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I segreti del Credit Suisse, col senno di poi

La crisi della banca riapre il capitolo degli scandali nei quali è stata coinvolta. Intervista a uno dei giornalisti dietro all’inchiesta ‘Suisse Secrets’

(Rizzoli)
28 marzo 2023
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“Se non ci si può più fidare d’un banchiere svizzero, dove andremo a finire?” Se lo chiedeva anni fa l’ineffabile James Bond, ma se lo chiedono oggi anche tanti altri, specie dopo l’acquisizione in extremis di Credit Suisse da parte di Ubs. Solo che c’è fiducia e fiducia: per molti placidi risparmiatori il termine è sinonimo di istituzioni stabili e gestione prudente; invece spie, dittatori, malversatori, assassini, politici corrotti e cardinali poco raccomandabili si fidano semmai di qualcos’altro, qualcosa di simile a poche domande e tanta riservatezza. Speranza delusa, per quei clienti del Credit Suisse che a causa d’una fuga di dati si sono ritrovati ‘raccontati’ nel dossier Suisse Secrets.

È andata così. Un paio d’anni fa, una gola profonda ha girato alla Süddeutsche Zeitung 30mila nominativi di clienti della banca, titolari di asset per circa 100 miliardi. I giornalisti Hannes Munzinger, Frederik Obermaier e Bastian Obermayer – già premiati col Pulitzer e altri riconoscimenti per il lavoro sui Panama Papers – hanno cominciato subito a lavorarci, coinvolgendo 168 colleghi di 48 diversi media, tra i quali il New York Times, il Guardian e Le Monde. Mancavano solo i giornalisti svizzeri, bloccati da una modifica della legge sulle banche introdotta nel 2015 – su spinta del Plr – per punire le sottrazioni di dati sensibili. In Svizzera, lavorare su un’inchiesta di questo tipo significa rischiare fino a cinque anni di carcere.

Gli ‘Suisse secrets’ hanno rivelato legami tra il Credit Suisse e un affollato demi-monde politico-industriale. Vi si seguono le tracce lasciate dagli scandali immobiliari del Vaticano, da burocrati accusati di intascare le ricchezze del petrolio venezuelano, senza dimenticare – tra molti altri – la spia yemenita coinvolta in un caso di torture e l’ex ministro ucraino ancora ricercato dal suo Paese per avere sottratto milioni alle casse pubbliche. Il mese scorso è uscito per Rizzoli il libro ‘Segreti svizzeri’, che racconta genesi e conclusioni dell’inchiesta. Un’occasione per tornarci sopra con uno degli autori, Bastian Obermayer. Oggi lui, Obermaier e Munzinger guidano ‘Paper Trail Media’, le cui inchieste sono pubblicate da Der Spiegel e Zdf in Germania, Der Standard in Austria e Tamedia in Svizzera.

Cominciamo dall’inizio: come avete ottenuto i dati del fantomatico ‘Soporific Debtor’, la gola profonda dalla quale è partito tutto? E come vi siete mossi per trovare e verificare le storie nascoste dietro alle migliaia di righe d’un foglio Excel (molte delle quali, ovviamente, riferite a conti e comportamenti perfettamente leciti)?

Il whistleblower (informatore, ndr) ci ha raggiunti tramite Secure Drop, una linea di comunicazione creata per contattare anonimamente la Süddeutsche Zeitung. Non avevamo modo di scoprire chi fosse, dunque ci siamo concentrati sulla verifica dei dati, incrociandoli e condividendoli con un’ampia rete di colleghi e testate in tutto il mondo: l’esperienza dei Panama Papers ci ha insegnato che solo così si possono individuare notizie legate a personaggi che noi non conoscevamo neppure.

Avete contattato anche media svizzeri?

Ovviamente. Ci siamo rivolti ai colleghi di Tamedia, coi quali collaboriamo da tempo, ma non ci hanno potuto aiutare per ragioni legali: essendo in vigore il ridicolo articolo 47 della legge sulle banche svizzera, sarebbe bastato loro mettere gli occhi su quei dati per essere accusati di violazione del segreto bancario.

Come riassumerebbe quanto trovato?

Abbiamo scoperto che molte personalità politicamente esposte – alcune delle quali già condannate per crimini gravi – erano accettate in qualità di clienti dal Credit Suisse. La banca non ha effettuato una seria due diligence e in seguito ha fatto molto poco per liberarsi dei clienti ‘tossici’. In sostanza, abbiamo identificato grossi problemi nell’approccio aziendale di Credit Suisse rispetto a questa clientela.

Ci fa un esempio?

Per il pubblico tedesco è stato interessante il caso del dipendente di Siemens che aveva depositi per decine di milioni di franchi, nonostante la sua posizione nella società non fosse assolutamente tale da far immaginare tanta ricchezza. Guarda caso, costui aveva lavorato per Siemens in Africa e nel 2007 era stato direttamente coinvolto in un enorme scandalo di tangenti in Nigeria. Naturalmente lui nega di avere intascato una parte dei soldi usati per la corruzione e sarebbe impossibile dimostrare un legame diretto coi fondi, ma resta interessante il fatto che nessuno ne abbia saputo spiegare la provenienza.

Dopo la pubblicazione, l’autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (Finma) ha detto che avrebbe studiato i dati. Il mese scorso, il Ministero pubblico della Confederazione ha annunciato di avere aperto – su denuncia dello stesso Credit Suisse – un procedimento penale per spionaggio economico, violazione del segreto commerciale e del segreto bancario: una caccia all’informatore. Quali reazioni vi sono giunte dalle autorità e dalla politica svizzera?

Abbiamo saputo di molti politici che hanno protestato contro l’Articolo 47 della legge sulle banche, chiedendone una modifica a tutela dei giornalisti, e credo che qualcosa si stia muovendo (in effetti il Consiglio nazionale ha sollecitato tale modifica e il Consiglio federale ne ha accolto la mozione, dichiarando il mese scorso che proporrà dei cambiamenti, ndr). Si tratta di qualcosa di molto importante. Molti hanno anche espresso le loro preoccupazioni per la reputazione svizzera, intaccata dagli scandali. Quanto agli strascichi legali, non siamo a conoscenza di procedimenti nei nostri confronti, ma non possiamo escludere che delle indagini siano in corso. D’altronde quel che abbiamo fatto viola la legge svizzera, ragione per la quale non abbiamo più messo piede nella Confederazione: magari non ci arresterebbero, ma preferiamo non provare…

Alcuni critici sostengono che negli Suisse Secrets non ci sarebbe granché di nuovo, che avete solo fatto riferimento a vecchie storie e conti ormai estinti. Lo stesso Credit Suisse ha dichiarato che si tratta di cose del passato, quando “leggi, prassi e aspettative riguardanti le istituzioni finanziarie erano molto diverse rispetto a oggi”.

In realtà molte delle informazioni da noi rivelate non erano pubbliche e riteniamo che sia molto importante richiamare la banca alle sue responsabilità. Quanto alla giustificazione per cui si tratterebbe di problemi ‘d’una volta’, abbiamo in realtà mostrato come la banca sia ripetutamente venuta meno alle promesse di rivedere la sua prassi, anche di recente. L’attuale crisi di fiducia conferma che un certo approccio è guardato con sospetto non solo dai giornalisti investigativi, ma anche dai clienti e da altre istituzioni finanziarie.

In effetti, anche prima dell’acquisizione da parte di Ubs il Credit Suisse è stato macchiato da una serie di scandali: tra gli altri, la condanna per riciclaggio in relazione alle attività di un cartello della droga bulgaro e il coinvolgimento in uno scandalo creditizio in Mozambico. Solo casi isolati, banchieri ‘canaglia’ incistati in una banca altrimenti pulita?

Ma quanti banchieri ‘canaglia’ servono per rendere tale anche la banca? Io penso che il Credit Suisse sia stato un istituto finanziario alquanto problematico e tale resti, almeno finché non ci sarà la dimostrazione del fatto che è cambiato qualcosa. La recente caduta, oltre ad altri scandali e inchieste recenti, pare confermare queste preoccupazioni.

L’Ubs non si comporta allo stesso modo?

Non abbiamo incontrato il nome di Ubs in molti scandali di recente, per cui è corretto ipotizzare che almeno in parte abbia fatto i suoi compiti.

Dopo l’acquisizione del Credit Suisse da parte di Ubs, il valore della nuova banca ammonta a oltre il doppio del Pil svizzero. Potrà controllare davvero i suoi banchieri e clienti in giro per il mondo?

Non credo proprio che creare una banca ancora più grande sia una buona idea. Il Credit Suisse era già ‘troppo grande per fallire’, che ne sarà ora dell’Ubs? Se si conferisce così tanto potere a una singola banca, poi sarà difficile controllarla e assicurarsi che eviti certe pratiche. Un discorso che vale tanto per il management, quanto per le autorità legali e politiche. Attenzione: non sto dicendo che tutti i politici svizzeri siano sottomessi al potere bancario, ma è chiaro che istituzioni così grosse sono sempre più difficili da gestire.

Quali incentivi potrebbero servire a evitare il ripetersi di certe situazioni?

Occorre introdurre una cultura aziendale diversa, e spero che Ubs provi a farlo. Credo che le banche possano essere fiere di quel che fanno per aiutare imprese e cittadini, ma per farlo ed evitare altri scandali occorre enfatizzare l’importanza della trasparenza e punire i comportamenti scorretti. Ragione per la quale, tra l’altro, non penso che il segreto bancario sia un bene, anche se dubito che ve ne libererete tanto presto.

A dire il vero, molti credono che il segreto bancario sia già finito, sotto la pressione degli Stati Uniti e con l’adesione ai protocolli di scambio dei dati fiscali con altre nazioni.

Sì, ma ci sono ancora moltissimi Paesi coi quali non è in vigore alcun accordo per lo scambio di informazioni bancarie, per i quali dunque il segreto bancario vale ancora. Dittatori e politici corrotti continuano a mettere denaro al sicuro in conti svizzeri, lontano dai loro concittadini. La nostra inchiesta mostra quanti siano costoro e i loro famigliari che ancora nascondono un sacco di soldi in Svizzera. Perdipiù, anche dall’Europa e dagli Usa si possono creare società in questi Paesi terzi, per poi farvi transitare verso la Svizzera fondi molto difficili da rintracciare.

Se però ponessimo fine a questo modus operandi, certi paradisi fiscali se ne approfitterebbero, dalle Bahamas all’Isola di Man. Perché rinunciare a così tanti soldi e darsi la zappa sui piedi?

Se le banche svizzere non capiscono l’importanza di essere ed essere visti come ‘puliti’ per assicurare la propria posizione globale nel prossimo futuro, allora probabilmente sfuggono loro parecchi segnali dal mondo attuale. Ovviamente ci saranno sempre banche ‘canaglia’, alle Bahamas o altrove, che cercheranno di approfittarsene, ma il fatto che quelle svizzere si rifiutino di stare al gioco resta importantissimo: certi grandi attori sul mercato internazionale non vogliono mettere i loro soldi in mano a qualche fragile banchetta d’oltreoceano, perché vogliono sì nascondere i loro soldi, ma anche essere sicuri di non perderli. Sicché una maggiore trasparenza da parte delle banche svizzere incoraggerebbe anche un comportamento più virtuoso da parte di tali soggetti.


(Rizzoli)