Reati societari: proposti 18 mesi sospesi per l’imprenditore e 6 mesi sospesi per l’amministratrice. Le difese: vanno assolti. Domani la sentenza
Compiti svolti. Il dirigente 62enne della società che gestiva la palestra del Luganese davanti alle Assise correzionali di Lugano per reati societari, incalzato ieri dal giudice Marco Villa a presentare alla Corte il business plan sugli investimenti di 10 milioni per il rinnovo del centro, ha depositato le carte richieste. I lavori sono iniziati nell’aprile 2017 e in novembre dello stesso anno i primi clienti hanno potuto iniziare gli allenamenti, seppure lo stabile fosse agibile solo parzialmente – ha spiegato l’imprenditore – che ha indicato nell’agosto-settembre 2018 l’inaugurazione vera e propria, precisando che l’investimento iniziale era di 8 milioni.
Il giudice Marco Villa, durante l’interrogatorio, ha chiesto all’imputato: «Ma come ha fatto a non accorgersi che già da maggio 2017, dopo pochi mesi, la società era senza liquidità e che aveva già utilizzato tutto il capitale societario e aveva già attestati di carenza beni?». «Non dovevo accorgermi di nulla, dal momento che c’erano i finanziamenti garantiti e non mi risultano attestati di carenza beni. La situazione era perfettamente sotto controllo», ha risposto il 62enne.
L’amministratrice unica – coimputata – ha smentito le affermazioni dell’imprenditore, secondo cui il 62enne le avrebbe proposto di ricoprire la carica societaria per offrirle un’opportunità professionale. «Purtroppo ho accettato, ma mai mi sarei immaginata di ritrovarmi in una situazione tale. Io non ho mai voluto lavorare per lui», ha dichiarato la donna 37enne. Che ha ribadito: «Non ero a conoscenza di nulla».
Il procuratore pubblico, Daniele Galliano, nella sua requisitoria ha evidenziato come la denuncia penale al Ministero pubblico sia arrivata dall’Istituto delle assicurazioni sociali, dopo aver constatato presunte irregolarità nell’ambito della liquidazione della società anonima che gestisce la palestra, di qui l’inchiesta avviata a carico dell’imprenditore e della amministratrice unica. «Un insufficiente capitale sociale, il capitale – 100mila franchi – volatizzato in appena due mesi; una società già destinata a fallire con un preciso disegno, una società per la quale l’imprenditore ha deciso di non figurare come amministratore unico, dando incarico alla coimputata». Il pp Galliano ha puntato l’indice contro il sovra-indebitamento della società, una società «chiaramente con l’acqua alla gola». È manifesto – ha sottolineato il procuratore pubblico – che de facto a gestire la società era il 62enne italiano, era lui il "deus ex machina", era lui che decideva tutto e non certo l’amministratrice unica 37enne. Per quanto attiene alla donna, imputata pure dei reati societari, il magistrato ha comunque rimproverato di essersi disinteressata della gestione e dell’amministrazione della società anonima: «Poteva almeno controllarla, cosa che non ha fatto, anche se si capisce che nell’accettare di diventare prestanome volesse fare solo un favore al 62enne, ma è stata negligente nei suoi doveri dettati dal codice delle obbligazioni».
Il pp Galliano ha chiesto per il 62enne una condanna per i diversi reati societari, tra cui quello più grave di amministrazione infedele, a 18 mesi di detenzione, posti al beneficio della sospensione per un periodo di prova di tre anni. «Il suo agire ha presupposto una strategia, aveva il preciso intento di far fallire la società anonima, dal punto di vista soggettivo la sua colpa è grave. Il movente? Il guadagno: realizzare il rinnovo della palestra in un minor tempo possibile e con i minori costi. Con un risparmio, a conti fatti, di oltre 400mila franchi». Per la donna, il magistrato ha invece proposto una pena di 6 mesi con la sospensione condizionale per un periodo di prova di due anni.
Dal banco delle difese l’avvocato Costantino Castelli, patrocinatore del dirigente, ha esordito: «La narrativa proposta dal magistrato non corrisponde ai fatti. Il mio assistito non era un organo della società e non aveva nessun potere di rappresentare la società e questo è un dato oggettivo». «È un serio imprenditore, non un faccendiere dedito a fallimenti», ha proseguito il legale. Ha poi evidenziato Castelli: «Che una società abbia accumulato debiti non presuppone il reato di amministrazione infedele». Infondata, inoltre, a mente del difensore, l’imputazione di cattiva gestione. Respinta dal legale anche la tesi dell’eccedenza di debiti. «Semmai si può parlare di una momentanea mancanza di liquidità». L’avvocato Castelli ha chiesto alla Corte, in conclusione, la piena assoluzione dell’imputato.
Stessa conclusione e richiesta finale quella formulata dall’avvocato Giovanni Molo, in difesa dell’amministratrice unica della società anonima che gestiva la palestra, al termine della sua arringa. «La mia assistita non è una cosiddetta "uomo di paglia" e non appartiene al mondo del commercio, ha assunto l’incarico in situazioni del tutto straordinarie. È vero che ha violato il codice delle obbligazioni, ma questo non significa che abbia compiuto un reato perseguibile penalmente». Ergo, la richiesta di proscioglimento da tutti i reati contenuti nell’atto d’accusa. La sentenza è stata annunciata per domani alle 15.