Dal Plan B ai LVGA Points, da via Nassa agli organi di vigilanza: come la più grande città ticinese sta digitalizzando la propria economia
Sono passati quasi due mesi dal Plan B Forum di Lugano, e oramai quasi due anni dall’implementazione dei LVGA Points, la valuta digitale ufficiale della Città (seppur il progetto legato a quest’ultimi sia partito un po’ in sordina); e come ogni fine dell’anno viene un po’ naturale tirare le somme e vedere dove si è arrivati, e dove si sta andando. Il mondo delle criptovalute e della blockchain ha certamente visto giorni migliori, con il prezzo del Bitcoin crollato vertiginosamente dai quasi 60mila franchi di novembre 2021 agli attuali 15mila, unitamente a vari scandali finanziari, come il recente caso di Ftx, una delle più grandi piattaforme di scambio (exchange) di criptovalute al mondo, il cui fondatore è stato arrestato con l’accusa di aver truffato i suoi clienti per svariati miliardi di dollari portando alla chiusura della piattaforma.
La situazione difficile che sta vivendo questo mondo non sembra tuttavia scoraggiare la Città, o perlomeno non coloro che lavorano al progetto. Va innanzitutto puntualizzato che i LVGA Points, accumulabili con l’app della Città, MyLugano, sono sì una valuta digitale, ma non sono affatto paragonabili ai Bitcoin. Questi ultimi hanno valore estremamente volatile, perché il loro prezzo è dettato dal mercato, mentre la valuta luganese è legata al franco svizzero. In altre parole: mentre qualcuno potrebbe acquistare un Bitcoin speculando sul suo aumento di valore (cosa che molti fanno), un LVGA varrà sempre un franco.
La similitudine più grande è che entrambe le valute sono scritte nella blockchain. Questa tecnologia molto complessa potrebbe essere spiegata come una catena di blocchi – blockchain appunto – di codice, in cui ogni blocco prova la veridicità del precedente, rendendo impossibile (in teoria) manomettere o falsificare questi codici. Essendo un sistema basato sull’autocertificazione, qualsiasi cosa inserita nella blockchain, come ad esempio i LVGA ma possono essere anche opere d’arte digitali o contratti, non sono duplicabili dal nulla con un semplice copia-incolla, e ogni transazione e movimento rimane segnata indelebilmente nel codice.
Uno slogan che si sente spesso associare al mondo delle cripto è quello della libertà finanziaria. Questa libertà verrebbe appunto data dall’indipendenza da banche e governi, visto che ogni singolo Bitcoin, per esistere, dev’essere certificato dall’intero sistema, e, a differenza dei governi, non è possibile stamparne a piacimento (possono essere prodotti tramite un processo chiamato mining). Ma anche questo discorso non si collega con i LVGA, dato che come detto il loro valore è legato al franco, e l’applicazione che permette al cittadino di portarseli in giro è gestita e supervisionata dalla Città di Lugano.
La valuta luganese non nasce come strumento per far contenti gli investitori di criptomonete, ma come sistema di promozione e di supporto ai commerci locali. La sua principale funzione, come ci ha spiegato il direttore della Divisone per lo sviluppo economico della Città, Pietro Poretti, è infatti quella di permettere agli utilizzatori dell’app MyLugano (o della MyLugano Pass per i non residenti) di ricevere degli sconti sotto forma di LVGA. Facendo un esempio, ricevendo uno sconto del 10% su una spesa di venti franchi, si riceveranno due LVGA sull’app, che potranno essere spesi presso gli altri commercianti aderenti all’iniziativa.
«Da quando abbiamo iniziato la distribuzione dei Pos poco prima del Forum – afferma Poretti – ne abbiamo consegnati 130; ci sono alcuni commerci che accettano i LVGA ma non possiedono ancora il Pos, e in ogni caso abbiamo ancora delle richieste in sospeso». Tramite questi Pos, oltre ai LVGA, è possibile effettuare acquisti in Bitcoin e Tether, quest’ultima è una criptovaluta il cui valore è in parte legato a quello del dollaro americano.
«A inizio dicembre, il risultato è di duemila transazioni effettuate, perlopiù consistenti in cashback (i soldi ricevuti indietro con lo sconto ndr). Questo ha senso perché lo sconto è solitamente del 10% ed è su piccoli acquisti e comunque l’iniziativa è rivolta ai commercianti locali, evitando i grandi marchi e di conseguenza le grosse cifre. Stiamo quindi assistendo un po’ a questo fenomeno in cui la gente accumula i LVGA per poi spenderli più avanti». Il cashback è uno dei principali metodi per ottenere i LVGA sul proprio portafoglio virtuale (detto wallet), ma si possono anche ricevere da qualcuno oppure convertire dei franchi acquistando i LVGA con la propria carta di credito, ma quest’ultimo metodo, ha ammesso Poretti, «è usato da poche persone».
Il progetto dei LVGA Points appare lodevole e, a modo suo, anche innovativo. La Città di Lugano ha però compiuto un passo oltre, iniziando a far parlare di sé in mezzo mondo, quando ha deciso di presentarsi con l’ambizione di diventare la capitale delle criptovalute. Una decisione che ha fatto alzare più di qualche sopracciglio. L’idea era quella di rendere possibile per le persone effettuare acquisti utilizzando le due summenzionate criptovalute, e di attirare aziende e imprenditori del ramo a stabilirsi nel nostro territorio: il famoso Plan B. Questo piano B non è stato risparmiato dalle critiche e dalle polemiche, in particolare dopo l’annuncio dell’accordo d’intenti con El Salvador, nazione centroamericana afflitta da povertà e violenza, che ha investito massicciamente nei Bitcoin. Pare però, che l’azione di marketing politico abbia dato i suoi primi frutti: sarebbero infatti circa duecento le società che hanno manifestato interesse a insediarsi in città. Società provenienti da ogni angolo del globo, di cui cinquanta sarebbero già a un avanzato livello di contrattazione.
La strategia scelta dal Municipio non ha comunque convinto molte persone. Tra i maggiori detrattori c’è la sinistra cittadina, che ha presentato diverse interpellanze, tra cui la più recente a metà novembre: in questa veniva chiesto al Municipio, con toni non proprio velati, quali fossero le sue intenzioni riguardo agli accordi presi con gli "speculatori in criptovalute" e se questi abbia valutato il rischio di cause collettive derivanti da questi accordi. Insinuazioni scivolate addosso al sindaco Michele Foletti. «A parte che non è chiaro se con ‘speculatori’ si riferiscano a qualcuno in particolare o a tutto il mondo delle criptovalute – ha puntualizzato il sindaco interpellato da laRegione –. In ogni caso gli unici contratti d’intenti che abbiamo non sono vincolanti, e sono quelli con El Salvador e Tether come visibile sul sito del progetto, e al momento nessuno dei due si è dimostrato essere uno speculatore. Per quanto riguarda le cause legali, anche qui non è chiaro a cosa si riferiscano, né viene specificato che tipo d’illecito staremmo commettendo». Di perplessità e rischi della strategia decisa dal Municipio, si parlerà ancora nella discussione generale che andrà in scena nella prossima seduta di Consiglio comunale, prevista nei primi mesi dell’anno.
«Siamo consapevoli che questo settore non è avulso da rischi – ha precisato il sindaco –, che ci sono di certo. La nostra non è un’apertura incondizionata e indiscriminata al settore delle criptovalute». Tra questi, oltre allo scandalo di Ftx che, stando a quanto dichiarato da Poretti, non avrebbe influito negativamente sul progetto, vi è anche quello di utilizzi illeciti delle criptovalute, come ad esempio l’evasione fiscale. «Oggi io potrei entrare in un negozio e spendere diecimila franchi per un orologio in contanti, senza che nessuno mi chieda nulla sulla loro origine – ha commentato Poretti –. Quindi i controlli andrebbero eventualmente effettuati dai commercianti stessi. Per quanto riguarda MyLugano (quindi solo la parte legata ai LVGA, non ai Bitcoin ndr), siamo regolarmente affiliati all’Organismo di autodisciplina dei fiduciari del Cantone Ticino. Inoltre, effettuiamo controlli per evitare eventuali anomalie, e oltretutto il limite massimo dell’equivalente di 5’000 franchi del portafoglio elettronico non permette di utilizzare grandi somme». Poretti ha inoltre confermato la volontà di fare sì che anche le start-up e le aziende che entreranno a far parte della galassia del Plan B non siano una fonte di guai per la Città.
Mentre mi trovavo a quella grande fiera a metà tra convention di videogiochi e festival delle start-up (con una spolverata di diritti umani che dà sempre quel tocco di etica socialmente utile) che è stato il Plan B Forum dello scorso ottobre, mi era venuta voglia di un caffè. Mi dirigo all’esterno, dove trovo un piccolo stand di una start-up (ovviamente) svizzero tedesca, molto hipster, molto trendy. Il problema era che non accettavano la carta: al Plan B Forum di Lugano, se volevi un caffè, dovevi pagartelo in Bitcoin, o alla peggio in LVGA Points, la valuta virtuale ufficiale della città.
Non disponendo di nessuno dei due, e non avendo nemmeno voglia di eseguire la procedura per averli (immaginate dover aprire un wallet prima ancora di aver preso un caffè), decido di andare a berlo in un normalissimo bar. Facendo per pagare, vengo a sapere che anche lì non veniva accettata la carta, non perché volessero venir pagati in criptovalute, ma perché le commissioni erano svantaggiose per una cifra così bassa. La morale della favola è che, a duecento metri da un luogo dove si professava il futuro dell’economia e la morte della moneta come la conosciamo, fui costretto a pagare nel buon vecchio denaro contante.
Ritengo l’aneddoto pregno di significato, nonché rappresentativo dell’impressione che ho avuto del Forum: una città che vuole correre ancor prima di aver davvero imparato a camminare. Perché durante quei due caldissimi giorni di ottobre si è parlato davvero di tutto e del contrario di tutto, senza però prendere una direzione precisa, tranne che nel definire le cripto il futuro mentre tutto il resto sarebbe da buttare. (Marchese del Grillo spostati proprio).
Tra i temi ricorrenti esposti durante il Forum, si possono citare: come le criptovalute siano la soluzione per i Paesi corrotti e in via di sviluppo; criptomonete come mezzo per ottenere la libertà finanziaria da banche e governi; come le monete ufficiali siano obsolete e dannose per la società; e infine, come tutto il mondo delle criptovalute costituisca una grande opportunità per Lugano.
E riguardo quest’ultimo punto è il caso di soffermarsi, perché in realtà la raison d’être di tutto questo parco divertimenti, con buona pace di Stella Assange, che è venuta a difendere il marito davanti a una platea semi-deserta, è proprio il profitto della Città. Non dei suoi abitanti, che di vantaggi da trarre da una finanza decentralizzata ne avrebbero pochi vista la sicurezza offerta dalle nostre banche, ma dei conti cittadini, assetati di ingenti gettiti fiscali degni di questo nome. Come dichiarato dallo stesso Paolo Ardoino, Cfo di Tether, il Plan B è nato con l’intento di attrarre sul territorio imprenditori del mondo cripto, con le loro aziende, e le loro tasse. Questo gigantesco Forum con biglietti d’ingresso a prezzi esorbitanti, con ospiti variegati e caffè pagabili unicamente in cripto, era in fondo solo una mossa di marketing, un po’ come la coda di un pavone che non serve a nulla (anzi è pure scomoda e dispendiosa) se non ad attrarre potenziali partner.
Peccato che il mondo delle criptovalute, in questo periodo, stia attraversando uno dei peggiori momenti della sua storia, a causa di scandali, arresti e furti miliardari, e si ha un po’ l’impressione che tutta questa idea, inclusa quella di gemellarsi con El Salvador, sia stata pensata durante quei tempi oramai trascorsi, in cui tutti sembravano arricchirsi grazie a queste fantasmagoriche monete virtuali. Poi, magari il futuro mi darà torto, e Lugano diventerà la capitale europea delle criptovalute, e tutti pagheremo le tasse in Bitcoin e la spesa in Tether. O magari no.
Via Nassa diventerà crypto friendly così come promesso pochi mesi fa entro l’estate, ma con regole diverse rispetto agli altri commerci cittadini. A svelarcelo è Roberto Mazzantini, presidente di Via Nassa Lugano, associazione che riunisce la maggior parte dei commercianti della via dello shopping di lusso.
«Fra i nostri associati, al momento abbiamo solo un albergo, una gioielleria e un negozio di abbigliamento che accettano criptovalute, non siamo dunque ancora la destinazione che vorremmo – premette Mazzantini –. Vogliamo però puntare sulle criptovalute perché nel breve termine sono una risorsa che può compensare quella clientela internazionale che si è parzialmente persa con la fine del segreto bancario». Un percorso non immediato, tuttavia: «Da un lato i grandi brand guardano alle criptovalute con la giusta attenzione, dall’altro chi paga in LVGA Points (la moneta virtuale della Città, ndr) ottiene un cashback del 10%. Questo preclude ai negozianti di via Nassa di avere i lettori Pos del Comune (dato che generalmente gli articoli di via Nassa costano nettamente di più rispetto a quelli di altri negozi e conseguentemente anche il cashback in contanti sarebbe molto elevato, ndr). Stiamo quindi lavorando a stretto contatto con la Città per trovare una soluzione che permetta anche alle boutique di lusso di avere i Pos con i quali leggere i wallet di Lugano, ma probabilmente con una formula un po’ differente. Contiamo entro la fine della primavera di diventare veramente crypto friendly».
Un modo dunque per acquisire una nuova clientela, in un mondo molto fluido. E non senza rischi, legati ad attività illecite. «Oggi il mondo delle criptovalute è agli albori ed è poco o nulla regolato – osserva Mazzantini –. Io credo nell’autoregolamentazione del mercato e sicuramente verranno create delle regole, ma a livello mondiale. Nel frattempo perché rinunciare a questo mercato? Favorendo così magari altre destinazioni... In questo momento nel mondo delle criptovalute ci sono certamente degli aspetti discutibili, ma c’è anche un forte potenziale che noi cerchiamo benevolmente di sfruttare. Stiamo andando verso un mondo fatto di valute digitali, anche nazionali, è solo questione di tempo».
E fra i presunti rischi più legati al mondo delle criptovalute, in questo particolare momento storico, c’è anche quello che vengano utilizzate per eludere le sanzioni. Ad esempio, da parte di oligarchi russi. Sul tema abbiamo interpellato Luca Confalonieri, segretario del comitato dell’Oad Fct: l’Organismo di autodisciplina dei fiduciari del Canton Ticino. «Quello delle criptovalute è un campo che si presta a tante cose, lecite e meno. Il problema non è tanto in Svizzera, perché l’emissione è controllata e chi le acquista viene identificato, quanto dopo, una volta che vengono immesse nel circuito in maniera legittima: si perde la tracciabilità. Chiaramente, da un passaggio all’altro, possono finire dunque anche nel ‘portafoglio’ di chi è sotto sanzione. Cittadini russi, ma non solo».
Ipotesi dunque tutt’altro che remota. Ma qual è l’approccio dell’Oad Fct verso le monete digitali? «Sono attività che, generalmente, vengono considerate di rischio elevato. Di solito la Finma (l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari, ndr) le classifica con un rischio accresciuto e di conseguenza anche gli organismi di autodisciplina che se ne occupano sono ritenuti a rischio accresciuto. Non è il nostro caso, perché abbiamo scelto di non occuparci di criptovalute, sia per uno scetticismo nostro di fondo sia perché ci vogliono specifiche competenze anche informatiche che non abbiamo per garantire un effettivo controllo».
L’unica eccezione per l’Oad Fct sono i LVGA Points. «Sì, la Città di Lugano con la sua moneta digitale è l’unico ente che si occupa di criptovalute che abbiamo accettato come affiliato, ma perché si tratta di un discorso a parte rispetto alle altre: c’è un sistema di controllo molto efficace sulle aperture dei conti, sulle transazioni. Non sono interscambiabili fra gli utenti. Abbiamo analizzato a fondo, siamo già andati a controllarli una volta, troviamo che il sistema sia chiaro e funzioni bene. Non c’è possibilità di essere anonimi, qualsiasi transazione è tracciabile. L’identificazione è conforme alle disposizioni della Legge federale sul riciclaggio. In base alla nostra classificazione del rischio, rientrano nella fascia del rischio medio (perché il rischio basso è riservato solo agli affiliati che non svolgono attività soggette alla Legge sul riciclaggio, ndr). Non abbiamo timori». Non c’è modo dunque di sfociare nell’illecito? «Attualmente, è davvero molto difficile».
E se l’Oad Fct vigila sui LVGA Points, non altrettanto si può dire sul resto della galassia che gira attorno al Plan B: Bitcoin e Tether. «No, non rientrano nelle nostre competenze e lo abbiamo messo in chiaro fin da subito con la Città» spiega Confalonieri. Che aggiunge: «Ci sono comunque altri organismi di vigilanza in Svizzera che si occupano anche di criptovalute. La PolyReg ad esempio, con sede anche in via Nassa. E poi a Zugo, la ‘crypto valley svizzera’, ha sede l’organismo di autodisciplina più grosso che c’è in Svizzera».