Mendrisiotto

Violenza carnale in Appello: protagonisti entrambi fragili

I fatti nel gennaio del 2022 all'Osc di Mendrisio. In prima istanza scagionato il 19enne. Alla Carp le due versioni in un processo indiziario

La sede dell’aula della Corte di appello a Locarno
(Ti-Press)
15 maggio 2023
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Torna in aula una vicenda che vede coinvolti due giovani: lui oggi 19enne, lei 23enne. Entrambi all'epoca dei fatti (era il mese di gennaio del 2022) erano pazienti della Clinica psichiatrica cantonale (Osc) di Mendrisio e nello stesso istituto era avvenuto il presunto stupro. Il ragazzo è stato prosciolto dall'accusa di violenza carnale il 20 gennaio 2023 dalla Corte delle assise criminali di Mendrisio. Contro la sentenza hanno inoltrato ricorso il procuratore pubblico Moreno Capella e l'accusatrice privata, avvocato Valentina Zeli.

Il processo indiziario è perciò rimbalzato nell'aula della Corte di appello e revisione penale (Carp), riunitasi a Locarno sotto la presidenza della giudice Giovanna Roggero-Will (giudici a latere Rosa Item e Chiarella Rei Ferrari). L'entrata in materia non è stata delle più semplici. L'imputato ha spiegato di soffrire di un disturbo borderline della personalità, come pure di schizofrenia, depressione cronica e iperattività. Si è presentato alla sbarra dopo una notte insonne e dopo aver assunto undici farmaci (tra questi anche oppiacei e antidepressivi). Per ripercorrere i fatti del gennaio 2022 si è appoggiato a due fogli di appunti e in sostanza ha confermato la sua versione: tra lui e la ragazza vi sono stati almeno tre rapporti sessuali e lei era consenziente. La giovane non avrebbe mai manifestato un chiaro diniego. Per il 19enne era una relazione dettata unicamente dal desiderio fisico, ma lei voleva di più. Stando al ragazzo, la 22enne lo ha pure minacciato: «Mi ha detto: “o diventi il mio ragazzo o ti denuncio per molestie”».

Poi dall'imputato è arrivato uno sfogo per la sua detenzione, in una cella contenitiva di sicurezza dell'Osc, con i mobili attaccati al pavimento, senza tv, con le tende perennemente abbassate e con pochi momenti all'aria aperta: «Non ce la faccio più. Sono in galera da un anno e mezzo per cose che non ho fatto. Mi viene voglia di morire».

Alla giudice ha poi manifestato il desiderio di ripulirsi dai farmaci e ha già contatti con una struttura a Varese; poi seguirà un percorso completo in una comunità. E ancora, con tanta tenerezza: «Vorrei regalare un orologio a mio nonno. Lui e la nonna ogni giorno pregano per me. Mi piacerebbe portarli nella loro amata Calabria per un viaggio. Mi hanno promesso che quando esco ci potremo andare».

Dalla parte della vittima

Il procuratore pubblico e l'avvocato Zeli hanno preso le parti della vittima. Entrambi hanno ricordato come la vicenda coinvolga due giovani fragili, affetti da patologie psichiatriche importanti. La ragazza ha alle spalle un vissuto terribile, fatto di violenze (anche sessuali) e di sradicamenti famigliari. È stata ricoverata all'Osc nel gennaio 2022. La sera dei fatti aveva assunto molti farmaci. Capella si è attenuto soprattutto alle prove, alle tracce ritrovate sulla biancheria da letto (di lui) e su quella personale (di lei), ma soprattutto allo scambio di messaggini fra i due. Scritti che a suo dire danno credibilità alla tesi della ragazza. Mentre le diverse versioni del giovane sposano quanto emerso dalla perizia su di lui: mancanza di empatia, di rispetto per le regole e dell'autorità, tendenza alla manipolazione e alla menzogna per i propri interessi. Il rapporto sarebbe stato uno solo e non consenziente (nei messaggini non c’è traccia della volontà di lei di avere un incontro sessuale): gli altri li avrebbe immaginati il 19enne. Capella ha quindi chiesto di annullare la prima sentenza e ha proposto una pena di 4 anni e 6 mesi (in una struttura chiusa, con cure e terapie).

Si è associata l'accusatrice privata, aggiungendo un risarcimento di 10mila franchi per il torto morale. Zeli ha puntato l'accento sulle contraddizioni contenute nelle versioni fornite dal ragazzo: «Manca costanza, linearità e veridicità. Ha utilizzato la menzogna in modo strumentale». Ha poi menzionato l'atteggiamento della vittima dopo il presunto stupro: ha fatto finta di niente. Ma era solo apparenza: «Ha adottato un meccanismo di auto protezione, chiamato processo dissociativo, per poter andare avanti. Il suo è stato un racconto chiaro e lineare. Non ha mentito: dalla denuncia aveva molto da perdere e nessuno racconta bugie che poi fanno stare male».

L'avvocato della difesa, Alessia Angelinetta, ha invece chiesto la conferma del proscioglimento dal reato di violenza carnale, segnalando che nel corso del processo in Appello non sono emerse nuove prove. «Lei voleva una relazione seria e il rifiuto di lui ha scatenato un forte malessere. E comunque come avrebbe fatto il 19enne a capire che c’era dissenso se lei non lo ha mai esternato e se il suo atteggiamento andava nella direzione opposta? Forse nella sua testa non lo voleva, ma non lo ha mai indicato chiaramente. E l'imputato non è capace di leggere nel pensiero». E ancora: «Come emerge da una perizia, la giovane era disinibita e seduttiva nei confronti dei co-degenti maschi. In più si è rivelata manipolatrice: oltre al 19enne ha accusato di abusi un altro uomo. Accuse poi cadute». Infine: «Il 19enne quella sera era imbottito di farmaci e faceva fatica a reggersi in piedi. Lei avrebbe potuto respingerlo fisicamente con facilità».

‘Una carcerazione disumana’

Angelinetta si è poi scagliata senza mezzi termini contro la carcerazione di sicurezza alla quale il 19enne è sottoposto da sette mesi. «Quella cella contenitiva, con mobili inchiodati al pavimento, senza televisore, con la tenda sempre abbassata, con rari contatti umani (un incontro a settimana con la madre) non è organizzata per la carcerazione. Così vengono intaccati i suoi diritti fondamentali. È disumano e irrispettoso della sua integrità fisica e psicologica; ciò ha portato ad atti di autolesionismo. Non è il posto adatto per lui, ma nessuno può fare qualcosa. Comunque, se questa non è una tortura, ditemi voi cos’è? Sono mancate le cure necessarie e ciò ha portato a un peggioramento della situazione del mio assistito». L'indennizzo chiesto per riparare al danno morale, nel caso di proscioglimento, dovrà ammontare a 87mila franchi. Nell'eventuale caso di una condanna, l'avvocato ha chiesto di tenere conto di una parziale, o totale, scemata responsabilità del giovane, che quella sera era sotto l'effetto di sostanze stupefacenti.

La sentenza, ha annunciato la giudice, arriverà nel giro di una settimana.