver condotto sul campo la battaglia contro lo spaccio nelle zone boschive delle province di Como e Varese, forti della preparazione ricevuta a operare su terreni difficili.
Un apporto che si è rivelato decisivo, come conferma il Comandante del Comando provinciale di Varese, sia in termini di competenze e di equipaggiamento, sia in termini di forze in campo, permettendo ai comandi territoriali dei Carabinieri di non distogliere forze dai consueti compiti di controllo del territorio e di contrasto della criminalità comune. Inoltre, essendo a tutti gli effetti Carabinieri, possono svolgere non solo compiti di controllo ma anche agire con compiti di polizia giudiziaria, procedendo in particolare agli arresti sul campo. Il bilancio degli ultimi due mesi, grazie all’opera dei Cacciatori, parla di una settantina di bivacchi smantellati, 15 arresti, e il sequestro di circa 2kg di stupefacenti fra eroina, cocaina, hashish e marijuana e di contanti per un valore complessivo di 25-30mila euro, oltre a coltelli, machete e armi da fuoco. Ma tutto ciò, sebbene costituisca un importante colpo inferto alle bande di spacciatori, non basta da solo a eradicare il fenomeno. Ne sono convinti i protagonisti di questa lotta: «se vogliamo davvero che il traffico di droga cessi di esistere, dobbiamo far sì che cessi di esistere il consumo».