laR+ la guerra in ucraina

Streghe, gatti e confini: storie dalla Resistenza

Donne che tornano a casa per aiutare mentre l’inverno, un anno dopo, fa sventolare le bandiere apposte accanto alle tombe

Il murale anti-Putin nella periferia di Kiev circondato dalla neve
(Keystone)
24 febbraio 2023
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Yuliya è seduta in una pasticceria davanti a un infuso alla menta e cannella. I camerieri si muovono tra un tavolo e l’altro, tra specchi e decorazioni e fontane di cioccolato. "Quella di Lviv dicono tutti che sia la migliore. Dovete provarla". Oltre la vetrata del locale c’è il quartiere di Podil e una ruota panoramica e dei pony a pelo lungo che stazionano, insieme ai loro padroni, in attesa di clienti davanti a un carretto. Dei bambini sfrecciano su piccole macchine elettriche a noleggio.

Nevica su Kiev e Yuliya ha lo sguardo sempre un po’ perso altrove. Guarda spesso il cellulare, perché ogni secondo potrebbe arrivare un messaggio, una foto, una notizia. Qualcosa che non vorrebbe sentire o vedere. "Perché ho scelto di tornare? Alla base c’è sempre una motivazione egoistica. Stavo male a guardare tutto quello che succedeva da fuori, dalla Germania. Vedevo sui social o alla tv la mia città circondata e seguivo ogni notizia con ansia. Non ci dormivo la notte, perché la mattina avevo già il terrore di alzarmi immaginando che qualcosa di terribile potesse essere accaduto. Questa cosa non mi faceva vivere. Mi sono resa conto che invece di accettare questa atrocità chiamata guerra, soffrivo sempre di più. Aiutare le persone che combattevano per l’integrità di questo Paese, stare vicino alla mia famiglia, ai miei amici, dare una mano. Questo volevo fare. Per questo sono qui.


Sventolano le bandiere nel cimitero degli Eroi di Irpin (Keystone)

Le maledizioni di Konotop

Yuliya viene da Konotop, la città delle streghe. C’è un video girato nei primi giorni di occupazione della città che ha fatto il giro del mondo, finendo anche in un noto show americano: nel filmato si vede una donna che inveisce, maledicendolo, contro un carrista russo. "Lo sai dove sei? – dice –. Sei a Konotop. Qui tutte le donne sono anche streghe. Da domani diventerai impotente".

Scene del genere, di civili che urlano ai russi, che li insultano, si sono viste un po’ dappertutto qui in Ucraina, ma a Konotop questa maledizione assume un significato particolare. La diceria sulle streghe nasce da un libro, ‘Racconti della Malorossiya’, scritto da Hryhorii Kvitka-Osnovianenko. Storie di cosacchi, amore e fattucchiere, dell’arte del malocchio e dei veleni.

Nel tempo, la finzione letteraria, a Konotop, è diventata realtà. Un gioco, spesso, attraverso il quale le donne della città si vantano per rivendicare la loro forza e che diventa una forma di resistenza che passa ancora una volta nella riappropriazione dell’identità linguistica e culturale ucraina.

Una famiglia

Yuliya ha una toppa sulla sua giacca con un viso di donna, in testa una corona di fiori rossi, e un teschio con la scritta ‘strega da combattimento’. Quando sale in macchina non ha ancora detto a sua sorella Lada che sta tornando a casa. Lada è sergente nella 58ª brigata di fanteria meccanizzata. Ha i capelli rosso mogano e la pelle bianca come la neve che sta coprendo anche qui i tetti dei palazzi e le strade della cittadina. La loro madre è andata, come tante donne ucraine, nei primi anni Duemila in Italia. Poi ha fatto venire le figlie.

Del padre di Lada, un militare ucraino dell’Armata Rossa di stanza in Bielorussia, le tracce si perdono pochi anni dopo la sua nascita. Lada è appena rientrata con il suo gatto Maggiore da Bakhmut, la porta dell’inferno in Donbass. Maggiore l’ha salvata almeno un paio di volte, avvertendola del pericolo. Un gatto da guerra, nato in una trincea con un destino da ufficiale. Prima di laurearsi in sociologia a Kiev, Lada ha lavorato in Italia come governante d’hotel. Yuliya invece ha fatto l’Università tra Pisa e Modena e ha una laurea in lingue e un master in economia circolare e business sostenibile.


Un gatto nero tra le macerie (Keystone)

Il richiamo, le perdite

Le due sorelle streghe di Konotop, in momenti diversi, hanno sentito un richiamo. È quello che centinaia di migliaia di altre persone hanno sentito in questo Paese, tornate in patria da ogni parte del mondo. Uomini e donne che si erano costruiti una vita, un futuro e una stabilità economica altrove.

Un anno è quasi passato dal 24 febbraio 2022. In un anno le persone si guardano in volto e ricordano chi è rimasto e chi non ce l’ha fatta. I cimiteri si sono riempiti di fiori, fotografie e bandiere. E sono tornati il gelo e il vento dell’inverno precedente a farle sventolare. Il silenzio dei morti, il pianto dei vivi. "Il mio ex fidanzato è stato ucciso da un colpo di artiglieria nella zona di Lyman. Non riesco ancora ad accettarlo, non so perché, ma ho sempre pensato che lui sarebbe rimasto vivo, nonostante tutto, ma non è stato così".

Gli eroi di Billopillja

Quanti sono i caduti e i feriti di questo anno di guerra? Nessuno lo sa per certo, ma sono decine e decine di migliaia. Ogni paese ha i suoi da contare. Come i diciassette morti e i diciannove dispersi di Billopillja, diciassettemila anime nell’oblast di Sumy, a est di Konotop. Cinque ore di macchina da Kiev, venti minuti dal confine con la Russia. Un caffè in centro città, qualche negozio, il fumo degli scarichi delle macchine, densi. Piccole grigie nuvole che si stagliano su un anonimo sfondo color bianco ghiaccio.

Olexander Khozhukhov, il vicesindaco, srotola una mappa sul tavolo del suo ufficio. "Il distretto cittadino copre circa trentacinque chilometri di frontiera condivisa con Mosca. Ecco qui, vedete, in questa zona abbiamo diversi villaggi che sono letteralmente attaccati alla barriera o in alcuni casi divisi a metà dal passaggio doganale. In questa parte della regione di Sumy ogni giorno i russi sparano decine di colpi di artiglieria. La maggior parte della popolazione ha deciso di andare via, è troppo pericoloso vivere in quest’area, ma ci sono alcune centinaia di residenti che non vogliono essere evacuati e dobbiamo in qualche modo aiutarli".

Olexander ama definire Billopillja come una città di resistenti, perché qui "tutti sono coinvolti per aiutare l’esercito contro gli invasori russi". La mattina del 24 febbraio 2022 Khozhukhov ricevette una chiamata da alcuni civili che vivevano sul confine. "Stanno arrivando i carri armati russi, cosa dobbiamo fare?", dissero. I soldati di Mosca sono entrati da Rijivka, sulla linea ferroviaria, ma diversi mezzi si sono impantanati nelle paludi. "I nostri partigiani hanno poi bruciato alcuni dei loro veicoli corazzati. I russi sono tornati indietro, hanno sbarrato il passaggio doganale e si sono avviati verso Boiaro-Lezhachi e poi in direzione di Konotop. Noi siamo rimasti chiusi in una bolla, accerchiati dai militari russi che cercavano di dirigersi velocemente verso Kiev. Le nostre forze dell’ordine erano sparite, l’esercito ucraino pure, era più a sud. Alcuni poliziotti poi sono rientrati in città travestiti da civili ma, di fatto, la comunità si è autogestita organizzando la resistenza e dividendo la città in quadranti. Facevamo i turni di guardia per evitare sciacallaggi e mantenere l’ordine. Siamo rimasti così fino al 3 aprile, quando a Billopillja è entrata la 72ª brigata dell’esercito ucraino".


Mazzi di fiori per un soldato sepolto a Leopoli (Keystone)

I fantasmi dell’Holodomor

Negli anni Trenta l’insediamento, come tanti altri villaggi ucraini, ha visto morire più di duemila dei suoi abitanti per fame durante l’Holodomor, la carestia provocata da Stalin nel territorio dell’Ucraina dal 1932 al 1933, un vero e proprio genocidio per fame che ha causato milioni di morti. Forse è per questo che la maggioranza della comunità è rimasta coesa. Qui, tutti si conoscono, sono amici o parenti. "Non ci sono stati sabotaggi o passaggi di informazioni ai russi qui. Nostri uomini hanno organizzato staffette per passare clandestinamente nelle zone libere e tornare indietro con medicinali, farina e altro cibo. Molti contadini davano il latte gratis alla comunità. Così abbiamo resistito per un mese e mezzo", dice il vicesindaco.

Nell’area sono stati persi circa 4’500 ettari di terreno coltivabile, compresi i terreni che si trovano entro i due chilometri dal confine, ormai inutilizzabili. Molte aziende agricole sono state colpite dai bombardamenti e ci sono stati danni per decine e decine di milioni di grivne.

Volodymyr Vidujev si occupa di coordinare gli aiuti umanitari. È lui a portare personalmente delle stufette elettriche in un piccolo villaggio immerso in una coltre di neve. La temperatura è sotto lo zero. Siamo sempre più vicini al confine russo. Una decina di persone attende in mezzo alla strada. Persone semplici, contadini, molti di loro anziani. "Perché non ce ne andiamo? E dove? – dice una signora –. Questa è la nostra casa".

A due passi dal confine

La seconda fermata è a Iskryskivshchyna, a circa settecento metri dal confine. C’è una posta, una scuola, un edificio comunale. Tutto bombardato. Olexsii Miller è il sindaco del paese, che prima della guerra contava 646 abitanti. Gli studenti russi venivano a piedi dalla città russa di Tetkino per frequentare l’istituto professionale del paese, mentre gli abitanti di Iskryskivshchyna andavano a lavorare oltreconfine nelle fabbriche russe, una di alcolici e l’altra di farine.

"Qui avevamo una chiesa in legno che tutti venivano a visitare, una delle più antiche della regione". Un colpo di artiglieria l’ha semidistrutta. Davanti al comune due uomini sono fermi davanti a un cumulo di sacchi di carbone. Devono distribuirli ai pochi abitanti rimasti, circa un centinaio. "Non abbiamo molto tempo. Se i russi alzano i droni abbiamo circa quindici minuti e poi bisogna andarsene da qui o nascondersi nel rifugio prima che aprano il fuoco, dice Miller. Ironia della sorte, una statua adiacente a un monumento di era sovietica dedicato ai caduti della ‘Grande guerra patriottica’ (la Seconda guerra mondiale) è stata decapitata da un colpo di artiglieria russa.

"Certo che avevamo rapporti. La maggioranza degli abitanti ha parenti dall’altra parte, la frontiera qui era come se non esistesse, si andava a piedi da una parte all’altra. Oggi è tutto diverso". Alcuni parlano ancora con i loro familiari in Russia, ma spesso si evita di toccare il tema dell’invasione, le persone hanno paura di essere intercettate. Discorsi surreali, come se la guerra non esistesse. "Dal primo di gennaio i bombardamenti sono ripresi con forte intensità e i dipendenti comunali di Billopillja non vogliono andare a pulire le strade dalla neve o fare manutenzione nelle frazioni adiacenti al confine. Hanno paura. Per questo abbiamo portato scorte per circa tre mesi per ogni civile rimasto in zona", dice Volodymyr Vidujev, responsabile per gli aiuti umanitari.


Si continua a combattere (Keystone)

Diventare soldati

E se tornano i russi? "Prima non c’era quasi nessuno a difendere i nostri confini. Adesso c’è l’esercito. E noi con loro". L’esercito. Vitaly Gural è il comandante della seconda brigata di fanteria motorizzata del 58° battaglione dell’esercito ucraino. Ha solo ventinove anni ma ha già preso medaglie e onorificenze per aver difeso il settore di Chernihiv nei primi giorni dell’invasione.

Il centro di comando è una delle tante casette di un villaggio a una trentina di chilometri da Sumy. I suoi uomini, davanti a radio militari e cartine, sono tutti più vecchi di lui. "Sono entrato nell’esercito nel 2016, ero uno studente all’Università di Kiev nel settore delle biorisorse. Ho abbandonato gli studi e mi sono arruolato". Il suo battaglione è nato nel 2022 ed è formato interamente da civili. Il capitano Gural è l’unico soldato professionista del suo battaglione. Avvocati, medici, tecnici, studenti, operai, artisti, imprenditori. Ogni professione è stata dimenticata, temporaneamente sepolta, abbandonata per vestire una divisa e sparare. "La notte del 24 ero nel mio ufficio. Ero a dieci chilometri dal confine quando hanno invaso".

Il capitano è appena tornato con i suoi da Bakhmut, Donbass. Quando gli si chiede dei morti sul campo, non si nasconde dietro ai comunicati ufficiali. "Nel nostro battaglione abbiamo perso diversi uomini. Il fatto di non avere soldati professionisti, per quanto i volontari siano motivati, pesa quando sei in prima linea a combattere. Nessuno dei due Paesi in guerra dirà mai il numero esatto dei propri caduti. Semplicemente per non demoralizzare la società, la spina dorsale del nostro esercito".