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Il mistero di Puncètè sulla montagna di Monte Carasso

Inaugurato il ripristino perimetrale dell’antico abitato abbandonato nel 1700. La Fondazione Curzútt San Barnárd vuole anche far rivivere la grà

I lavori ultimati di recente con la ricostruzione dei muri perimetrali e della grà
24 maggio 2023
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Forse pochi sanno che appena sopra Curzútt c’è una zona archeologica d’interesse locale che figura nell’Inventario dei beni culturali tutelati dal Cantone. Come nel caso di Prada a Ravecchia, anche il villaggio di Puncètè situato sulla montagna di Monte Carasso, a 680 metri di quota, fu improvvisamente abbandonato dai suoi abitanti per ragioni mai del tutto chiarite. Dopo tre secoli di abbandono e imboschimento, ora l’insediamento stanziale costituito da una trentina di edifici fra case, stalle e grà con i loro orti, si presenta libero dalla vegetazione e le pareti perimetrali risultano ripristinate, così da accogliere i visitatori e mostrarsi nella propria estensione originale. Questa prima tappa ultimata è stata inaugurata il 13 maggio dalla Fondazione Curzútt San Barnárd nell’ambito delle iniziative volute per il suo 25°.

Strappato al degrado

È l’infaticabile e documentatissimo segretario, Cesiro Guidotti, a introdurci nei segreti di Puncètè. «Dopo diversi studi preparatori, negli anni passati la fondazione aveva deciso di elaborare un progetto conservativo per valorizzare un’area di sicuro interesse storico, paesaggistico e culturale, consentendo nel contempo di arrestare la graduale e inesorabile distruzione dei sedimi dopo il loro abbandono a partire dal 1700. Edifici che la natura e le stagioni avevano quasi cancellato, mentre nei secoli precedenti le condizioni morfologiche e climatiche della zona avevano invece favorito lo sviluppo di una numerosa comunità in armonia col paesaggio e la natura». Quando Puncètè brulicava di persone – rileva Guidotti – si affacciava su quella parte di Piano di Magadino che oggi risulta completamente urbanizzata, «ma che allora si presentava selvaggia e inospitale, soggetta a frequenti alluvioni devastanti, cosparsa di paludi acquitrinose infestate da zanzare e sovente soggetta ai passaggi e alle incursioni degli eserciti». Una volta abbandonato, «fortunatamente la discosta e discreta ubicazione del sito ne ha impedito usi impropri, conservando le tracce dell’originaria identità».

Un percorso del castagno

All’inizio degli anni 2000 l’area risultava ormai completamente invasa dalla selva castanile. In concomitanza col taglio della fitta vegetazione cresciuta fra le rovine, esbosco e pulizia resisi necessari per consentire i rilievi, la Fondazione incarica quindi Diego Giovanoli (storico dell’architettura e autorevole studioso della materia, già collaboratore dell’Ufficio monumenti storici del Cantone dei Grigioni) di definire una strategia di recupero. Partendo da questa base conoscitiva, nel 2013 la progettazione degli interventi viene assegnata all’architetto Roberto Briccola. Il quale, in collaborazione con l’Ufficio beni culturali del Dipartimento del territorio, elabora il progetto definitivo oggetto di una domanda di costruzione datata luglio 2017 e sfociata nella licenza edilizia ottenuta alla fine di quell’anno. Il progetto si prefigge anche di restaurare l’antica grà, usata per l’essiccazione delle castagne, che si intende rimettere in funzione nei prossimi anni per inserirla in un ‘percorso del castagno’ rivolto in particolare ai giovani e alle scuole. I lavori sono cominciati a inizio 2018.

Programmi di occupazione temporanea

A quasi vent’anni dalla prima sommaria pulizia, il cantiere è iniziato nel febbraio 2018 cominciando dal taglio di rovi, ginestre, felci, eliminazione degli alberi caduti, ecc. Ciò che ha permesso l’avvio dei lavori di svuotamento dei ruderi (circa 10’000 metri cubi di pietrame in parte riutilizzati), messa in sicurezza, ricostruzione dove necessario e consolidamento dei muri perimetrali così rimessi alla luce. Per tutto ciò si è fatto capo alla manodopera dei Programmi di occupazione temporanea (Pot) edilizia e genio civile. Manodopera formata e seguita da personale specializzato il cui onere è stato assunto dall’Ufficio misure attive del Dipartimento finanze ed economia (Dfe). Da inizio 2018 a oggi l’impiego dei Pot ammonta a 49’500 ore di cui il 75% costituito dal lavoro manuale degli operai e il rimanente 25% dall’utilizzo di mezzi meccanici e attrezzature di supporto. Altre opere, costate 200mila franchi, sono state invece eseguite da ditte e artigiani specializzati. L’intervento complessivo può essere valutato in 1,6 milioni di franchi.

E tanto altro ancora

Ma i muri da soli a cosa servirebbero se non parlassero? «Per evitare che Puncètè diventi un mero prodotto museale – spiega Cesiro Guidotti – in prospettiva vi sono altri importanti interventi da effettuare per animarlo e conferire valore aggiunto». Si parte dunque con l’utilizzo della grà a scopo didattico, compreso il coinvolgimento di scuole e famiglie per la raccolta ed essiccazione delle castagne. Quindi con l’implementazione del ‘Percorso del castagno’ come circuito Curzútt-Puncètè-San Barnárd-Curzútt tramite interventi di ripristino e selciatura dei sentieri già esistenti, la formazione di un nuovo collegamento all’altezza di Puncètè e la formazione di aree di sosta dotate di cartelloni didattici. Il tutto con tanto di realtà aumentata nella zona archeologica di Puncètè. Infine s’intende realizzare una ricerca storica, incaricando professionisti del ramo, sulla collina alta di Monte Carasso, focalizzata sui due nuclei principali di Curzútt e Puncètè «senza però dimenticare – evidenzia Guidotti – gli altri comparti minori che costituivano la residenza stanziale dei nostri avi».


Ti-Press/Golay
La mostra all’aperto con le immagini del Foto club Turrita

Sempre nell’ambito del 25° la Fondazione ha organizzato una mostra all’aperto coinvolgendo il Foto club Turrita che utilizzando delle gigantografie ha allestito un progetto fotografico presente fino al 4 novembre nel nucleo di Curzútt e sul percorso in direzione della chiesa di San Barnárd e il ponte tibetano. «Tutti i soggetti fotografati sono collegati ai numerosi progetti e successi che la Fondazione ha finora implementato – conclude il segretario – rendendo possibile quello che agli inizi sembrava solo un sogno».