laR+ L’intervista

‘Il mago del Cremlino’, nelle stanze del potere a Mosca

Le dinamiche che hanno condotto Putin a invadere l’Ucraina nel best seller del professore italo-svizzero Giuliano da Empoli

‘I Russi hanno perso la Guerra Fredda e non abbiamo cercato sufficientemente di capire. Ci avrebbe aiutato a spiegare quello che sta accadendo oggi’
14 dicembre 2022
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Ammette di essere rimasto molto sorpreso dall’enorme successo del suo romanzo. Non se l’aspettava. ‘Le mage du Kremlin’ (poi pubblicato in italiano presso Mondadori) sbanca nelle librerie francesi, il Grand Prix du Roman de l’Académie Française e il secondo posto al premio Goncourt lo hanno proiettato tra i best seller. Radio, televisioni, giornali si contendono questo 50enne italo-svizzero, professore a Sciences Po a Parigi, ex consigliere di Matteo Renzi ed ex assessore alla Cultura di Firenze. Da Empoli mette in scena personaggi e situazioni reali, e ci consente con una prosa ricca ma molto scorrevole di entrare nelle stanze del potere di Mosca e di capire le dinamiche che hanno condotto Putin a invadere l’Ucraina. Troviamo potenti oligarchi come Berezovki o Khodorkovski, nazionalisti dalle simpatie fasciste come Limonov, skinheads, avanzi di galera promossi dallo stesso presidente, come Evgenij Prigozin, l’uomo che dirige le milizie paramilitari del gruppo Wagner.

L’aspetto forse più rilevante del libro è la sua capacità di penetrare nella mentalità di Putin, attraverso la finzione. Lo strumento narrativo è quello di una lunga confessione da parte di un consigliere di Putin, battezzato il Mago del Cremlino. Una confessione che porta di fatto a essere lì, presenti, nelle stanze del potere, a osservare le manovre di Putin, ad assistere alle sue fobie, a captare il suo pensiero, a capire le ragioni della sua guerra.

Ho cominciato a lavorare su questo libro come se si trattasse di un saggio, ho letto molta documentazione, ho avuto molti incontri. Non ero ovviamente presente nelle situazioni che descrivo, ma a meno di non essere neurochirurgo, la finzione è l’unico modo per entrare nella testa di Putin e dei diversi personaggi reali. Ti permette anche di raccontare alcune dinamiche del potere, come si manifesta, i meccanismi alla corte che sono di fatto un po’ universali.

E che lei conosce bene…

Sì, ho potuto utilizzare l’esperienza che ho maturato in altri contesti associandola alle informazioni che avevo sulla Russia. Così da potermi proiettare in quei personaggi. Non penso di aver inventato nulla, ho proiettato e ho immaginato.

Vi è un’oggettiva difficoltà a capire i contorni di un potere che ricorre a un linguaggio che non è il nostro. In un passaggio lei scrive questo: "Putin non fornisce mai cifre, ma parla di vita, morte, onore e patria". È un modo di far politica culturalmente diverso.

Fin dall’inizio, da quando compare sulla scena alla fine degli anni 90, il personaggio Putin ha un carattere che rimanda ai fondamentali dell’esercizio del potere. In particolare caldeggia la restaurazione di una forma di autorità che loro chiamano verticalità.

La "verticale del potere", concetto centrale per capire l’esercizio dell’autorità nella Russia di Putin...

Sì, e per capirlo bisogna partire da un contesto molto degradato quale fu quello della Russia degli anni 90. Lui ha fatto capo a una dimensione autoritaria che è molto consolidata nella storia del Paese. Per noi può essere difficile da concepire. E la scommessa del libro è stata proprio quella di farci entrare in quella logica. Osservandola dall’interno.

Alcune cose in Occidente non le abbiamo capite e forse neanche viste.

Direi che spesso il difetto del vincitore è quello di non guardare il perdente. I Russi hanno perso la Guerra Fredda e non abbiamo cercato sufficientemente di capire. Ci avrebbe aiutato a spiegare quello che sta accadendo oggi.

La verticale del potere si contrappone a una visione orizzontale che era quella di Gorbaciov e Eltsin. E si capisce bene, leggendo il suo romanzo, che fu proprio durante la presidenza di Eltsin che scattò una molla nella testa di personaggi come Putin. Fu determinata dall’umiliazione e dal desiderio di rivalsa, come se si dovesse ritrovare il fondamento della Grande Russia. Si capisce bene che vi furono in particolare due momenti storici precisi. Uno fu quello che è stato battezzato l’11 settembre russo, gli attentati del ’99 contro edifici moscoviti e che scatenarono la seconda guerra in Cecenia. L’altro, molto singolare, fu la celebre conferenza stampa Eltsin - Clinton durante la quale in reazione a un insulto del presidente russo, un po’ alterato dall’alcol, rivolto ai giornalisti presenti, al Capo della Casa Bianca scappò un’irrefrenabile ridarella. La scenetta noi la trovammo simpatica e divertente. Non così i nazionalisti a Mosca… Non avevamo capito il loro sentimento di umiliazione.

Sì, a noi era parsa una scena divertente. Ma vista con occhio russo faceva inorridire. Un vertice tra quelle che erano le due superpotenze, sebbene di fatto all’epoca di Eltsin la Russia non lo fosse più, e c’è uno dei due presidenti che sbotta a ridere e non riesce più a trattenersi. Agli occhi dei russi che per decenni sono stati abituati a sacrifici anche per un ruolo e un prestigio internazionali e globali del loro Paese, quell’immagine è stata sconvolgente. Il primo episodio che lei ha evocato, il crollo delle torri alla periferia di Mosca è stato una sorta di 11 settembre con due anni di anticipo. E noi non lo abbiamo visto per quanto davvero rappresentasse.

Lì la crisi russa, così si capisce dal suo libro, si trasforma in panico.

Esatto. Crollano nella notte degli edifici anonimi di periferia. Tutti hanno la sensazione di poter essere vittima di un attentato. E lì la reazione di Putin è molto violenta, sia nelle parole sia nei fatti. La seconda guerra in Cecenia viene condotta con grande ferocia. Putin cerca di ristabilire così l’autorità politica e militare.

Lei fa a dire a Putin a proposito degli attentatori: "Se sono all’aeroporto li attaccheremo all’aeroporto, se sono al cesso li attaccheremo al cesso. Quel giorno Putin è diventato zar a parte intera".

Sì, e il fondamento di violenza che vediamo ora e che esiste sin dall’inizio. Il fatto di ritrovare quelle forme di violenza a distanza di 22 anni e in forma parossistica non dovrebbe stupirci.

La Russia patriottarda e nazionalista, sovranista, è anche il frutto del caos e dei problemi derivati da quella fase di capitalismo selvaggio in cui – dice il protagonista – "passiamo le giornate a colpi di Oh my God, di whatever, per finire a discutere delle virtù comparate del Sassicaia e dello Chateau Margaux". Il paradosso è che la Russia di Putin, nata in reazione a quella di Eltsin, è rimasta un Paese fortemente capitalistico, con la differenza che le disuguaglianze sono esplose, che gli oligarchi esistono ma che a dettar legge non sono loro ma Putin… Berezovski promuove Putin alla presidenza, pensa di poterlo controllare, ma succede il contrario e l’oligarca si suicida o "viene suicidato"…

La Russia è un Paese curioso, combina tanti aspetti diversi. A cominciare dall’ideologia della grandezza che rimanda al passato sovietico ma anche quello degli Zar. Mischia un capitalismo sfrenato e molto corrotto, con l’entourage e la corte di Putin composti di multimiliardari, con gli appelli a forme di austerità e chiusura che ricordano i tempi sovietici. Tutto questo si combina in un modo abbastanza postmoderno in cui convivono diverse ideologie.

Putin di fatto rimane un cekista, un uomo dei servizi segreti, un essere violento che non si fida di nessuno.

Certo, lui legge tutto in termini di complotti. Più che una spia, come scrivo nel libro, un uomo del controspionaggio.

In che senso?

La spia deve cercare informazioni vere, l’uomo del controspionaggio deve snidare i complotti. E li vede un po’ ovunque.

Vale dunque anche per l’Ucraina?

Sì. Lui vede unicamente la dimensione del complotto. È una dimensione che esiste, certo, ma lui non vede per nulla le aspirazioni dei popoli. Pensa che tutto sia manipolazione, frutto di complotti di oligarchie e di servizi segreti. Questo lo limita molto nella comprensione del mondo esterno.

Ne ‘Il mago del Cremlino’ il protagonista, il principale consigliere di Putin che lei chiama Vadim Baranov (quello reale è Vladislav Sourkov), uomo che viene dal teatro, è assoldato per creare una sorta di realtà parallela, gestisce con cinismo la manipolazione della vita politica. Una sorta di Rasputin. Ma è comunque sempre Putin il grande burattinaio, lui fa di testa sua, non molla mai le redini del Paese.

Credo sia effettivamente così. Come ricordava lei, oligarchi che come Berezovski lo hanno aiutato nella sua ascesa pensavano di poterlo controllare. Il suo consigliere può costruirgli attorno una quinta teatrale, ma non potrà mai guidarlo. Anche oggi, Putin continua a essere circondato dalla sua corte, ma è sempre meno aperto al contraddittorio e sempre meno influenzabile.

Il filosofo Michel Eltchaninov in un libro molto prezioso, ‘Nella testa di Putin’ (Edizioni e/o), trova nei pensatori dell’estrema destra storica panslavista (da Ivan Il’in a Alexandr Dugin) la matrice ideologica di Putin. Lei ritiene che il presidente possa essere considerato oggi un esponente della destra estrema, un neofascista?

Sì e no. No, nel senso che non penso che Putin sia un ideologo. Penso sia un uomo di potere nel senso abbastanza puro. Utilizza l’ideologia a seconda della convenienza. Però comincia a pescare negli ambienti filosofici da lei citati a partire dal 2005, dalle prime manifestazioni in Ucraina quando teme di essere travolto dalle manifestazioni colorate filo occidentali. Così si ispira a pensatori anti occidentali, fascisti o parafascisti, in particolare emigrati in Europa dopo la caduta dello Zar.

La cifra di Putin è la rivalsa, la restaurazione in risposta all’umiliazione. In vista del ritorno a una grande Russia imperiale. Ma questo uomo di potere, così violento e cinico, potrebbe secondo lei aprirsi a qualche concessione nel conflitto in Ucraina?

Non credo sia un uomo di compromesso. Lui capisce solo il linguaggio della forza. Un compromesso potrà essere imposto con la forza. Lui è ormai in una traiettoria quasi shakespeariana. È certamente ricchissimo, si sarà anche fatto costruire dei palazzi, ma si capisce benissimo che la sua motivazione non è quella. Lui vuole confrontarsi con la Storia russa, si paragona agli Zar. Credo sia in una logica inesorabile che può essere fermata, sì, ma solo con la forza.