In Italia, il decreto Meloni mette in subbuglio il mondo di queste feste. Le testimonianze di due giovani ticinesi che ne fanno regolarmente parte
Storicamente, la loro nascita la si fa risalire al periodo a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Quelli in cui la musica techno varcava le soglie delle discoteche classiche per dare vita a un vero e proprio movimento. Quello dei rave appunto. Visto da questa prospettiva, l’imponente raduno organizzato negli scorsi giorni a Modena non rappresenta insomma qualcosa di nuovo. La vera novità, però, sta nel contesto in cui esso è andato in scena, ossia nel segno del governo Meloni, e dunque del relativo decreto-legge che mira, fra le altre cose, a contrastare appunto i rave party. Pomo della discordia è l’articolo 434-bis, che recita: "L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica. Chiunque organizza o promuove l’invasione di cui al primo comma è punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1’000 a euro 10’000. Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita. È sempre ordinata la confisca ai sensi dell’articolo 240, secondo comma, del codice penale, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma nonché di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell’occupazione".
Un giro di vite che fa parecchio discutere, in Italia ma non solo, e che qualche timore in più lo insinua tra chi frequenta questo genere di feste. Che, però, si dice comunque pronto a correre il rischio. Come ci raccontano il 19enne Stefano e la 17enne Anna (nomi di fantasia), due giovani ticinesi che regolarmente partecipano a rave organizzati da una parte e dall’altra del confine.
Muovendosi all’ombra della legalità, salvo rare eccezioni, questo genere di raduni viene pubblicizzato dal passaparola. «Prevalentemente via social – racconta Stefano, da un paio d’anni regolare frequentatore dei rave: un’abbondante ventina quelli a cui ha già preso parte, fra cui uno anche durato 4 giorni –. Generalmente, qualche settimana prima viene pubblicato una sorta di flyer che reca a grandi estremi le prime indicazioni del rave. Molto generiche: non si parla ancora di una località specifica, ma di una zona, come Nord Italia, piuttosto che Est, Centro o Sud...». Lanciato il sasso, nei giorni a seguire arrivano maggiori dettagli, anche se fino all’ultimo permane sempre il dubbio: di sicuro, fino al ‘giorno X’, non c’è mai niente. Anche perché, appunto, basta un niente per mandare tutto a monte. Se invece le cose vanno per il verso giusto, il giorno stesso del raduno, generalmente sempre via social, viene diffusa anche la localizzazione esatta dell’appuntamento». E come si organizza la trasferta? «Ognuno raggiunge il posto liberamente, come più gli è comodo. Generalmente io e i miei amici ci andiamo col treno, anche se in auto sarebbe più pratico, visto che spesso per raggiungere la meta prescelta per il raduno c’è da camminare, anche parecchio». Una meta che, spesso e volentieri, è rappresentata da un capannone dismesso, cosa che, appunto, sposta definitivamente l’ago della bilancia nell’illegalità del raduno... «Sì, effettivamente è vero che andiamo a occupare una proprietà privata, ma si tratta pur sempre di strutture inutilizzate e dismesse. Il fatto che perseguano questo genere di cose (e non sono l’unico a pensarla così), è sbagliato. Detta altrimenti, non è questo aspetto a farmi desistere dall’andare a questo genere di feste, perché è qualcosa a cui credo e qualcosa che mi piace». Ma se poi si finisce per essere fermati dalla polizia? «A dire la verità succede quasi sempre di essere fermati e che ci vengano chieste le generalità. Ma poi il tutto si ferma comunque lì, per chi partecipa solamente, soprattutto per noi che veniamo dalla Svizzera; in fondo si tratta pur sempre di reati relativamente minori. È però vero che alcuni altri, italiani, hanno già ricevuto qualche denuncia, principalmente per occupazione abusiva di suolo, pubblico o privato che sia».
In Svizzera, un po’ per scelta e un po’ per necessità (visto che da noi di costruzioni che potrebbero essere prese a sede per questo genere di feste praticamente non ve ne sono), i rave si tengono all’aperto. I problemi, qui, sono altri: non più (tanto) la legalità, quanto lo strascico che essi comportano. A cominciare dai rifiuti... «Di norma si cerca di lasciare tutto come lo si è trovato, per cui alla fine facciamo sempre del nostro meglio per pulire la zona e le sue adiacenze. D’altro canto questo è un aspetto che spesso ci viene riconosciuto». E risse? «Sì, qualcosa mi è capitato di vedere, ma come in qualsiasi altro ambiente stipato di molte persone».
Veniamo a un altro aspetto dei rave: quello delle sostanze stupefacenti. Non è infatti un mistero che molti cultori di questo genere di feste ne facciano uso. Anche abbondante... «Io personalmente assolutamente no, ma mentirei se dicessi che non ci sono persone che ne assumono; non fatico a credere che la proporzione di queste ultime sia anche abbastanza elevata. Ad ogni buon conto sono persuaso che chi usa droghe durante i rave, ne assuma anche nella vita di tutti i giorni». È dunque facile aggirare i controlli? «Suppergiù come in una comunissima discoteca. Del resto controlli particolari non ve ne sono all’interno della festa. Quelli, semmai, li fanno dopo, a rave finito».
Guardando alla Svizzera, c’è chi definisce la Street Parade di Zurigo come un enorme rave legalizzato: tu cosa ne pensi? «No, non lo parificherei a un rave vero e proprio. Del resto a Zurigo non ci sono mai andato, e non è nemmeno un genere di appuntamento a cui tengo particolarmente partecipare. Sia per il genere di musica che viene proposta in riva alla Limmat, troppo commerciale, sia per l’ambiente...». Come mai? Qual è la differenza con un rave come quello di Modena? «A questi ultimi c’è molta più spensieratezza: puoi essere più libero di essere quello che sei e fare ciò che vuoi senza per questo sentirti giudicare da qualcuno. E non c’è nemmeno nessuno che ti metta limiti o regole di sorta». Dunque nemmeno leggi da rispettare... «Non c’è bisogno di un rave per trasgredire le leggi: chi vuole lo può fare in qualunque giorno della sua vita».
Ancora diciassettenne, Anna, studentessa liceale, al mondo dei rave si è avvicinata un anno e mezzo fa circa. «Me l’hanno fatto scoprire amici più grandi e da allora ne ho frequentati diversi, sia in Svizzera (Ticino compreso), sia in Italia. Con una sostanziale differenza: da noi generalmente questo genere di feste viene organizzato esclusivamente all’aperto, perché mancano le costruzioni ideali per questo genere di party, specialmente quando le temperature tendono ad abbassarsi». Come vengono pubblicizzati i rave? «Se non conosci le persone giuste, gli ‘agganci’, niente festa, perché tutto avviene per passaparola, o via Telegram, e dunque anche la comunicazione esatta della località in cui si terrà il raduno». E come ci si sposta? «Dipende: spesso con i mezzi pubblici, ma se c’è qualche amico che ti dà un passaggio è ancora meglio, visto che generalmente i rave vengono organizzati in zone discoste, e per raggiungerle occorre camminare anche per un paio d’ore, soprattutto in Ticino». Come mai? «Beh, forse anche per evitare qualche grana...». Anche perché, proprio per il fatto di essere organizzati clandestinamente, i rave sconfinano nell’illegalità: ti crea problemi questo aspetto? «Non mi lascia indifferente, sia perché sono una studentessa, sia perché sono ancora minorenne. Ma un decreto ‘anti-rave’ come quello appena deciso dal governo Meloni in Italia lo ritengo eccessivo: trovo inammissibile che per raduni come questi si possano rischiare dai tre ai sei anni di detenzione».
Al di là dell’entità della pena, è innegabile che l’occupazione abusiva, di suolo pubblico o privato che sia, rappresenti un reato... «Sì, questo lo capisco, ma sono persuasa che se ci venisse messo a disposizione un terreno per poter organizzare questo genere di raduni, si risolverebbero molti problemi. Berlino, per citare un esempio, è parecchio all’avanguardia in questo senso: la città mette infatti a disposizione dei giovani spazi dove poter organizzare liberamente questo genere di raduni. Un esempio che a mio modo di vedere dovrebbe fare scuola anche altrove». Ma se lo proponessero in un posto come al Conza a Lugano, il rave, avrebbe lo stesso fascino tra gli estimatori? «In realtà forse no, perché il rave è nato un po’ per contrastare gli stigmi sociali, ragion per cui sarebbe decisamente più indicato un posto all’aperto e fuori dal centro città. Di sicuro, date queste condizioni, mi divertirei tanto quanto a un raduno ‘clandestino’. Anche perché io non cerco altre forme di sballo: quando partecipo a un rave sono completamente me stessa, non bevo e men che meno faccio uso di sostanze stupefacenti; per me l’unico sballo sono la musica e la festa, per cui avrei quanto mi basta. Ovviamente non tutti la pensano come me, e infatti ho diversi amici che sono dell’avviso che il rave, per sua natura, debba restare qualcosa di clandestino e illegale. Del resto in questo anno e mezzo di frequentazione di simili feste ne ho viste di tutti i colori con i miei occhi... In fondo il bello di simili feste, a differenza delle discoteche, è che nessuno ti giudica. E, comunque, a livello di uso di droghe ho visto quasi di peggio nelle discoteche che ai rave...».
Musica incalzante (con bassi protagonisti), luoghi isolati, autogestione. È racchiusa in questi ingredienti la ricetta dei rave party, tornati d’attualità dopo il pugno di ferro mostrato dal nuovo governo italiano presieduto da Giorgia Meloni. Fenomeno di cui si è accennato anche ieri, alle nostre latitudini, quando la Rsi ha riportato di una 19enne del Luganese deceduta dopo essere stata ricoverata in gravi condizioni all’ospedale San Giovanni di Bellinzona, pare per i postumi proprio di un rave che si sarebbe tenuto nel weekend nei Grigioni a Roveredo. La polizia ha confermato solo il fatto che una giovane è stata lasciata, da alcune persone che sarebbero state identificate, al nosocomio bellinzonese.
Non solo un canale alternativo, di divertimento, ma per molti giovani e giovanissimi, guidati dalla Tribe (i gruppi organizzatori), soprattutto la necessità di evadere dagli spazi pubblici in netta contraddizione con le autorità non solo istituzionali, ma anche economiche e amministrative. Nati alla fine degli anni 80, denominati anche free party per il loro accesso gratuito, scelgono soprattutto brani techno o acid house, jungle e psy-trance, giocando con le luci e con aree abbandonate o aperte quali campi, cave e boschi. Variabile la durata, da una notte a intere settimane.
Del resto il nome porta in sé l’anima di questi stessi eventi, quella di voler ‘parlare con entusiasmo, con eccitazione e in maniera incontrollata’, addirittura ‘farneticare’. Il termine anglosassone riporta peraltro ai corvi, venerati in passato, e protagonisti di vere e proprie ‘feste dei folli’, volute nei periodi di Quaresima e Carnevale per scacciare il male.
Là dentro, che pare tutto anarchia, vi è diversamente una dichiarazione d’intenti ben definita che parte dalla volontà di non riconoscere la proprietà privata mediante l’occupazione di spazi abbandonati attraverso un’autogestione temporanea. L’attacco è soprattutto verso ogni forma di produzione commerciale all’interno di discoteche, locali pubblici o music club, screditando il denaro, la società e la politica. A capo del mixer non c’è mai un dj raffigurato come star, ma ci si affida all’autoproduzione.
Libertà assoluta? Non proprio, visto che sui rave gravano regole e inviti ai partecipanti. Un decalogo che richiama non solo al rispetto della natura, di sé stessi, degli altri e degli animali, ma che suggerisce di parcheggiare in modo intelligente, di stare attenti alle informazioni sui party (che andrebbero tenute per sé e per i propri amici), di curare la sicurezza, evitando danneggiamenti e furti. Il tutto condito da empatia e sorrisi, solo così, è spesso un loro mantra, si è in grado di trasmettere energia positiva, perché, alla fine della fiera, ‘sei tu il party’.
C’è però un ‘piccolo’ particolare: i proprietari di terreni o immobili dove si svolge la festa non ne sono al corrente, la musica è sparata ad altissimo volume, non sempre i rifiuti vengono raccolti e soprattutto non viene mai richiesto un permesso. Senza contare la questione servizi igienici. I detrattori vedono in questi eventi, quindi, irresponsabilità e sconsideratezza (la pericolosità per esempio di alcune strutture fatiscenti), una fiera dell’assurdo in grado di stimolare abusi e incoerenze. Del resto, a fianco, si apre tutto il dibattito sull’aggregazione giovanile e sull’importanza di spazi a essa dedicati.
Il fenomeno dei rave party crea fronti opposti, c’è chi li sostiene, chi li tollera, chi li giudica cattivi esempi per i giovani. Ne parliamo con il sociologo Sandro Cattacin.
Perché fra i giovani vi è la necessità di trovare spesso forme di divertimento ‘proibite’ anziché utilizzare i già numerosi ‘canali ufficiali’ quali discoteche o locali notturni?
Dobbiamo partire dai contesti di emancipazione giovanile che si prefiggono un contrasto con le regole prestabilite così da verificare fin dove sia possibile spingerle, travalicando il tollerabile con l’intollerabile. Una frontiera che fa proprio parte di questo processo di emancipazione. Quando si hanno dei figli o delle figlie si sa benissimo che, a partire da una certa età, tutto in famiglia è negoziato, dalla questione degli orari di rientro a casa alle vacanze con gli amici e le amiche. Esso fa parte di un processo di ricerca d’autonomia e di formazione della persona adulta in grado a sua volta di fissare delle regole magari diverse da quelle dei genitori o della famiglia stessa. Perché abbiamo bisogno dunque di questi processi di autonomizzazione? Prima di tutto perché questi giovani adulti devono in un certo senso prendere in mano il mondo, e cioè devono essere capaci di riconoscere quelle regole come giuste o non giuste. E comprenderlo lo si può fare solo sperimentandole. Certo vi sono fasi dove tutto è messo in discussione e fasi dove ci si scontra solo con alcune. Per questo, in un periodo di cambiamento sociale come quello in atto oggi, queste regole vengono più radicalmente ridiscusse fra i giovani che sono alla ricerca di un’alternativa alla società che, a prima vista, nella loro ricerca di diventare adulti, è concepita come non adeguata. Le trasgressioni aumentano infatti quando vi è una società conservatrice o repressiva. Con il cambiamento sociale, rappresentato dai giovani, il confronto fra il conservatorismo e il reazionario fa sì che la trasgressione diventi perciò il metodo principale per provocare e quindi cambiare.
Lo stesso nome, rave, porta a qualcosa di non controllato. E non c’è solo la necessità di una libertà assoluta. Molte volte chi partecipa è letteralmente ‘fuori controllo’, corpo e mente. Come spiegare questa forma estrema di divertimento? Non c’è più solo il ballo...
Il rave rivela bene questa dinamica del cambiamento. Ho lavorato con due studenti proprio su questo tema. E quello che viene fuori da queste ricerche è il fatto che sono luoghi che vengono visti dai giovani come spazi effettivamente eterotopici, ovvero realtà in un mondo dove in teoria non sarebbero possibili. Mi spiego. Sono luoghi che sono fuori dalla logica del consumo classico, dove non sei obbligato a consumare quello che c’è da bere, dove tutto è pagato ed è organizzato dal basso verso l’alto, completamente orizzontale nella logica di costruzione, quindi un luogo in un certo senso diverso da tutti quelli che sono i luoghi a disposizione. Un luogo dove si può essere quello che si è, dove ci si sente al sicuro. Una cosa interessante dei rave è che non succede mai niente legato alla violenza fra i giovani, è un luogo che frequentano anche i timidi perché, contrariamente alla discoteca dove spesso si sentono aggrediti o sottoposti a dei rischi, si respira eguaglianza, rispetto dell’altro e delle differenze. Sono luoghi rari e corrispondono a questa ricerca di vivere come si è, anche ballando da soli, ma parte di un gruppo, in un luogo in cui sei al contempo integro fisicamente.
A questi eventi è molte volte affiancato l’uso di alcol e droghe (dal fumo ad altre forme più pesanti). Senza dimenticare la loro presenza in altri ambiti della nostra società, come mai sembrano essere sempre più necessarie per ‘fare serata’?
Il tipo di musica che qui si suona è ripetitivo, meditativo. Questa necessità di ricerca della propria soggettività, questo vivere un momento totalizzante fra sé e sé ma condiviso anche con mille persone che rispettano questi ‘sé e sé’, ebbene questo tipo di vissuto e di ricerca fa sì che si desideri andare a fondo ed è lì che, ovviamente, devi avere degli ‘aiuti’ dal punto di vista della ricerca di sé stessi, ovvero medicine o droghe che rinforzano l’esperienza. In questo senso il joint è poco presente, e soprattutto non durante l’esperienza. In generale sono piuttosto delle metanfetamine che vengono assunte, se penso alla Svizzera tedesca o romanda spesso anche controllate da servizi dello Stato per evitare che siano pericolose, per far vivere questa esperienza più intensamente. Se frequentassimo questi rave noteremmo non dei giovani sballati o non coscienti, al contrario, quasi sempre, almeno in quelli più grandi, vi sono spazi di riposo, di silenzio proprio perché si sa che questi eccitanti portano il cuore a battere più velocemente. In ciò bisogna essere molto attenti se si hanno problemi cardiaci. Se si pensa alla microstruttura di una società rave siamo davanti a una specie di capacità di organizzazione orizzontale, di spazi di divertimento, di spazi di riposo, di meditazione, durante un periodo relativamente corto, senza un contesto commerciale impegnativo e dove la sicurezza è molto considerata. È facile dunque vedere un segno di grande capacità da parte di questi giovani a organizzarsi. E onestamente può anche essere promettente. Se, da un lato, stanno imparando a trasgredire, imparano a farlo con dei ‘limiti’, quali l’attenzione all’altro, alla propria salute e alla democrazia che è concepita come più importante rispetto al populismo urlato e della democrazia delle maggioranze. Se immaginiamo che costoro ci governeranno fra vent’anni è piuttosto rassicurante.
I partecipanti ai rave party pare cerchino di essere (o almeno di sembrare) alternativi, diversi, ma poi si ritrovano tutti nello stesso evento tribale, di massa: non è un controsenso?
In questi eventi rituali o tribali ci si rassicura sulla possibilità dell’esistenza di una società ‘giusta’, nella quale non ci si spara o ci si fa del male, queste sono esperienze che danno molta forza alla persona che dopo avervi partecipato deve tornare al quotidiano: la maggior parte di loro studiano o lavorano, sono persone che non vivono di elemosina, al contrario sono belli lucidi. Per questo il termine eterotopia è interessante. Tu vivi qualcosa che in teoria non esiste, una realtà che esiste per qualche giorno o una sola notte, nella quale tu ti rassicuri sul fatto che a quel modello esterno, oppressivo, consumista e poco rispettoso delle differenze, c’è un’alternativa, seppur al momento vissuta per qualche ora. Questo, secondo me, è l’elemento chiave.