Giustificato così l’operato delle otto Guardie di confine: è decreto di non luogo a procedere. Ma c’è il reclamo alla Crp del Tribunale penale federale
"Quell’auto era sospetta". È così che il Ministero pubblico della Confederazione (Mpc) ha giustificato l’operato delle otto Guardie di confine implicate nell’esposto penale presentato lo scorso settembre dal legale di uno dei due uomini oggetto di un fermo ritenuto muscoloso a Lugano Sud. La denuncia per abuso d’autorità, sequestro, vie di fatto, diffamazione e danno morale si è tuttavia conclusa in un decreto di non luogo a procedere, emesso a inizio febbraio. Ma la vicenda non termina qui: l’avvocato Ezio Tranini ha infatti presentato reclamo alla Corte dei reclami penali (Crp) del Tribunale penale federale, ribadendo le accuse dell’esposto, sostenendo che l’Mpc avrebbe commesso una violazione del diritto di essere sentito nei confronti del suo cliente e chiedendo di annullare il decreto aprendo dunque il procedimento penale nei confronti degli otto agenti.
I fatti, lo ricordiamo, risalgono al 7 settembre scorso. Due cittadini albanesi, un imprenditore (l’assistito di Tranini) e un banchiere entrambi residenti nel proprio Paese, sono invitati alla partita fra Inter e Bayern Monaco valida per la Uefa Champions League a Milano. Colgono l’occasione per recarsi a Lugano, per incontrare l’avvocato e sbrigare alcune pendenze prima del match. In città però non arrivano, perché una pattuglia delle Guardie di confine ordina loro di uscire dall’autostrada a Lugano Sud e di accostare nei pressi di una stazione di benzina e di un fast food. Quello che ritenevano essere un controllo di routine si trasforma in un fermo complessivo di circa tre ore.
«Sono stati fatti uscire dall’auto con le mani alzate, come fossero criminali, e sono stati perquisiti corporalmente di fronte a diverse persone – ricorda l’avvocato –. È intervenuto anche un cane, che nulla ha fiutato. Nulla di irregolare è stato trovato, ciononostante, in palese violazione del principio d’innocenza, sono stati portati a Mendrisio (nella sede dell’Udsc, l’Ufficio federale della dogana e della sicurezza, ndr), dove sono stati rinchiusi in due celle separate, mentre il veicolo veniva perquisito da cima a fondo. Il tutto, senza trovare assolutamente nulla e senza scusarsi al termine di quest’intervento che giudichiamo decisamente sproporzionato oltre che ingiustificato».
"L’iter e le modalità operative – replica invece l’Mpc nella propria decisione – non si configurano in misure ingiustificate e abusive". In altre parole, "gli agenti coinvolti hanno espletato la propria mansione professionale conformandosi alle disposizioni legali e regolamentari che disciplinano questo tipo di controlli, in maniera adeguata e proporzionale alle circostanze". Nello specifico, i due fermati sarebbero stati informati delle modalità operative, della necessità di mettere le mani sul veicolo per effettuare una perquisizione per assicurarsi che non nascondessero armi e oggetti pericolosi, come pure della necessità di ammanettarli "per ragioni di sicurezza", per portarli alla sede dell’Udsc, in quanto sull’auto di polizia non vi era una parete divisoria fra sedili anteriori e posteriori. L’ammanettamento, inoltre, sarebbe avvenuto all’interno di una cosiddetta ‘cellula di sicurezza’ composta dai tre furgoni dell’Udsc intervenuti sul posto. I cani, infine, "non sono nemmeno stati fatti scendere dal furgone poiché senza formazione adeguata".
L’Mpc spiega che quest’ispezione approfondita del veicolo e degli occupanti è una misura di controllo dovuta a un motivo specifico: un paio di settimane prima dei fatti nel sistema Afv – un software che, fra l’altro, si utilizza per la ricerca automatica di veicoli – era stato segnalato il veicolo sul quale viaggiavano i due fermati. La macchina in questione è una Hyundai Grandeur, con targhe albanesi. Proprio quest’ultima particolarità è al centro delle rimostranze. Il controllo, a giudizio dei ricorrenti, si sarebbe protratto così lungamente e con queste modalità per motivi discriminatori, in particolare "probabilmente da pregiudizi xenofobi vista la cittadinanza delle persone interpellate". E anche le spiegazioni del Ministero non convincono l’avvocato.
Quel veicolo "era sospettato – si legge nel non luogo a procedere – di essere impiegato da organizzazioni mafiose albanesi per l’importazione di stupefacenti e/o per il trasporto di valori patrimoniali di origine criminale". «Nelle nostre osservazioni – ci dice Tranini – abbiamo chiesto all’Mpc di precisare la natura di queste segnalazioni: il veicolo era sospettato perché in passato era già stato controllato con droga dentro? O perché è un modello utilizzato dalla mafia? O perché immatricolato in Albania?». «E poi, dalle spiegazioni sembrerebbe che sia sufficiente che un veicolo sia segnalato affinché ogni cittadino possa essere ammanettato, rinchiuso in cella e oggetto di controlli di questo genere».
L’Mpc sottolinea come "l’abuso di autorità può sussistere solo quando l’autore compie un atto di autorità pubblica (...), in particolare prendendo una decisione vincolante o un atto materiale di coercizione che viola la libertà personale". Questo non sarebbe avvenuto, per i motivi elencati. Tranini invece, oltre a continuare a contestare quest’aspetto, ritiene che l’Mpc abbia «violato in modo palese il diritto di essere sentito del mio cliente: lui non è stato interrogato, non sono stati indagati i motivi della segnalazione. È un lavoro arbitrario, che sembra fatto solo per scagionare gli agenti». Parola ora alla Crp.