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Reddito di base incondizionato, soltanto un’utopia?

Il libro del luganese Donato Anchora rilancia il tema (bocciato nel 2016) nel tempo delle ‘grandi dimissioni’

Ti-Press/F.Agosta
29 agosto 2022
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Reddito di base, ovvero vivere (accontentandosi) senza lavorare. O lavorare il giusto (vivendo). Una chimera, un’utopia? Il verdetto delle urne fu crudele, il 5 giugno 2016: il 77% della cittadinanza svizzera respinse l’iniziativa popolare "Per un reddito di base incondizionato". Sei anni dopo, al termine di un biennio segnato dalla pandemia, il vento sembra cambiato. Fanno scalpore le cosiddette ‘grandi dimissioni’, fenomeno che coinvolge soprattutto i giovani, sempre meno disposti ad accettare condizioni di vita alienanti. Tra gli attivisti che sostennero l’iniziativa il luganese Donato Anchora (38 anni, attivo in ambito socio-sanitario), che nelle scorse settimane ha pubblicato il suo libro "Reddito di base incondizionato – La rivoluzione sociale del XXI secolo" (Fontana edizioni), volume ricco di riflessioni di carattere politico e sociale, nonché di possibili modelli di funzionamento, e pubblicato col sostegno del Canton Ticino.

Si parte da 2’500 franchi

Il modello di riferimento del testo è quello elaborato da Martino Rossi, ex politico e noto economista, sicuramente ferrato nella materia, data la sua lunga esperienza come direttore della Divisione dell’azione sociale e delle famiglie del Cantone Ticino. Semplificando uno schema giocoforza complesso, che nel libro viene spiegato in dettaglio, nel suo modello il reddito di base ammonterebbe a 2’500 franchi al mese, i soldi arriverebbero principalmente da un’imposta sul Valore aggiunto netto (Van, ossia l’aggregato di massa salariale e utili prima della distribuzione a lavoratori e investitori). Tale imposta dovrebbe indirettamente riflettersi in maniera lineare sia sui profitti che sui salari. A questi ultimi però si sommerebbe il reddito di base. Uno degli effetti di tale modello è quello migliorare in maniera sostanziosa i redditi più bassi. Ad esempio, per un salario di 3’500 franchi, tolta l’imposta del 36% e sommato il reddito di base, il reddito finale (salario già tassato + reddito di base) sarebbe pari a 4’740 franchi. Ferma restando, appunto, la possibilità di non lavorare affatto percependo il solo reddito di base pari a 2’500 franchi; mentre per esempio un ‘alto salariato’ da 15’000 franchi al mese vedrebbe la propria busta paga ridursi a 12’100 franchi (15’000 x 0,64 + 2’500 franchi).

Da dove nasce, Donato Anchora, questa battaglia sociale?

Bisogna considerare che il lavoro – soprattutto quello in epoca moderna – monopolizza da ogni punto di vista la vita delle persone. Rappresenta di fatto una forma di tirannia sul nostro tempo di vita poiché determina il nostro modo di vivere da quando ci svegliamo a quando andiamo a dormire. Ogni forma di coercizione è vissuta in maniera negativa dalle persone, che ne siano coscienti o meno. Il reddito di base è invece un baluardo di libertà, un base economica piccola ma sufficiente per aumentare enormemente il grado di autodeterminazione delle persone. Ci sono tantissime spie luminose che indicano che abbiamo un problema di mancanza di libertà. Basterebbe vedere l’esplosione dei burnout. Se i lavoratori non si sottraggono per tempo a pessime condizioni di lavoro è solo per mancanza di libertà effettiva.

Il reddito di base però è stato respinto dagli svizzeri nel 2016. C’è spazio per continuare la battaglia?

Nel 2016 il reddito di base era un tema completamente nuovo e chiedeva alla popolazione di accettare un cambiamento di paradigma enorme. Davanti a una proposta rivoluzionaria, solitamente la cittadinanza sulle prime rimane scettica, è naturale. Inoltre tutti i partiti storici erano contrari all’iniziativa, a parte qualche sezione cantonale del Ps. Anche le associazioni sindacali ed economiche remavano contro. L’unico partito a favore era quello dei Verdi. Di fronte a questa situazione, aver guadagnato la fiducia di quasi un quarto degli elettori non è da vedersi come un risultato così negativo, ma come un punto di partenza per le prossime votazioni.

Essere un apripista non rischia di attirare milioni di immigrati alla ricerca del ‘pane gratis’?

Certo, questa è una preoccupazione cui va data una risposta. Come primo punto, bisogna considerare che 2’500 franchi al mese rispetto al costo della vita svizzero sono molto poco, per cui l’aspetto disincentivante che spesso viene associato al reddito di base va relativizzato, e questo vale sia per i residenti che per gli eventuali immigrati. In secondo luogo bisogna pensare che se un Paese come la Svizzera, che ha una buona reputazione, introduce un reddito di base, ci sarà una pressione popolare anche negli altri paesi per introdurlo. La disoccupazione, la mancanza di libertà rispetto al lavoro, il ricatto salariale, il tempo libero per sviluppare le proprie passioni, sono tutti temi che riguardano anche la popolazione europea, non solo quella svizzera. Io penso che ci si arriverà, ad accettare il principio, se non alla seconda alla terza iniziativa popolare.

Un passo, insiste Anchora, che innescherà un circolo virtuoso.

Indirettamente ci sarebbe un effetto positivo sull’occupazione, dal momento che grazie al reddito di base ci saranno molti più lavoratori che potranno permettersi di abbassare il grado di occupazione, liberando dei posti di lavoro in favore di chi è disoccupato o in assistenza. Ciò promuove il tempo libero, che a sua volta significa migliorare le relazioni sociali e familiari, diminuire lo stress da lavoro e dunque le malattie che da esso derivano, e una lunga serie di altri vantaggi che contribuiscono a innescare un circolo virtuoso che analizzo nel dettaglio nel mio libro. Va infine notato come il reddito di base si sposi con la mentalità delle nuove generazioni, che non vedono più la carriera al primo posto nella loro vita, ma cercano piuttosto un equilibrio con la vita privata. Il fenomeno delle ‘grandi dimissioni’ di cui si parla tanto denota lo scollamento tra i desideri delle persone e quello che offre il mercato del lavoro. La generazione Z, rispetto alla quale tale scollamento sta diventando evidentissimo, sarà probabilmente la prima generazione a vedere concretizzarsi l’idea del reddito di base.