La situazione relativa all’energia è parecchio complessa: c’entrano il conflitto in Ucraina, la siccità e le storture del mercato europeo
Non ha tutti i torti Yanis Varoufakis quando dice (anzi, quando urla) dalle colonne di ‘Project Syndicate’ che bisogna "fare scoppiare" il mercato europeo dell’energia. In parte la spiegazione al problema del rincaro dell’elettricità in Svizzera arriva proprio dalle storture del settore energetico dell’Ue, visto che l’approvvigionamento della Confederazione dipende in buona misura dalle importazioni da Paesi europei come la Francia, la Germania e l’Italia.
Dalla fine degli anni Novanta Bruxelles ha voluto simulare un mercato competitivo dell’energia in cui il prezzo finale dell’elettricità non dipende dalla fonte usata per ottenerla, ma in ogni momento è lo stesso per tutti i vettori in una specifica zona geografica, ed è sempre determinato dall’ultima centrale elettrica presa in considerazione per soddisfare la domanda di energia, ovvero – seguendo un ordine di merito decrescente – dalle centrali a gas. Risultato: si pagano "come se fosse gas" anche approvvigionamenti di tutt’altro tipo.
È chiaro che quando si parla di gas si parla di Russia e della sua guerra d’invasione contro l’Ucraina, che ha portato a livelli esorbitanti il prezzo del metano di cui i russi sono il principale fornitore per l’Europa. E per quanto Putin abbia sbagliato a prevedere che sarebbe bastata una guerra breve per sottomettere Kiev, il satrapo di Mosca pare aver fatto i conti giusti in campo economico. La dipendenza energetica europea dal gas è infatti l’arma sulla quale il presidente russo sapeva di poter puntare per rispondere alle sanzioni occidentali.
Per certi versi l’attuale crisi richiama quella scaturita negli anni Settanta dalla guerra dello Yom Kippur (1973), quando gli Stati arabi dell’Opec tagliarono le forniture di greggio agli Usa e ai Paesi occidentali che sostenevano Israele. Oggi Mosca preferisce bruciare metano al confine con la Finlandia piuttosto che venderlo alla Germania (secondo un’analisi di Rystad Energy, l’impianto di Portovaya sta bruciando ogni giorno 4,34 milioni di metri cubi di gas naturale).
In tutto questo è curioso come in Svizzera la destra populista, invece di osservare quanto la guerra scatenata da Putin rappresenti un costo per tutti, preferisca puntare il dito contro le sanzioni occidentali alle quali il Consiglio federale ha opportunamente aderito. Il fil rouge (o cavo di rame, se preferite) che collega il conflitto in Ucraina alle difficoltà di approvvigionamento energetico nel nostro Paese è innegabile. Pretendere che magiche ricette nucleari consentano l’autarchia energetica della Confederazione, piccolo Stato in mezzo all’Europa, è tanto illusorio e demagogico quanto spingere per una politica estera di neutralità "integrale", che non tenga conto né del diritto internazionale né, tantomeno, dei rapporti con l’Ue.
A dire il vero la situazione relativa all’energia è parecchio complessa, anche perché nonostante in Europa si stia già parlando di procedere al ‘decoupling’ tra energia e gas, al discorso della guerra in Ucraina si aggiunge la questione ambientale. In effetti per un Paese come il nostro, che produce il 60% della sua energia da fonti idroelettriche, la siccità costituisce un altro fattore importantissimo che spiega perché nella migliore delle ipotesi quest’inverno l’elettricità sarà molto più costosa. Nella peggiore, invece, la corrente non basterà per tutti. Nemmeno per le luci di Natale.