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Perché la scelta di Jankto è davvero importante

Il giocatore ceco, dichiarando le sue preferenze sessuali in un ambiente molto omofobo, pone un tassello fondamentale nella lotta alla discriminazione

15 febbraio 2023
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Jakub Jankto indossa una maglia nera, su sfondo nero. Guarda dritto verso la telecamera e parla. In tempi di social network vuol dire avere un messaggio e il suo è chiarissimo: «Sono omosessuale e non voglio più nascondermi». Il suo non è il primo coming out nel mondo del calcio, ma è particolarmente significativo. Questo perché, banalmente, il nome di Jankto è conosciuto. In carriera ha giocato con Udinese, Sampdoria, Getafe, nella Nazionale della Repubblica Ceca; domenica scenderà in campo con la maglia dello Sparta Praga contro lo Jablonec in uno stadio pieno, con le telecamere e la diretta televisiva.

Come lo accoglieranno i tifosi? E gli avversari? Cosa penseranno di lui i compagni di squadra? Se esporre la propria omosessualità è difficile per chiunque, farlo all’interno del calcio professionistico è ancora un tabù. Dopotutto è un mondo che non si fa problemi a portare il suo evento più importante in un Paese omofobo come il Qatar, dove si discute la possibilità o meno di indossare una fascia da capitano con un sostegno alle comunità LGBTQ+, dove le bandiere arcobaleno sono bandite da molti stadi.

‘Questo è un giorno importante’

Le reazioni, fin qui, sono state positive; domani vedremo. Lo Sparta Praga ha espresso subito il suo sostegno, sottolineando come "Tutto il resto riguarda la sua vita personale: nessun commento ulteriore e basta domande"; lo stesso ha fatto il Getafe, che detiene il cartellino di Jankto. Anche la FIFA, la Uefa, i principali campionati e diverse squadre importanti hanno mostrato il loro supporto social; così come alcuni calciatori (Meret, De Roon, Marchisio, «È un giorno importante. Ogni essere umano deve essere libero di vivere come vuole» ha detto Neymar).

Niente di trascendentale, ma è un piccolo segno che anche in un mondo reazionario e conservatore come il calcio le cose stanno cambiando, e non solo a parole. Il fatto che Jankto si sia sentito libero di poter dichiarare il suo orientamento sessuale è, davvero, una piccola rivoluzione che speriamo il calcio sappia raccogliere, per aprire un dibattito che fino a ieri non sembrava possibile. I rapporti tra calcio e omosessualità, infatti, sono sempre stati conflittuali, come se una escludesse l’altro. Anzi, è come se uno negasse l’altro: per molti il calcio è uno sport troppo maschio per essere praticato da chi ama altri uomini ("non esistono gay nel calcio" è una frase piuttosto comune nella sua assurdità). Una motivazione che nel 2007 un giudice brasiliano ha usato per respingere la denuncia fatta dal calciatore Richarlyson (che molti anni dopo dichiarerà di essere bisessuale) a un dirigente del Palmeiras che in TV gli aveva dato del gay. "Il calcio è un gioco virile, maschio, non omosessuale – aveva scritto il giudice –. Chi si ricorda dei Mondiali del 1970, chi ha visto quella squadra magnifica, non può nemmeno immaginare che uno di quei fuoriclasse, come per esempio Pelè, potesse essere gay".

Legge libri? Sarà gay

Anche per questo il valore sportivo di Jankto – un calciatore con più di cento presenze e diversi gol tra Serie A e Liga e 45 gettoni nella Nazionale ceca – risulta importante. Perché scredita questo pensiero retrogrado, seppellisce una storia di offese agli omosessuali, bollati come inferiori solo per le loro preferenze sessuali.

La storia del calcio è piena di comportamenti omofobi, fin dalla sua nascita. Nel 1934 Carlo Carcano era l’allenatore della Juventus quattro volte campione d’Italia, considerato uno dei tecnici più all’avanguardia in Europa, ma all’improvviso e senza ragione venne licenziato e sparì nel dimenticatoio. Solo molti anni dopo si venne a sapere che il suo allontanamento fu dovuto alle frequentazioni fuori dal campo, in un Paese in cui i gay venivano chiamati invertiti, sodomiti, pederasti, uranisti. A George Best i tifosi avversari cantavano con fare dispregiativo "cammina come una donna/indossa un reggiseno" solo per aver fatto una pubblicità di intimo e per i suoi capelli lunghi.

Lo stesso, negli anni della rivoluzione sessuale, accadeva a Charlie George, attaccante dell’Arsenal a cui chiedevano "dove avesse lasciato la sua borsetta" e a Glenn Hoddle, ribattezzato Glenda per il suo taglio di capelli. Se pensate sia solo un retaggio culturale del passato vi sbagliate: Hector Bellerin viene spesso chiamato "lesbica" negli stadi di tutto il mondo per i suoi capelli lunghi e perché fuori dal campo ha un gusto peculiare nel vestire e idee politiche di sinistra. Ma non è solo un appiglio dei tifosi per offendere gli avversari. L’allenatore Alan Smith ha raccontato di aver avuto «calciatori che erano single e leggevano libri e per questo gli altri compagni pensavano fossero gay».

Graeme Le Saux, terzino sinistro della Nazionale inglese, ha subito insulti omofobi per tutta la carriera; il motivo era che aveva passioni poco convenzionali per un calciatore: aveva studiato, collezionava mobili antichi e leggeva un quotidiano progressista come il Guardian. Il 27 febbraio 1999, mentre si apprestava a battere un calcio di punizione durante un Chelsea-Liverpool, Le Saux venne provocato da Robbie Fowler che iniziò a piegarsi in avanti mostrandogli il sedere e indicandolo. Quando Le Saux tentò di attirare l’attenzione dell’arbitro per far smettere quell’offesa venne ammonito per perdita di tempo. Dopo il ritiro ammise di aver recitato la parte del difensore rude in campo proprio per allontanare da sé gli insulti omofobi, senza per altro riuscirci.

‘Se fai coming out, sei morto’

Come si può accettare serenamente la propria omosessualità in un ambiente dove è normale che Cassano possa dire che «se sono fr**i è un problema loro»? Oppure Scolari sostenere che «se scoprissi un gay nella mia squadra lo caccerei immediatamente». Marcello Lippi disse di non averne mai incontrati in 40 anni di carriera. Antonio Cabrini ha raccontato che uno dei motivi del famoso silenzio stampa della Nazionale italiana ai Mondiali dell’82 fu dovuto alle presunte voci uscite sui giornali secondo cui lui e Paolo Rossi fossero una coppia omosessuale. I giornalisti lo avevano presunto perché passavano molto tempo insieme in ritiro.

Nel 2016, dopo un Inter-Napoli particolarmente acceso, Roberto Mancini andò ai microfoni della RAI a denunciare il comportamento di Sarri: «Lui ha iniziato a inveire contro di me, urlando, dicendo "fro**o", "finocchio". Io sono orgoglioso di esserlo, se lui è un uomo», una frase che da una parte smaschera un atteggiamento omofobo, ma dall’altro conferma la differenza tra "finocchi" e "uomini" su un campo da calcio.

Sono gli stessi calciatori a consigliare il silenzio come forma di convenienza. Philipp Lahm, storico capitano della Nazionale tedesca, nella sua autobiografia ha scritto nero su bianco che è meglio non fare coming out nel mondo del calcio. Chi lo fa «dovrebbe mettere in conto che in molti stadi verrebbe fatto oggetto di insulti, offese e frasi diffamatorie: chi lo sopporterebbe e quanto a lungo?». Ancora più diretto è stato Patrice Evra, che in un’intervista ha detto che «nel calcio tutto è chiuso. Se da calciatore dici che sei gay, sei morto». Sempre Alan Smith ha fatto notare come questo atteggiamento sia fortemente incongruente: «Puoi ubriacarti e picchiare tua moglie e questo [nel mondo del calcio] è abbastanza accettabile, ma se qualcuno dice "Sono gay", è considerato orribile».

Justin il pioniere

È per questo clima tossico che i coming out nel calcio, prima di Jankto, sono stati pochissimi. Il caso più noto e tragico è quello di Justin Fashanu. Promettente attaccante inglese di origini nigeriane, la sua carriera iniziò a deragliare quando era al Nottingham Forest, una delle migliori squadre dei primi anni 80. Qualcuno lo vide uscire da un locale per gay e le voci sulla sua presunta omosessualità iniziarono a circolare sempre più velocemente. Brian Clough, leggendario allenatore inglese, in allenamento iniziò a chiamarlo bloody poof (dispregiativo inglese per gli omosessuali), umiliandolo davanti ai compagni. Fashanu, che già doveva subire offese razziste per via del colore della sua pelle, divenne il bersaglio dei tifosi, in un momento storico in cui agli omosessuali si appiccicava anche l’etichetta di malati di AIDS. Nel 1990 Fashanu fece coming out, venendo estromesso ancora di più dal mondo del calcio, abbandonato dalla comunità nera e addirittura dal fratello, anche lui calciatore. Nel 1998, dopo alcuni anni difficili, fu trovato impiccato in un garage alla periferia di Londra.

Forse per questo Thomas Hitzlsperger – un passato da professionista tra Inghilterra, Germania e Italia – ha aspettato il ritiro per dichiarare la sua omosessualità nel 2014, a quasi 30 anni di distanza dal coming out di Fashanu. Pur ammettendo che il calcio aveva fatto dei passi avanti a riguardo, dichiarò di non aver mai pensato di poterlo fare mentre ancora giocava. Douglas Braga, addirittura, decise di fare coming out e lasciare il calcio allo stesso tempo, quando aveva appena 21 anni. «Era una scelta tra l’essere sé stessi e l’essere calciatori. Era semplicemente impossibile essere entrambi», disse alla BBC.

Segnali positivi

Ci sono anche segni del cambiamento, però. Nel 2013 Robbie Rogers, centrocampista americano con qualche esperienza anche in Europa, fece coming out a nemmeno 26 anni, annunciando subito dopo il suo ritiro. Il vasto supporto dallo sport americano però lo convinse a ripensarci e tornare a giocare con i Los Angeles Galaxy. A ottobre del 2021 Josh Cavallo, difensore dell’Adelaide City di 22 anni, ha scritto di essere "un calciatore e un omosessuale", a rimarcare come le due cose possono convivere in una sola persona. Cavallo ha ricevuto il sostegno di una larga parte del mondo del calcio, anche se dopo il suo coming out è stato vittima di insulti omofobi dai tifosi dei Melbourne Victory. «Non ci sono parole per dire quanto io sia deluso. Non mi scuserò mai per il modo in cui vivo e per chi sono fuori dal calcio», è stata la sua risposta.

Prima di Jankto, nell’estate scorsa, era stato il 17enne Jake Daniels a dichiararsi. Forte di una stagione da 30 gol nelle giovanili del Blackpool, Daniels stava per firmare il suo primo contratto da professionista quando aveva pensato che avrebbe dovuto nascondere le sue preferenze sessuali per tutta la carriera. «Sapevo che per molti anni avrei dovuto mentire e non avrei potuto vivere la vita come volevo», ha raccontato. A quel punto, però, ha fatto una scelta controcorrente: invece di nascondersi, o peggio ritirarsi, ha fatto coming out sostenuto dal suo club.

Sempre più giovani nel mondo dello sport – il calcio è forse uno dei più chiusi, ma altrove non è che la situazione sia poi così rosea – stanno scegliendo di farsi avanti e dichiarare le proprie preferenze sessuali. È la dimostrazione che il mondo va avanti, che la prossima generazione sarà meno chiusa di questa, che il progresso è sempre positivo.

Anche per questo le parole di Jankto – sebbene qualcuno possa pensare che non siano davvero importanti – lo sono: perché mandano avanti il mondo. Negli ultimi secondi del suo video si può leggere la scritta "Non sto scherzando. Il mio scopo è incoraggiare altre persone a fare lo stesso", ed è tutto quello che conta. Essere un esempio non è un obbligo per nessuno, ma diventarlo è sempre un merito.