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Lacrime di Caimano: funerale show per Berlusconi

Bandiere, cori, vecchie star e un album di figurine della Seconda Repubblica.Tutti al Duomo per omaggiare il Cavaliere con gli adepti di Forza Italia

Il funerale con il filtro Milan
(Keystone)

Sembra il funerale di un monarca messo lì nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo di una finale di Champions League; o una cerimonia dei Telegatti rinviata per una ventina d’anni, con i protagonisti irriconoscibili perché troppo vecchi o perché hanno fatto qualche ritocco di troppo per non sembrarlo. Sembra una collezione di figurine della Seconda Repubblica (Rotondi celo, Bossi celo, Letta celo, Scajola celo, Fini manca). A un certo punto, quando i vari corpi militari marciano in perfetta sincronia verso l’ingresso del Duomo potrebbe sembrare perfino la gigantesca, coreografica retata di un musical.

Ma, più di tutto, sembra il finale strabordante di un film di Fellini, a cui oggi non basterebbero Anita Ekberg dentro una fontana o un cavallo in autostrada per superare in stramberia l’addio a Berlusconi, postmoderna Guernica d’Italia, che la guardi e vedi tutti i pezzi fuori posto, eppure – guai a toccarla – perché ha senso così, t’inchioda così. Se lo sarebbe comprato uno spettacolo del genere Silvio Berlusconi: nel frattempo tutte le sue reti, e anche quelle degli altri, lo stavano trasmettendo in diretta tv.


Keystone
Striscioni per Silvio

Non s’erano mai visti dei funerali di Stato con un incessante sventolare di bandiere con su scritto “Baresi 6”, “Nervi tesi”, “Estremi rimedi” o con il disegno di un hooligan incappucciato e a volto coperto. E non vedremo mai più un uomo a cui è stato concesso l’onore del “lutto nazionale” accolto non da un requiem, ma dal ben più prosaico e chiassoso “c’è solo un presidente, un presidenteeee”.

Perché sì, è questo il coro che ha accolto la bara di Silvio Berlusconi, alle 14.53 sotto un sole cocente e cocciuto che non ha dato tregua a chi ha riempito la piazza. Dietro al feretro i figli: in prima fila il più giovane, Luigi per mano alle due sorelle, Eleonora, dama d’altri tempi, in nero con un velo quasi ottocentesco, e Barbara nascosta dietro gli occhiali scuri. Un passo indietro, sempre per mano, i figli della prima moglie (Carla Dall’Oglio, in lista, ma assente) Piersilvio e Marina con l’ultima compagna del patriarca, Marta Fascina, che non ha mai smesso di piangere. Alla testa del corteo ci sono anche il fratello Paolo e la seconda moglie di Berlusconi, Veronica Lario, che rimarrà perlopiù in disparte.

Gli italiani di Forza Italia

Oltre la prima transenna ci sono i giornalisti e i fotografi imbufaliti con le telecamere della Rai che impallano tutto e tutti. Qualche metro e una transenna più indietro c’è il popolo di Silvio, arrivato da tutta Italia, variegato esattamente come te lo immagini.

C’è l’incravattato con il fazzoletto nel taschino che sembra appena uscito da un meeting di Publitalia, la matrona del sud a cui manca solo il mattarello e il nonno con un vecchio cappellino Mediolanum con le mani sulle spalle delle due nipotine: una tiene in mano la bandiera di Forza Italia, l’altra un messaggio d’amore eterno per il caro estinto.


R. Scarcella
Apple Watch, Silvio Edition

C’è la signora in tuta che sembra teletrasportata dal salotto di casa con ancora accesa Rete4 e la ragazza in tuta fresca di doccia post-palestra; c’è l’inconsolabile milanista tatuato che urla incessantemente “grazie Silvio” e il pensionato milanese con una bandana vagamente somigliante all’originale, sia lui che la bandana; c’è la bionda avvenente con la borsa di Gucci poggiata sulla transenna, la mora con il sacchetto del supermercato, la versione mignon di Serena Williams con tanto di cappellino da tennista e la sciura con le paillette nere e l’orologio d’oro.

Ci sono tutti: l’hanno votato, amato, sostenuto oltre ogni ragionevole e irragionevole dubbio. Chi non è arrivato sin lì se ne sta nelle retrovie con il cellulare rigorosamente tenuto in alto, oltre la marea umana, a mo’ di periscopio per sommergibile.

Qualcuno ha trovato posto sulla terrazza alla destra del Duomo, dove campeggia la scritta Aperol, simbolo di quella Milano da bere che Berlusconi ha praticamente inventato.

In fondo alla piazza spunta anche qualche contestatore. Dicono “non in mio nome”, ma sembrano imbucati a una festa altrui. Lo sanno anche loro, che non si scompongono più di tanto mentre vengono accompagnati alla porta.

L’inno alla vita

Quando i carabinieri scortano la bara dentro il Duomo si alzano altri cori, le bandiere riprendono vigore. Dentro l’atmosfera è solenne, fuori è tutto il contrario. A unire le due anime ci pensa l’omelia dell’arcivescovo Delpini, trasmessa su due maxischermi. Furba, retorica senza sembrarlo ai più distratti, ha aggirato tutti i difetti di Berlusconi facendoli diventare pregi: un po’ paracula si direbbe a Roma, dove c’è il suo principale, ma tremendamente efficace.


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La bara di Berlusconi in Duomo

Uno sperticato inno alla gioia di vivere, all’ottimismo, alla voglia di fare, di essere e cercare calore umano: “Vivere. Vivere e amare la vita. Vivere e desiderare una vita piena. Vivere e desiderare che la vita sia buona, bella per sé e per le persone care. Vivere e intendere la vita come un’occasione per mettere a frutto i talenti ricevuti… Vivere e non sottrarsi alle sfide, ai contrasti, agli insulti, alle critiche, e continuare a sorridere, a sfidare, a contrastare, a ridere degli insulti…”. Usa il verbo godere due volte: “Godere il bello della vita, godere la compagnia”. Aggiunge, l’arcivescovo, che bisogna “sperimentare che la gioia è precaria”. Non si può non essere d’accordo.

Dentro annuiscono, che l’affare è solenne, fuori applaudono, che è Festivalbar.

Delpini chiude così: “In questo momento di congedo e di preghiera, che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento. Ecco che cosa posso dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio”.

Ha schivato tutte le trappole l’arcivescovo, ha illuminato quel che doveva e tenuto nell’ombra quel che non si poteva mostrare a un funerale, questo funerale. Tutto quello che mezza Italia va ripetendo da trent’anni e più resta in controluce. Se lo vuoi vedere lo vedi lo stesso, in quel discorso, sennò fai come ha fatto l’altra metà per una vita intera, ignori e – per una volta – tiri dritto flirtando con la parte luminosa di Berlusconi.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha l’aria di chi vorrebbe essere da un’altra parte, altri – quelli un po’ usciti dai radar – cercano disperatamente di comparire in un’inquadratura, altri ancora piangono infischiandosene delle telecamere.


R. Scarcella
“Veglia su di noi... e proteggici dai comunisti”

Quando il feretro esce per l’ultimo saluto si riaccendono i cori e il Silenzio d’Ordinanza di una tromba di Stato viene seguito – controvoglia dai militari – dall’inno nazionale versione stadio (“parapapappapa”). Intanto Piersilvio osserva le bandiere ondeggiare, Barbara sembra non poterne più, quasi sorretta da Luigi, mentre Marina non stacca gli occhi dalla bara. Dietro c’è il viavai di politici e vecchie star: passano Barbara D’Urso e Marco Columbro, Alba Parietti e Iva Zanicchi, Elisabetta Gregoraci e Flavio Briatore. Vittorio Sgarbi cerca quasi un modo di appiccicarsi all’auto funebre, ma deve desistere: è tempo di andare, tornare ad Arcore dove Berlusconi verrà sepolto nel suo mausoleo.

Arcore, dove tutto è iniziato

Il corteo in mattinata era partito da lì, da Villa San Martino, dove il protagonista porta lo stesso nome di un biscotto da pubblicità sul Canale 5 di un tempo, Galbusera. È stato il macellaio di fiducia di Silvio e gira avvolto in un paio di bandiere di Forza Italia. Evidentemente non gliene frega molto di che ora sia, perché al polso, al posto dell’orologio, ha una fotografia del suo amico, del suo mito. Dice che l’hanno ucciso i comunisti, i processi. Lo dice a tutti. E dice anche che quando Berlusconi divorziò dalla prima moglie, per un mese e mezzo andava tutti i giorni a casa sua assieme a Marina. A chi gli fa notare che è il macellaio dei vip, lui risponde che è “un macellaio del popolo, proprio come Silvio era un uomo del popolo”.

Il feretro dell’uomo del popolo in quel momento è nascosto dietro a transenne e macchine dei carabinieri. La villa è in fondo al viale, irraggiungibile per i comuni mortali, ma anche per Antonio Razzi e Massimo Boldi, arrivati ad Arcore convinti di avere un accesso privilegiato. Appoggiato alla transenna c’è un uomo con la maglia del Milan numero 69: il nome sulla maglia, nemmeno a dirlo, è Berlusconi. Guardi lui, la maglia, il numero, il nome, i carabinieri, Razzi e Boldi sullo sfondo, e sembra che ci sia già il riassunto di tutto, più niente da spiegare. Invece, in quel momento, manca ancora il funerale.


R. Scarcella
Berlusconi 69

Gli adepti di Berlusconi avevano iniziato il pellegrinaggio ad Arcore già nelle prime ore dopo la notizia della morte: hanno lasciato sul prato bandiere, sciarpe, ricordi, messaggi in cui viene definito “uomo di pace”, “colui che ci salvò dai comunisti”, “lo zio che non ho mai avuto”. In mezzo a una selva di maglie del Milan troneggia un “meno male che Silvio c’è stato”. Accanto una foto e una scritta con font da web anni Novanta: “Silvio veglia su di noi e proteggici dai comunisti”.

Il pellegrinaggio

È una strana processione, colorata e commossa: c’è perfino una sciarpa della Juventus per terra, accanto a fiori e messaggi d’amore di quell’amore che solo lui, tra i politici, ha saputo creare. Non è Berlusconi: la ricetta sta tutta lì. È Silvio e basta, come un vicino di casa, come l’idolo da poster in cameretta. Silvio come Vasco (Rossi), Bruce (Springsteen), Diego (Maradona). Il cognome non serve, si sa già di chi si parla. Era diventato una rockstar per alcuni, c’è poco da girarci intorno.

Mentre gli abitanti di Arcore snocciolano tutti i “ti ricordi” possibili, veri o inventati che siano, il corteo è pronto per il Duomo. A rendere tutto ancor più insensato e, se possibile, ancor più italiano sono le frecce nere su sfondo rosa del Giro d’Italia, rimaste lì, quasi a indicare la possibilità di un nuovo corteo a cui mettere intorno due ali di folla tricolori. Le inquadrature dall’elicottero durante il tragitto rafforzano quella sensazione di assistere a una tappa, l’ultima per Berlusconi.


R. Scarcella
I ricordi dei fan ad Arcore

Intanto Razzi, respinto ad Arcore, ricompare davanti al Duomo, ferma lui i giornalisti anziché il contrario. Il suo ritornello è che Berlusconi gli ha insegnato tutto, le grandi e le piccole cose: “Ad esempio non mi chiudevo mai la giacca davanti alle telecamere, ora sì. Me l’ha detto lui. Ha provato anche a farmi tingere i baffi, ma è l’unica volta, l’unica, giuro, in cui non lo sono stato a sentire”. Quando man mano sulla piazza arrivano i pezzi grossi, i giornalisti lo mollano con la sua giacca chiusa e i baffi bianchi. Inizia la festa e anche il funerale di Stato, che sembra impossibile. Eppure quando finisce non si sa bene a cosa hai assistito, l’unica certezza è che non accadrà più niente di simile.

Post scriptum

Sulla metro del ritorno, direzione Sesto San Giovanni, una bambina che avrà 5-6 anni gioca in braccio al papà e se la ride di gusto. Lui scende dopo poche fermate, e lei, inconsolabile, piange tra le braccia della nonna. Lo farà per tutto il tragitto, versando lacrime grosse come nei cartoni animati, come se non dovesse vederlo mai più.

È strano a dirsi, ma in quella bambina c’è la stessa disperata dolcezza mostrata poco prima da un’altra figlia, Marina Berlusconi, che a funerale ormai agli sgoccioli, sulla piazza, dà un ultimo delicato bacio e fa un’ultima fugace carezza alla bara dell’uomo più divisivo d’Italia. Il salvatore della patria per molti, il nemico di altrettanti. Suo padre.


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Il bacio di Marina al papà, accanto a lei Marta Fascina