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L’altra California: la terra dei senzatetto

Dopo la pandemia è aumentato il numero di homeless negli Stati Uniti, quasi un terzo vive tra San Francisco, San Diego e Los Angeles

Tenda patriottica a Venice Beach
(Keystone)

Dorothy chiede ossessivamente un dollaro mentre si batte sulle spalle, con la precisione di un metronomo, uno scialle infeltrito che una volta doveva essere bordeaux e oggi non è più quel che era prima, proprio come lei. Dorothy, che ha la pelle nera, la voce particolarmente stridula e quell’età indefinibile che hanno certe persone che hanno passato la vita in strada, sta eseguendo la sua maniacale routine in Market Street, nel pieno centro di San Francisco, a pochi metri dall’insegna di un negozio Rolex.

Dall’altra parte della strada c’è il capolinea dei “cable car”, gli storici tram della città californiana. Dorothy resta impassibile tra la folla, come se chiedere il dollaro ripetendo quella formula sia ben più importante che riceverlo davvero. I suoi concittadini le scivolano intorno, ormai abituati, i turisti girano più al largo, spaventati da questo rito che non sembra più elemosina e forse nemmeno una richiesta d’aiuto, ma un modo di rimarcare la propria estraneità al mondo.

Downtown Tendopoli

Poco più in là, lungo l’apparentemente infinita Market Street, in direzione Civic Center, c’è un accampamento con decine di tende. Difficile contare i poliziotti e i volontari che cercano di mettere un po’ d’ordine, impossibile contare i senzatetto. Diresti che sono almeno cento: alcuni sono irrequieti, altri si drogano davanti agli agenti, altri ancora sono sdraiati per terra, immobili, in pose innaturali, come pietrificati da una qualche Medusa. Siamo a poche decine di metri dall’imponente City Hall, il municipio di San Francisco. Anche qui la polizia c’è, ma chiude gli occhi, ormai abituata alla convivenza con gli homeless: uno di loro ha preso posizione tra le strisce bianche e i birilli arancioni che impediscono il parcheggio selvaggio davanti alla City Hall. Lo hanno mandato via cinque-sei volte ed è sempre tornato: ogni mattina, la sua sagoma emerge insieme a quel vapore cinematografico che fuoriesce dai tombini delle strade delle città americane.


R. Scarcella
“Riparo in luoghi senza riparo”, nel centro di San Francisco

Ad Haight-Ashbury, il quartiere bohémien che ancora oggi trasuda cultura hippy, agli angoli delle strade ci sono gruppi di 4-5 persone intente a fumare, quasi tutti hanno l’aria del sopravvissuto a Woodstock e urgente bisogno di una doccia. Non stanno per terra, ma quasi sempre in sedie da campeggio rimediate chissà dove: l’atmosfera è rilassata, tra mercati biologici, boutique di abbigliamento vintage e negozi di modernariato. C’è anche un bar che prepara il “chagaccino”, una specie di cappuccino con l’aggiunta di funghi: è il quartiere delle stranezze, e anche per questo gli homeless, almeno qui, sembrano far parte del contesto urbano, consapevoli che quello stile di vita è anche una scelta.

Il trasformista

A Castro, cuore della comunità gay, c’è un trasformista capace di spiegare cosa vuol dire essere un senzatetto a San Francisco: “Il mio nome è Carter, ma qui tutti mi conoscono come Diamond. Non sono gay, ma se qualcuno lo crede, meglio. La comunità di Castro è tra le più generose, e quindi mi sono scelto un nome più adatto, indosso sempre qualcosa che rimandi alla cultura Lgbtq e ho imparato a usare il linguaggio giusto. Ad Haight-Ashbury non vado, in centro, invece, mi scelgo un altro nome ancora e metto una maglia meno appariscente. Come nella savana, se vuoi sopravvivere devi conoscere l’ambiente, sapere come muoverti. Quando vivevo a Los Angeles e a San Diego avevo altri alias, quelle che pensavo potessero fruttarmi di più: sono un nomade e quando mi sposto non è detto che mi porti dietro le mie identità precedenti”.


R. Scarcella
Elemosina a Castro, quartiere gay di San Francisco

In missione a Mission

La tensione provocata dalla tendopoli in centro si ritrova solo a Tenderloin (il quartiere storicamente più pericoloso, dove un giornalista italiano racconta di aver visto un uomo fare il giocoliere in mezzo alla strada con le siringhe), a Mission, il quartiere latinoamericano, dove è fin troppo facile girare lo sguardo e vedere siringhe o qualcuno con una pipetta per il crack tra le mani. La sera, la situazione è anche peggiore, con angoli in cui ti sembra di sbirciare in un vecchio film di Spike Lee. Avvicinare i senzatetto di Mission è talmente sconsigliato che – a parte in casi estremi – nemmeno la polizia lo fa: la vista di armi e uniformi sono il modo più rapido per innescare la miccia. Per trattare con gli homeless ci sono decine di associazioni, molte di queste legate ai vari culti, come spiega Jane, volontaria di Ecs San Francisco: “Non abbiamo armi, siamo addestrati per usare toni calmi e parole che non inneschino rabbia. Alcune persone che abbiamo aiutato ora lavorano con noi, è un processo lungo, in cui la fede gioca sempre un ruolo decisivo”.


Senzatetto nel quartiere di Mission, a San Francisco

Il costo della vita

Ispirati dalle associazioni private, anche il pubblico sta tentando di venire a capo del problema, istituendo un corpo municipale, anch’esso disarmato e privo di una divisa riconducibile alla polizia, a cui si può telefonare in caso di bisogno. Spesso, infatti, persone sole o anziane si sono ritrovate barricate in casa, impaurite dalla presenza di senzatetto (non malintenzionati, il più delle volte) davanti all’ingresso dei loro palazzi.

Ma mantenere la pacifica convivenza nei quartieri ed evitare risse che in un attimo diventano sparatorie nel Paese col più alto numero di armi pro capite è solo uno dei problemi. Anzi è “quel che accade quando il problema non viene risolto a monte”, è l’analisi di Jeremy, un altro volontario di Mission: “In tutta la Bay Area ci sarebbero abbastanza soldi e case per sistemare almeno l’80 per cento dei senzatetto, ma manca la volontà. Gli affitti si sono ulteriormente alzati con il Covid, con una media intorno ai 2’200 dollari al mese. Una birra al bar può costare 10-12-15 dollari, è come se l’inflazione fosse andata fuori controllo e chi ci guadagna non ha alcun interesse a tenere a freno questi prezzi impazziti. Non ho mai incontrato così tante persone che avevano una vita normale appena quattro anni fa, che ora dipendono in tutto e per tutto dalla generosità altrui, che, tra l’altro, è sempre meno. Ma capisco anche chi deve restare a galla, conta i dollari e vede la fine che ha fatto chi è caduto prima di loro. Quando oltrepassi la linea della povertà è come se finissi in un luogo dove non c’è più possibilità di ritorno. Forse sarebbe arrivato il momento di rivedere l’intero modello americano”.


Keystone
“Casa dolce casa” in un carrello

Per ora i numeri sono questi: solo il 46% degli homeless passa le notti in centri d’accoglienza e ha un tetto più o meno sicuro sopra la testa, il 34% dorme in strada e un altro 20 per cento si divide tra parchi, auto, accampamenti di fortuna e palazzi abbandonati. Altro numero che non stupisce, ma dovrebbe: il 36% dei senzatetto è afroamericano, in una città dove gli afroamericani sono a malapena il 6 per cento.

Simmetrie di San Diego

La situazione non è molto diversa a San Diego, a pochi chilometri dal confine con il Messico, dove la povertà è un concetto quasi simmetrico, in una città che pare costruita col righello da uno di quei simulatori in stile Sim City. Nel centro cittadino, dove i parcheggi costano 3-4 dollari l’ora, c’è una tenda, allontanandoti il parcheggio costa sempre meno e le tende aumentano, fino a una piccola tendopoli dove il posteggio non si paga affatto e finiscono anche i negozi, i bar, le opportunità di incrociare qualcuno. Vagamente sinistro, ancor più sinistro perché il pensiero che sia studiato, calcolato, si fa largo.


Keystone
Aumenta il consumo di droga in strada, tornano crack ed eroina

San Diego è una delle sei città californiane tra le dieci con la maggior popolazione di homeless di tutti gli Stati Uniti: quasi uno su tre vive in California.

Al primo posto c’è Los Angeles, città in cui la situazione senzatetto pare talmente fuori controllo che la nuova sindaca, Karen Bass, poco dopo essersi insediata, ha dichiarato lo stato d’emergenza e chiesto 1,3 miliardi di dollari per provare a porre fine a un problema esploso a tal punto da assomigliare a una calamità naturale: il centro cittadino è letteralmente inondato di senzatetto sparsi un po’ ovunque, come se fosse esplosa una diga. Ormai hanno anche colonizzato la spiaggia di Venice Beach, dove le tende si fanno notare, in alcuni punti, quasi quanto le palme.

Gli ultimi di Venice Beach

A Venice Beach vive anche Jason, 40 anni, divorziato con due figli, originario del Michigan, pochi capelli e una pancia rotonda e tesa da bevitore di birra: prima dell’arrivo del Covid aveva un lavoro in una catena locale di ristoranti, poi è sparita la catena di ristoranti e con lei, come in un domino, anche il suo lavoro e la famiglia. Ora dorme in macchina, perché “di quelli nelle tende non mi fido, ci ho già avuto a che fare. L’unica di cui mi fido di meno è mia moglie”.


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Venice Beach sempre più affollata

All’inizio della scorsa estate aveva trovato lavoro nella cucina di un fast food, ma quando hanno saputo che il suo indirizzo di casa era la sua macchina gli hanno dato il benservito: “Quando mi sono messo a cercare un altro lavoro facevo in modo di ricordare la mia situazione prima della fine del colloquio, perché non essere assunti perché dormi in un’automobile fa male, ma lo posso capire. Ma essere licenziati per lo stesso motivo in un posto dove lavoravi bene ed eri benvoluto da tutti è una sensazione orribile: non vengono a mancarti solo i soldi, ma la fiducia nel genere umano. Pensavo di essere aiutato, sono stato affossato. Ma questa è l’America”.

Jason sta pensando di trasferirsi in Messico, a fare l’emigrato al contrario: “Non fosse per i figli me ne sarei già andato. So bene che c’è gente che rischia la vita per venire a lavorare e vivere qui, hanno una speranza, è giusto che vengano a giocarsi la loro chance. Io speranze non ne ho più, ma una sera ho sognato che in Messico sarei diventato ricco. Ero ubriaco però, forse i sogni che fai da ubriaco non valgono”.

Yariel, invece, lavora per una banco alimentare sostenuto anche da alcuni divi di Hollywood: parla un inglese dal forte accento latino, è pieno di tatuaggi fatti male e ha una faccia d’altri tempi che pare uscita da una vecchia canzone di Tom Waits. Arrivato da Porto Rico aveva giurato a se stesso che non avrebbe mai più vissuto in miseria, che non avrebbe più diviso il letto o la stanza come faceva con i fratelli. E invece a un certo punto, arrivato negli Stati Uniti, non avrà più nemmeno un materasso sui cui riposare. “Quando parti ti illudi che ci siano dollari e opportunità per tutti, quando arrivi scopri che ci sono solo porte che ti si chiudono in faccia, approfittatori, squali”.


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Jogging a Venice Beach accanto a una tendopoli

L’oro che non c’era

Un lamento che mi fa tornare alla mente quel vecchio adagio degli immigrati europei che a un certo punto si fece canzone: “Mi avevano detto che in America le strade erano lastricate d’oro. Quando sono arrivato, non solo ho scoperto che non erano lastricate d’oro, ma non erano lastricate affatto. Anzi, quello che doveva lastricarle ero io”. Traduco, ride.

Da qualche tempo ha trovato una ragazza, Camila: “Con lei però il letto lo divido volentieri”. Ride ancora. I sogni di gloria però li ha lasciati ad altri: “Al banco alimentare almeno vedo tanta gente sorridere quando gli passo i cestini. Vedere la gente felice mi fa star bene”.

Sorseggia una Coca Cola, poi indica un groviglio di tende sulla spiaggia: “Li vedi quanti sono? Non riesci nemmeno a contarli. I più fortunati sono solo poveri, poi ci sono quelli che si drogano, quelli con malattie mentali da cui non usciranno più, imbottiti di medicine di cui, se aiutati per tempo, non avrebbero magari avuto bisogno. Ora, se in un posto come questo, che si vende come la terra delle grandi opportunità, ci fosse qualche manipolo di disperati sarebbe sopportabile e sarebbe colpa loro. Invece vai in giro e non vedi altro che persone distrutte, sconfitte. Conseguenza e non causa di un Paese che non sta affatto bene”.


R. Scarcella
Un homeless si risveglia davanti alla City Hall di San Francisco