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Da GoldenEye a Olympic Gold: questione di... prospettive

Alberto Ginés López, primo campione olimpico di questa disciplina, fa il ‘ragno’ sulla diga della Verzasca. ‘Una parete impressionante’

La prima medaglia d’oro olimpica nell’arrampicata (Ti-Press)

Alberto Ginés López, primo campione olimpico di questa disciplina, fa il ‘ragno’ sulla diga della Verzasca. ‘Una parete impressionante’

27 ottobre 2022
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L’ultimo sforzo, poi i lineamenti si fanno più morbidi, dopo aver ripreso fiato, sul viso gli si stampa un largo sorriso. Mentre il compagno di cordata, lo sloveno Luka Potočar, lo issa oltre il parapetto, su un improvvisato rialzo costituito da un cassone messo in verticale, dove i due si concedono un abbraccio finale. Sotto, un paio di ‘strappi’ più in basso, l’altra coppia, formata dall’elvetica Petra Klingler e dal francese Louna Ladevant, è ancora in parete. Alberto Ginés López guarda in basso, oltre il parapetto: i suoi occhi si perdono in quello strapiombo di 220 metri, ai piedi del quale si trovava appena un’oretta e spiccioli prima. Adesso lo sovrasta, dopo un’appassionante scalata nell’ambito della manche di qualificazione alla finale (di sabato) del Red Bull Dual Ascent, completata in una velocità anche sorprendente.

Ti-PressL’elvetica Petra Klingler

Lo spagnolo non è certo l’ultimo arrivato, ma la scalata della diga è comunque stata impegnativa. Prova ne è che prima di rilassarsi definitivamente, tira un lungo sospiro di sollievo. «Questa diga è impressionante, e pensare di scalarla è qualcosa che fa quasi accapponare la pelle – ammette l’iberico, appena ventenne ma dal pedigree di grandissimo spessore, in cima al quale troneggia l’oro olimpico (il primo della storia) nell’arrampicata, vinto l’anno scorso a Tokyo –. La prima volta che mi sono affacciato dal parapetto per guardare giù ammetto di aver provato pure io un po’ di paura». Già, perché malgrado l’impresa realizzata in Asia, Alberto non si è certo montato la testa e – regola fondamentale quando si pratica uno sport come l’arrampicata – guarda ogni via con grande rispetto: in questa disciplina non c’è mai niente di facile o di scontato. Figurarsi poi lo scalare una parete verticale di 200 metri... «Il rispetto? Lo devi sempre avere, come pure la fiducia, altrimenti non vale la pena affrontare una parete». Hai mai avuto paura? «Paura in senso stretto no. O, almeno, non in parete. Quando guardi una via, devi ascoltare le tue sensazioni, ed essere onesto con te; capire se è nelle tue possibilità. E affrontarla solo se la risposta a quella domanda è un ‘sì’ convinto. Altrimenti è meglio desistere».

L’exlpoît di Tokyo non ha nemmeno scalfito quella indole di ragazzo alla mano, anche parecchio timido, che contraddistingue il ventenne di Cáceres. «L’oro? Sentirselo al collo è stata sicuramente una bellissima sensazione, anche se non è che dopo quel successo (firmato il 5 agosto 2021, ndr) la mia vita sia cambiata. Cioè, sì, l’eco di quella vittoria mi ha fatto vivere un po’ sulle nuvole, ma dopo un paio o tre mesi tutto è tornato come prima, e sono tornato con i piedi ben saldi a terra. Il titolo mi ha comunque portato più notorietà; ora la gente da chi sono e mi guarda con molto rispetto, ma non ha comunque però la mia indole. Non è che... le montagne come per magia si siano appiattite davanti a me perché sono il campione olimpico e che le asperità da affrontare si siano fatte meno ostiche. Però, sì, diciamo che quel successo mi ha sicuramente dato molta fiducia nelle mie capacità». Sentivi che il titolo olimpico era alla tua portata o è stato qualcosa di inaspettato? «Sapevo di essere in forma ma no, non pensavo certo di potermi lasciare tutti alle spalle. Nelle qualificazioni avevo visto all’opera gente con più esperienza e, a mio modo di vedere, anche più abile di me in parete, per cui, una volta ottenuto l’accesso alla finale, mi son detto: ‘Perché no? Arrivati sin qui, giochiamoci il tutto per tutto e poi vediamo come va...». E quel ’tutto per tutto’ infatti si è trasformato in oro, grazie in particolare a una superba prova nell’arrampicata di velocità, dove è stato il migliore di tutti.

La diga come... regalo per i vent’anni

Vent’anni compiuti domenica, Alberto per questo importante traguardo di vita ha dunque voluto regalarsi, con un paio di giorni di ritardo, un’altra impresa che ha dello straordinario: la scalata della diga della Verzasca: «Beh, diciamo che ho voluto festeggiare questo compleanno in un modo piuttosto originale». Ci eri mai stato prima qui? «No: in Svizzera ci ero già venuto diverse volte per partecipare a qualche gara, ma questa è la mia primissima volta in Ticino. Ma ne avevo sentito parlare, essendo una bella regione per arrampicare. La diga? Finora l’avevo vista solo in foto».

Ti-PressLuka Potočar (a sin.) sembra indicare la via ad Alberto Ginés López

Nel 1995 – ossia diversi anni prima che lo spagnolo nascesse... –, in GoldenEye, il diciassettesimo capitolo della fortunata serie di James Bond, Pierce Brosnan (o, meglio, la sua controfigura) si era lanciato da questa diga con un elastico alle caviglie. Ventisette anni dopo Alberto e gli altri 15 intrepidi scalatori ingaggiati per questo evento di adrenalina pura, hanno deciso di fare... il percorso inverso, arrampicandola. «James Bond qui? No, francamente non lo sapevo. Effettivamente è divertente pensare che stiamo facendo una sorta di 007... alla rovescia. Chissà, magari lo guarderò allora, quando vorrò riprovare le sensazioni di questa scalata!».

È la parete più imponente che ti sia mai capitato di dover affrontare? «Da piccolo mi era già capitato di arrampicare grandi pareti, ma ero davvero troppo giovane per dire se erano ancora più alte di questa, perciò... non fanno testo. Sicuramente la diga della Verzasca è la parete più alta che abbia mai scalato negli ultimi dieci anni, e dunque diciamo della mia carriera ’vera’».

Lasciata la Verzasca, cosa farà Alberto Ginés López? «Di vette da conquistare ce ne sono ancora molte davanti a me... Una su tutte quella che porta il nome di Parigi 2024: a questo punto i prossimi Giochi olimpici devono rappresentare un obiettivo a cui iniziare già a pensare. Dopotutto... ho pur sempre un titolo da difendere!».