La consigliera agli Stati socialista Eva Herzog è la favorita per la successione di Simonetta Sommaruga in Consiglio federale. Intervista
Alle 8.45 non c’è nessuno nella sala adiacente all’anticamera del Consiglio degli Stati. Nel locale risuona la voce della consigliera federale Karin Keller-Sutter, trasmessa da un televisore che riproduce ad alto volume i dibattiti in corso a una ventina di metri e un paio di porte da lì. Eva Herzog è seduta su una comoda poltrona, ogni tanto volge lo sguardo verso la tv: non vuole perdere le votazioni, per cui è pronta a correre di là (non succederà in questa mezz’ora abbondante di intervista) non appena sullo schermo compariranno i puntini verdi e rossi, il segnale che si vota. Afferriamo un telecomando, abbassiamo il volume del televisore. Silenzio. Si può cominciare.
Signora Herzog, qual è stata la cosa più difficile finora?
[sospira] Il poco tempo a disposizione. Anche se per un verso è positivo: non abbiamo dovuto prepararci durante settimane o mesi, e presto sapremo com’è andata.
La pressione mediatica è enorme, lei è una persona piuttosto riservata. Qualche settimana fa ha detto al ‘Tages-Anzeiger’ di dormire sonni tranquilli. È ancora così?
[ride] No. Già prima delle audizioni pubbliche con le altre candidate, nel dormiveglia mi ritrovavo ad argomentare, a pensare ai discorsi. La mente andava spesso lì, ma tutto sommato ho dormito e dormo bene.
Sogni? Incubi?
No, questo no. [ride]
Come si sente nel ruolo di grande favorita, di predestinata alla successione di Simonetta Sommaruga?
Fa piacere, ma allo stesso tempo è rischioso. Da una posizione di outsider si parte più spensierati: se si ha successo bene, altrimenti non è così grave. Detto questo: per me niente è sicuro. In politica l’imprevedibile è sempre dietro l’angolo.
"Può essere dura, professorale, in parte anche quasi troppo decisa – soprattutto quando si sente trattata ingiustamente", ha scritto nel 2019 la ‘Basler Zeitung’. La sua concorrente, Elisabeth Baume-Schneider, appare più aperta, malleabile, affabile. E la personalità dei candidati è un fattore da non sottovalutare in un’elezione del Consiglio federale. La preoccupa?
Le descrizioni non riflettono mai completamente la realtà. Quel che è certo è che mi arrabbio se mi si attribuisce qualcosa che non corrisponde al vero. Allora sì, mi ribello, a volte anche alzando la voce, soprattutto quando parlo di temi che conosco bene e rispetto ai quali si raccontano cose non vere o non corrette. E non importa chi abbia di fronte. Per quanto riguarda l’essere ‘aperti’, bisogna intendersi sul termine che utilizza.
In che senso?
Io sono una persona aperta: alle argomentazioni altrui, ai fatti che mi vengono sottoposti. E sono pronta ad ascoltare e a rivedere le mie opinioni, se mi rendo conto che è necessario. Non rido di continuo, sono una persona seria. Ma con chi mi sento bene, mi diverto, ho un certo umorismo. Faccio volentieri battute e scherzi. Ridere per me è sempre stato una valvola di sfogo.
Qualcosa l’ha fatta arrabbiare in queste settimane? Le domande sulla sua età, ad esempio?
Sono abituata, anche se trovo ingiusto che sulle donne si facciano ancora queste considerazioni. Per fortuna mi è venuta subito questa frase che ha liquidato sul nascere la ‘questione’ ["È sempre la stessa storia. Prima le donne sono troppo giovani e senza esperienza, poi hanno figli e non funziona, e alla fine sono troppo vecchie"]. Sì, questa frase è stata azzeccata [ride].
Non ha sempre seguito la linea del suo partito, il Ps: penso in particolare alla riforma III dell’imposizione delle imprese (Rie III), da lei sostenuta anni fa contro il parere del Ps. La sua nomination, meno brillante di quanto ci si potesse aspettare, è la dimostrazione che, quantomeno in seno al suo gruppo parlamentare, lei non suscita enormi simpatie.
Non direi meno brillante. Alla fine ho ottenuto un voto in più di Elisabeth Baume-Schneider. A rigor di logica, dovrebbe dire che nessuna delle due gode di grandi simpatie. Invece, è giusto affermare che sul tavolo c’era un ticket a tre che offriva una vera scelta. Tant’è vero che le colleghe e i colleghi hanno fatto fatica a decidere quali candidate promuovere. Mi stupisce che la relazione tra me e il partito possa ancora oggi essere interpretata alla luce della mia posizione sulla Rie III, all’epoca in cui ero consigliera di Stato.
Eppure, quella mancanza di lealtà al partito la perseguita ancora oggi.
Sì, ed è un peccato. A suo tempo, in qualità di vicepresidente della Conferenza dei direttori cantonali delle finanze, mi presentai in conferenza stampa a fianco del ministro delle Finanze Ueli Maurer. Il mio partito lo vide come un cattivo segnale. Il fatto è che io penso troppo poco ai segnali politici, forse mi baso troppo sui fatti. Questo fondamentalmente è giusto, come è giusto che a volte – su dossier specifici – assuma una posizione diversa rispetto al mio partito. Detto questo, capisco che a livello simbolico possa essersi trattato di un errore. Ad ogni modo, se fossi eletta in Consiglio federale non difenderei più in primo luogo gli interessi del mio Cantone, bensì quelli della Svizzera nel suo complesso, minoranze linguistiche e culturali comprese.
Anche sull’imposta minima dell’Ocse sulle multinazionali non è sulla linea del Ps.
Sono stata eletta al Consiglio degli Stati come rappresentante di Basilea-Città, è normale che mi preoccupi delle implicazioni di questa imposta per il mio Cantone. Qui non vestiamo in primo luogo la casacca del partito. Difendo il giusto compromesso raggiunto tra Confederazione e Cantoni [25% dei proventi supplementari previsti alla Confederazione, 75% a Cantoni e Comuni]. Il mio Cantone inizialmente voleva spingersi oltre [100% ai Cantoni]. Non lo trovo giusto: anche le casse della Confederazione hanno bisogno di entrate conseguenti. Le differenze tra le due Camere non sono enormi, comunque. Sarei favorevole a fare un passo nei confronti della soluzione approvata a maggioranza [anche grazie ai voti dei socialisti, ndr] dalla commissione del Consiglio nazionale [50% alla Confederazione, 50% a Cantoni e Comuni]. Sarebbe un vero peccato se il mio partito dovesse combattere in votazione popolare un’imposta per la quale ci siamo sempre battuti.
Qual è stato il suo maggior successo in questi tre anni passati al Consiglio degli Stati?
Ho avviato una collaborazione tra le ‘senatrici’ di ogni partito: ci troviamo una volta per sessione, a cena, per discutere di uguaglianza e di altri temi. Ad esempio: da qui, e dalla collaborazione con alcune consigliere nazionali, è partita una mozione – nel frattempo approvata da entrambe le Camere – che chiede l’istituzione di una permanenza telefonica 24 ore su 24 destinata alle vittime di violenza. Potrei citare altre conquiste, come ad esempio gli aiuti al settore culturale durante la pandemia, per i quali mi sono impegnata a fondo.
Si è fatta un nome come politica esperta di questioni finanziarie e fiscali. Alcuni critici dicono: è monotematica.
[ride] Non capisco come si faccia a sostenere che chi si occupa di finanze sia ‘monotematico’. Come ex responsabile delle finanze di Basilea-Città, mi sono occupata di tutto il budget statale. A differenza di altri colleghi, più concentrati sui loro dipartimenti, sono stata coinvolta in progetti trasversali, che riguardavano svariati ambiti o l’intera amministrazione cantonale. Occorre avere una prospettiva globale, cercare un equilibrio nell’attribuzione delle risorse, fissare priorità per quanto riguarda la politica finanziaria del Governo. È un compito avvincente. E lo dice una che di formazione è storica, che ha lavorato in ambito culturale, accademico e della solidarietà. Monotematica? Non mi sento affatto così.
Altri critici, a sinistra, le rinfacciano la sua vicinanza ai grandi gruppi della chimica e della farmaceutica.
Beh, sono stata per 15 anni responsabile delle finanze di un Cantone per il quale questi settori sono un’importante fonte di entrate fiscali. Normale che abbia intrattenuto strette relazioni con questi gruppi. Non l’avessi fatto, non avrei svolto a dovere il mio compito di consigliera di Stato. Poi, da ‘senatrice’, non mi sono certo fatta notare come una che difende a spada tratta la farmaceutica basilese. E comunque, se fossi eletta in Consiglio federale, il problema non si porrebbe più: semplicemente, il mio ruolo sarebbe un altro.
Politica europea: ha un’idea su come si potrebbe sbloccare lo stallo?
La situazione è preoccupante, soprattutto nel campo della ricerca, con la mancata associazione al programma ‘Horizon Europe’: il rischio è che un’intera generazione di ricercatori svizzeri venga esclusa dalle reti di ricerca europee. Qualche segnale positivo però c’è. Adesso dobbiamo procedere velocemente. La fase dei colloqui esplorativi deve concludersi e il Consiglio federale adottare al più presto un mandato negoziale.
Perché l’Assemblea federale dovrebbe eleggere lei in Consiglio federale e non Elisabeth Baume-Schneider?
[ride] Domanda difficile: Elisabeth è una delle mie migliori colleghe qui al Consiglio degli Stati… Io vengo da una regione urbana, molto interconessa con il mondo, sede di molte grandi e piccole aziende, con un’alta percentuale di stranieri e di persone che dipendono dalle prestazioni sociali. È in questo contesto complesso, variegato, che ho fatto esperienza come consigliera di Stato. Sarebbe un arricchimento se questi elementi fossero maggiormente rappresentati nel Consiglio federale.
Sessantun anni a Natale, madre di due figli ormai adulti. Storica di formazione, prima di entrare in politica ha lavorato in svariati ambiti (università, solidarietà col Terzo mondo ecc.). Nel 2019 è stata eletta al Consiglio degli Stati. In precedenza aveva fatto parte del Gran Consiglio di Basilea-Città (2001-2004), quindi del Consiglio di Stato (2005-2020). In qualità di responsabile delle finanze in un Governo a maggioranza rosso-verde, ha tra l’altro contribuito a risanare la cassa pensione e a mantenere sane – in un periodo di alta congiuntura, va detto – le casse del Cantone. Ha ammesso di aver faticato un po’ ad ambientarsi sotto la cupola di Palazzo federale: "Sono più una donna d’esecutivo che di parlamento. Mi piace far avanzare le cose", ha dichiarato a ‘Le Temps’. Nei tre anni trascorsi al Consiglio degli Stati si è occupata di un’ampia gamma di tematiche: dall’uguaglianza di genere alla ricerca, dall’istruzione alle assicurazioni sociali. È vicepresidente della Commissione delle finanze. Fa parte della piattaforma riformista del Ps, di ispirazione social-liberale. Si è smarcata dal partito in più occasioni, in particolare sulla riforma III dell’imposizione delle imprese, respinta alle urne e da lei difesa all’epoca in cui era consigliera di Stato. Ha dichiarato che, se verrà eletta il 7 dicembre in Consiglio federale, non ha intenzione di andare in pensione a 65 anni. Ci aveva già provato 12 anni fa. L’allora 48enne aveva presentato la sua candidatura per la successione di Moritz Leuenberger. Era però stata esclusa dal ticket ufficiale a beneficio di Simonetta Sommaruga (poi eletta) e di Jacqueline Fehr. Questa volta le cose potrebbero andare diversamente. Herzog gode di buona reputazione, è stimata anche a destra e al centro per le sue posizioni non dogmatiche e la sua attitudine incline al compromesso. Con lei Basilea-Città tornerebbe a essere rappresentata in Consiglio federale dopo un’assenza durata mezzo secolo. L’ultimo consigliere federale basilese, il socialista Hans-Peter Tschudi, si ritirò nel 1973.