Il cognato della premier, ministro dell’Agricoltura, è stato tra i più chiassosi del governo. Ma non è l’unico legato a lei a fare uscite strampalate
I primi sei mesi del governo di Giorgia Meloni si sono contraddistinti per una inusuale sterilità comunicativa della presidente del Consiglio, che ha deciso di concedersi alle domande dei giornalisti in conferenza stampa appena cinque volte, l’ultima delle quali addirittura 45 giorni fa.
Un bel cambio di rotta rispetto ai tempi dell’opposizione corsara, ma soprattutto il segnale fisiologico delle maggiori responsabilità che ora gravano sulla leader di Fratelli d’Italia, stretta tra l’esuberanza dei partner di governo e la nuova linea dell’opposizione firmata Elly Schlein.
Ma se Meloni tace, il variegato mondo che la circonda non è mai stato così chiassoso e maldestro. L’ultima infelice uscita in ordine di tempo è quella del ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida, che intervenendo al congresso del sindacato Cisal il 18 aprile ha citato la teoria del complotto priva di fondamento della “sostituzione etnica”, nata negli ambienti della destra neonazista e menzionata in almeno quattro delle stragi suprematiste che hanno insanguinato il mondo tra il 2018 e il 2022.
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Francesco Lollobrigida, cognato di Giorgia Meloni
Lollobrigida è solo l’ultimo dei colonnelli di Meloni ad essersi preso la scena con delle infelici esternazioni, una strategia che sposta sul cerchio magico della presidente del Consiglio il compito di portare avanti la linea storica del partito. Per conoscere l’anima autentica di Fratelli d’Italia vale dunque la pena immergersi tra i fedelissimi della premier, i più genuini interpreti di una storia mai rinnegata e che arriva da molto lontano.
La carrellata degli accoliti di Meloni non può che partire proprio da Francesco Lollobrigida, l’esponente di Fratelli d’Italia più vicino a Meloni in ogni senso possibile del termine. Non è un mistero, infatti, che “Beautiful” – nome di battaglia che lo accompagna fin da giovane, dovuto ai tratti delicati da soap opera americana – ricopra il doppio impegnativo ruolo di braccio destro e di cognato della premier. La relazione tra Lollobrigida e Arianna Meloni, la più grande tra le due sorelle, era iniziata all’alba degli anni Duemila tra i corridoi della Regione Lazio, dove lei lavora come precaria da oltre vent’anni, e si è col tempo trasformata in un’unione indissolubile.
Ma che nessuno si azzardi a parlare di nepotismo, perché i gradi militari, Lollobrigida, se li è conquistati sul campo. Fin dal 1988, quando appena sedicenne l’attuale ministro dell’Agricoltura partecipò ai funerali di Giorgio Almirante, segretario di redazione del foglio antisemita “La difesa della razza” e padre nobile della destra post-fascista. Quando nel 2019 alcuni attivisti vandalizzarono una targa a lui dedicata, Lollobrigida si affrettò a condannare il gesto, definendo Almirante “un gigante politico”.
È probabilmente questa passione che lo spingerà, poco più tardi, a varcare le soglie della storica sede del Fronte della Gioventù di Colle Oppio, la stessa che ha battezzato politicamente Giorgia Meloni. Qui Lollobrigida entra a far parte dei “Gabbiani”, la corrente fondata da Fabio Rampelli e il cui nome si rifà al “Gabbiano Jonathan Livingston” di Richard Bach, uno dei testi sacri di quella nuova destra che negli anni Novanta cercava agibilità politica mettendo nel cassetto i fasci littori e puntando tutto sulla cultura di massa.
Lollobrigida è infatti uno degli esponenti di spicco della cosiddetta “generazione Atreju”, l’evento giovanile della destra italiana chiamato come il protagonista del romanzo “La storia infinita” di Michael Ende e che negli anni ha rappresentato il vivaio politico di Fratelli d’Italia. Così, tra una citazione pop e l’altra, nel 1997 Lollobrigida finisce per diventare responsabile nazionale di Azione Studentesca. Questo sarà anche l’ultimo momento della storia in cui Lollo ricoprirà un ruolo gerarchicamente superiore a quello di Giorgia Meloni, che al tempo era la responsabile della stessa organizzazione, ma a livello cittadino.
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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni
Nel 1999 Lollobrigida e Meloni siedono vicini nel Consiglio provinciale di Roma, poi nel 2004, quando la futura premier vincerà il congresso nazionale dell’organizzazione giovanile di destra, sarà proprio Beautiful a vestire i galloni da gregario e a tirarle la volata. “All’inizio ci detestavamo, oggi siamo come fratelli”, diranno l’uno dell’altra molti anni dopo.
Da quel momento in poi, Lollobrigida e Meloni non si lasceranno più. E non solo per questioni di famiglia. Dopo il flop di Fratelli d’Italia alle elezioni politiche del 2013, infatti, Lollobrigida diventa responsabile dell’organizzazione del partito e insieme a Meloni porterà la compagine di destra all’eccezionale risultato del 2022. Il momento della rivalsa per un’intera generazione di militanti, il sogno di ogni ragazzino che a 16 anni metteva il vestito buono per partecipare ai funerali di Almirante. Il 22 ottobre 2022 Francesco Lollobrigida ha giurato sulla Costituzione italiana: 34 anni dopo quel ragazzino è infine entrato nelle istituzioni repubblicane.
L’opinione pubblica lo conosce oggi principalmente come l’esponente di Fratelli d’Italia in prima linea nella lotta senza quartiere agli anglicismi, ma il passato di Fabio Rampelli racconta una storia decisamente più complessa, che si intreccia in modo indissolubile con quella della destra italiana.
I primi contatti di Rampelli con la politica iniziarono molto presto, come spesso accadeva nella Roma spaccata in due degli anni Settanta. Addirittura alle Medie, racconta lui, quando gli scontri tra i militanti della destra giovanile e gli attivisti del Partito comunista erano all’ordine del giorno e già a 13 anni dovevi scegliere da che parte stare. Rampelli scelse di stare a destra, ovviamente, una scelta di campo che da quel momento sarebbe diventata la sua intera ragione di vita.
Le affissioni clandestine, gli scontri per strada con i compagni, le occupazioni nei licei. Rampelli ha vissuto ogni istante di quella che la destra ama raccontare come la sua fase eroica, la traversata nel deserto che i movimenti neofascisti dovettero affrontare nei primi decenni dell’Italia repubblicana. Un sentimento di emarginazione che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha descritto nel suo primo discorso alla Camera e che da sempre, a quelle latitudini politiche, anima un forte desiderio di rivalsa.
Tra gli anni Ottanta e Novanta, Rampelli è diventato uno dei principali interpreti di questa narrazione e ha edificato il suo successo politico nel luogo che meglio di tutti ne ha incarnato lo spirito: Colle Oppio, che la leggenda narra essere stata la prima sezione di partito del neofascismo italiano, affittata nel 1946 da un gruppo di reduci di Salò. Qui Rampelli ha stabilito la sua corrente, i Gabbiani appunto, ha scoperto una giovanissima Giorgia Meloni e ha provato a spostare la percezione comune dell’estrema destra, inventando nuovi simboli e scoprendo altre battaglie. Memorabile, a tal proposito, è il sit-in organizzato nel 1989 per contestare il presidente americano Bush in visita in Italia, culminato con l’arresto di tredici aderenti al Fronte della Gioventù, tra i quali lo stesso Rampelli.
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Fabio Rampelli, nemico dell’inglese
Il salto dalle sezioni di partito alle istituzioni è arrivato però solo nel 1993, quando all’indomani di Tangentopoli la nuova destra di Gianfranco Fini colse la palla al balzo per presentarsi come il partito della rottura con il passato.
Per Rampelli è così arrivato il primo incarico da consigliere comunale, seguito da tre mandati in Regione Lazio e dal grande ingresso in Parlamento del 2005. Ma lui non ha mai smesso di pensare all’esperienza comunitaria di Colle Oppio, nemmeno un secondo, e così nel 2012 non è stato difficile convincerlo a imbarcarsi nella nuova avventura di Fratelli d’Italia, nome che lui stesso si vanta di aver proposto.
Ultimamente si sussurra che qualcosa nel rapporto con Meloni si sia rotto e che l’allieva si sia infine rivoltata contro il maestro, ma solo il tempo potrà dirci l’effettiva entità della frattura.
Azzurro di nuoto, architetto col pallino del razionalismo, oggi vicepresidente della Camera. Ma Rampelli è, soprattutto e più di ogni altra cosa, il principale ideologo del primo partito italiano, che con la sua esperienza ha contribuito a plasmare e definire fin dalle fondamenta. Qualcuno lo definirebbe un leader spirituale, se non fosse che a lui questo anglicismo proprio non piacerebbe.
Non ha ancora 50 anni e già parla come un veterano consumato dell’agone politico, Giovanni Donzelli, che fra tutti i Fratelli d’Italia è quello col passato di militanza più turbolento. Del resto, non dev’essere stato semplice crescere nella rossa Firenze e scalare le gerarchie del partito che fu la casa del neofascismo italiano.
La storia politica di Donzelli parte da un episodio comune alla memorialistica di molti esponenti di Fratelli d’Italia, la strage di via D’Amelio che costò la vita al giudice Borsellino e a cinque agenti della sua scorta. Quell’istante del 19 luglio 1992 restò impresso nella memoria di molti giovani del tempo e segnerà indelebilmente la vita di Donzelli, che (proprio come accadde a Giorgia Meloni) da quel momento deciderà di consacrare la sua vita all’attivismo politico. Non che l’antimafia fosse un valore esclusivo delle destre, sia chiaro, ma il feeling tra Paolo Borsellino e i giovani missini era sbocciato qualche anno prima, nel 1990, quando il magistrato partecipò alla festa nazionale del Fronte della Gioventù e quelli per gratitudine lo candidarono alla presidenza della Repubblica.
Nel 1994 Donzelli aderisce al mitologico Fuan, il Fronte universitario d’azione nazionale nato per sfidare l’egemonia di sinistra negli atenei italiani. La missione non va benissimo, almeno stando all’aneddoto con cui Donzelli racconta di essere stato appeso per le caviglie dal terzo piano della facoltà di Scienze politiche e che gli varrà il soprannome di “pipistrello”.
Non è chiaro quanto l’episodio abbia influito nelle scelte di vita del giovane, ma di lì a poco Donzelli si sarebbe prima trasferito alla facoltà di Agraria, per abbandonare infine gli studi.
Poco male, perché la strada di Donzelli è quella della politica e a insegnargli il mestiere è nientemeno che Maurizio Gasparri, che diventa il suo mentore negli anni di Alleanza Nazionale. Nel tempo restante il toscano si guadagna da vivere come strillone e il caso vuole che uno dei suoi datori di lavoro sia Tiziano Renzi, padre dell’ex presidente del Consiglio.
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Giovanni Donzelli, parlamentare di Fratelli d’Italia
Nel 2004 Donzelli entra per la prima volta nel Consiglio comunale di Firenze e si attiene con costanza al cursus honorum che lo porterà prima tra i banchi della Regione Toscana e poi tra quelli della Camera dei deputati, nel 2018.
Sembra un punto d’arrivo, ma non lo è. Perché negli anni della scalata al potere, Donzelli è anche riuscito a coltivare un rapporto di profonda amicizia con Giorgia Meloni, incontrata durante un volantinaggio nel 1999 e mai più persa di vista. “Giovanni è una delle persone su cui ho potuto, e posso tuttora, contare di più”, dirà di lui la premier nell’autobiografia “Io sono Giorgia”. Una fiducia dimostrata dai fatti, come testimonia il ruolo di assoluto rilievo che la fondatrice di Fratelli d’Italia ha affidato a Donzelli, tanto nelle gerarchie di partito quanto nella strategia comunicativa.
Assiduo frequentatore di salotti televisivi, nell’attuale legislatura Giovanni Donzelli è balzato agli onori delle cronache per il goffo intervento con cui ha rivelato delicate intercettazioni di mafia. A passargliele era stato Andrea Delmastro Delle Vedove, amico e sottosegretario alla Giustizia con cui divide un appartamento nel centro di Roma. Una vita all’insegna della sobrietà che gli è valsa il nuovo appellativo de “il monaco di destra”, perché “la sera torna sempre a casa per cena, sennò Roma ti risucchia”, dicono di lui.
Sembrano lontani gli anni del “pipistrello” che penzolava dalle finestre di Scienze politiche a Firenze, e di strada, Donzelli, ne ha fatta un bel po’. Eppure c’è chi scommette che la scalata di questo toscanaccio dalla parlantina veloce sia ben lungi dall’essere terminata.