Mendrisiotto

Storie dalla sofferenza della perdita

Gli studenti di Lavoro sociale della Supsi portano in scena a Casvegno ‘Lo sguardo che solleva. Lo sguardo che precipita’

Sulle tracce di Orfeo ed Euridice
(Ti-Press/Elia Bianchi)
30 dicembre 2022
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Gli antichi greci lo avevano capito prima di noi. Ecco perché il potere del mito, come nella storia di Orfeo ed Euridice, ancora oggi può aiutare a leggerci dentro e a metterci in ascolto degli altri. La forza del teatro (e del suo linguaggio), poi, può fare il resto. È così che in una mattina che ha già il sapore delle feste (venerdì scorso), nella sala del Teatro sociale di Casvegno, a Mendrisio, capita di ritrovarsi catapultati nel bel mezzo di una esperienza inaspettata quanto intensa, tra parole ed emozioni. Sul palco ci sono gli studenti del terzo anno del Modulo di Metodi e tecniche di intervento con il disagio psichico, Corso di Bachelor in Lavoro sociale alla Supsi, sorretti dal Conservatorio della Svizzera italiana (perché la musica è un collante irrinunciabile) e dalla compagnia teatrale Concreta. In sala vi è una platea attenta e partecipe.

Non è la prima volta, del resto, che le ragazze e i ragazzi del corso si misurano con un esperimento simile. A fare la differenza, dopo la pandemia, c’è, però, il ritorno in un teatro, tanto più ‘speciale’ quale è quello all’interno del Parco di Casvegno, nel ‘cuore’ dell’Osc, l’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale. Anche la scelta del luogo in effetti, non è casuale: questi giovani durante il loro percorso professionale con il disagio psichico e la sofferenza umana ci dovranno fare i conti giorno dopo giorno. Imparare a mettersi in gioco (da subito), quindi, è importante. Comprendere come ‘fare qualcosa’ imprescindibile.

La perdita, lo sguardo

Quest’anno vanno in scena i temi della perdita e dello sguardo (sugli altri e degli altri). La missione, una volta di più, è di quelle impegnative, ma il risultato, alzato il sipario su ‘Lo sguardo che solleva. Lo sguardo che precipita’, è coinvolgente. In fondo Orfeo ed Euridice sono ‘solo’ l’espediente narrativo per raccontare ben altro. Andando, quindi, oltre la storia di Orfeo che scende fin negli inferi per ritrovare e riportare in vita la sua amata Euridice perduta, uccisa dal morso di un serpente nascosto nell’erba.

Un esperimento, come detto, riuscito, per merito dell’interazione (pure in questo caso) tra operatori e utenti, che hanno letteralmente donato con generosità la loro storia, il loro vissuto, in una serie di interviste biografiche che hanno costituito l’ossatura del lavoro. Qui la mitologia ha le sue radici nella realtà vera.

Come fa memoria Lorenzo Pezzoli, professore in Psicologia applicata alla Supsi, nella Rivista di accompagnamento al Modulo, "dentro questa grande storia (di Orfeo ed Euridice, ndr) – grande non solo perché ha attraversato i secoli ma anche perché, come fanno i miti, mette in contatto con molte dimensioni profonde di sé – si trovano i temi della presenza, dell’assenza, della responsabilità, dell’attesa, del lutto e dei suoi processi, dell’evento di vita che ne cambia radicalmente il corso, del chiudersi all’altro e di come, la mancata integrazione di tale perdita incida, come l’invisibile di cui sopra si è fatto cenno, sulle scelte e le condotte del protagonista".

Il focus, le interviste biografiche

Gli interpreti che si affacciano al proscenio, come dei moderni Virgilio restituiscono racconti di perdite (della salute, della persona amata, del lavoro) che hanno segnato l’esistenza, tra naufragi e salvataggi, e ci guidano alla scoperta degli altri e anche un po’ di noi stessi. Più voci che alla fine conducono attraverso un’unica storia, che sa fare da cassa di risonanza alla sofferenza e al cammino terapeutico. Ciò che conta, una volta di più, è sapersi mettere in ascolto. Di fatto, come fa notare ancora Pezzoli, si è dato modo a persone "colpite dalla vita di raccontarsi, di parlare di sé e della personale esperienza". Storie tra le storie: in quanti ci siamo ritrovati, almeno una volta, sulla soglia tra luce e buio? Sulla tracce di Orfeo ed Euridice la rappresentazione si dipana, dunque, attraverso quattro snodi: tappe nella vita di tanti che si fanno carne viva nell’esperienza del Club ’74, di Ingrado e Pro Mente sana, che affiancano docenti e studenti in questo tratto del cammino formativo.

Una rappresentazione ‘sorprendente’

D’altro canto, la multidisciplinarietà del lavoro di docenti e studenti, di operatori ed utenti, espressione del valore delle relazioni umane, ha sorpreso per primo il direttore della Supsi Franco Gervasoni, in prima fila, venerdì scorso, per seguire la rappresentazione. «Tutti noi che con verità, passione entusiasmo partecipiamo a questi percorsi siamo un po’ sorpresi della capacità costruttiva di permettere quanto avviene nel corso di mesi lavoro insieme», ha rimarcato poi a margine del lavoro Valentino Garrafa, animatore socioculturale del Servizio di socioterapia Osc. «Quello che ci è stato fatto, d’altra parte, è un grande dono: regalare parte della storia della propria vita per ognuno di noi è estremamente complesso».

L’esperienza portata in scena, si è aggiunto il professore della Supsi Stefano Cavalli, è riuscita altresì a far emergere anche un altro tema cruciale, quello della solitudine: «Non è facile – ha sottolineato – far parlare chi ne soffre e non è facile nemmeno per gli operatori accompagnare queste persone e aiutarle ad affrontare questo problema».

In effetti, sono momenti come quello condiviso, si è ribadito, che danno un senso all’impegno di chi lavora in questo campo, che davanti a sé ha l’obiettivo di dare una mano a quanti attraversano difficoltà e sofferenza. Perché, si è ricordato prima di lasciare palco e sala, una persona non è solo la sua malattia.