L’Udc vuole una Svizzera senza richiedenti e si ispira all’accordo tra Regno Unito e Ruanda. Il professor Achermann: vecchia idea, destinata a morire.
Spostare le procedure d’asilo in centri fuori dai nostri confini? Alberto Achermann mostra il pollice verso. Per il professore di diritto delle migrazioni all’Università di Berna, la ricetta con cui l’Udc – in chiave elettorale – torna a riscaldare la minestra dell’asilo (vedi sotto) è «un’idea balzana». «Non siamo messi peggio di altri. Prenda il numero di domande d’asilo pro capite: da anni siamo nella media europea. Al momento, nella situazione politica attuale, non posso immaginarmi che la Svizzera faccia un balzo avanti. Sarebbe inopportuno seguire l’esempio del Regno Unito e precedere tutti gli altri Paesi, trasferendo l’esame delle domande d’asilo in centri all’estero. E poi quale Stato sarebbe pronto ad assumersi questa responsabilità? La Turchia, forse, messa a fare il portiere dell’Europa nonostante già accolga milioni di rifugiati? I Paesi nordafricani, che nemmeno accettano di riprendere i loro cittadini respinti?».
L’idea non è affatto nuova. «Era stata studiata negli anni Ottanta in un rapporto dell’Igc [Intergovernmental Consultations on Migration, Asylum and Refugees]. Non se ne fece nulla: gli esperti giunsero alla conclusione che non era realizzabile», spiega Achermann, già presidente della Commissione nazionale per la prevenzione della tortura.
L’Udc si ispira a quanto si sta facendo nel Regno Unito. In effetti, il ‘Memorandum of Understanding’ (MoU) firmato il 14 aprile 2022 col Ruanda ha portato il concetto a uno stadio mai raggiunto prima d’ora in Europa. Ma altrove l’idea non sembra attecchire: «In Austria [altro Paese citato come esempio dai democentristi, ndr] circola da decenni, ogni tanto salta fuori. Senza che si sia mai concretizzato alcunché. Anche in Danimarca quasi sicuramente finirà in un cassetto. Semplicemente perché non funziona». Maggior fortuna ha avuto fuori dall’Europa. L’Australia gestisce da anni un centro offshore per l’esame delle domande d’asilo sull’isola di Nauru. E Israele tra il 2013 e il 2018 ha deportato migliaia di richiedenti eritrei e sudanesi verso Uganda e Ruanda, Paesi coi quali avrebbe stretto intese.
Achermann non si esprime sul concetto in sé. Il giudizio «dipende dal modello concreto», osserva. Ad esempio: un richiedente asilo la cui domanda viene accolta in un Paese che ha siglato un accordo in questo senso con la Svizzera, dovrà restare lì dove ha depositato la sua richiesta? Oppure verrà trasferito nella Confederazione? Nel suo documento di posizione, l’Udc non entra in dettagli. Si limita a chiedere al Consiglio federale di "esaminare subito" non meglio precisati "scenari" in base ai quali le procedure d’asilo potrebbero essere trasferite all’estero (dove esattamente, non viene detto).
Il ‘modello ruandese’ non persuade l’esperto. «I richiedenti la cui domanda d’asilo venisse accettata resterebbero nel Paese africano. Ma come si potrebbe convincere un albanese, ad esempio [gli albanesi sono al momento i più numerosi tra i richiedenti asilo nel Regno Unito, ndr], a rimanere lì, a non emigrare di nuovo e a cercare asilo altrove? E poi: alle persone in Ruanda verrebbe garantito un accesso equo alla procedura d’asilo? Avrebbero una protezione giuridica? Verrebbero fornite le necessarie garanzie quanto alla disponibilità di interpreti in diverse lingue? Cosa succede a chi viene respinto?» L’accordo fra Regno Unito e Ruanda «lascia molte questioni aperte», afferma Achermann. Il professore dell’Università di Berna trova «alquanto strano» che le autorità ruandesi «siano in grado di costruire un sistema del genere per persone che nemmeno vogliono rimanere nel Paese». Insomma: vi sono «seri dubbi» sull’applicabilità di un simile modello, che oltretutto «costerebbe moltissimo e solleverebbe complesse questioni giuridiche».
Anche sotto il profilo dei diritti umani. Achermann riconosce: l’Udc su un punto ha ragione, «la Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati non prevede alcun obbligo per un Paese di concedere l’asilo e di accogliere un richiedente sul proprio territorio». D’altro canto, «non si può nemmeno spedire una persona ovunque nel mondo, in Paesi dove non ha alcun contatto e dove magari sarebbe persino in pericolo. Per esempio: un albanese in Ruanda ha la possibilità di integrarsi, di trovare un lavoro?». Sono tutti «aspetti che la recente sentenza [dicembre 2022, ndr] dell’Alta Corte di giustizia nel Regno Unito non prende in considerazione» e che perciò restano fonte di «grossa preoccupazione». «In sostanza la Corte – prosegue l’esperto – afferma che le autorità devono analizzare caso per caso se la persona può vivere in Ruanda; e questo tipo di accertamento richiede tante risorse quante ne richiede una normale procedura d’asilo. Cosa si guadagna alla fine? Molto poco, se non niente».
Anche in Svizzera l’idea è già stata valutata (e scartata) in passato. Lo stesso Consiglio federale la ritiene "non attuabile", poiché solleva "complesse questioni giuridiche" e pone "grosse sfide a livello politico e operativo". Alberto Achermann crede che il progetto al quale l’Udc si ispira non decollerà. «Tra qualche tempo, magari quando i conservatori non saranno più al governo, l’idea morirà anche lì, di nuovo».
Berna – In Svizzera arrivano "troppi stranieri" e "quelli sbagliati"; e il sistema d’asilo, in preda al "caos", è ormai "fallito". Ne è convinta l’Udc che, in un documento programmatico in vista delle elezioni di autunno, presentato ieri a Berna, auspica né più né meno "un cambiamento di paradigma". Nel concreto: spostamento delle procedure d’asilo in centri d’accoglienza al di fuori dei confini nazionali; creazione di zone di transito al confine, dove i richiedenti possano presentare la loro domanda; allontanamento sistematico dei clandestini; riorientamento dell’aiuto allo sviluppo, da subordinare alle priorità della politica migratoria; rifiuto del Patto Onu sulla migrazione.