Il bellinzonese Kevin Delcò partecipa a Coppa del mondo e Mondiali mantenendo il più possibile la filosofia originaria di una disciplina nata nel 2008
Partire dal punto A e raggiungere il punto B nel minor tempo possibile, superando una serie di ostacoli con salti ed evoluzioni acrobatiche. Questa è la concezione sportiva del parkour, disciplina nata ufficialmente nel 2008 su iniziativa del francese David Belle e che nei prossimi anni entrerà a far parte della grande famiglia olimpica. Tuttavia, come spiega Kevin Delcò, bellinzonese di 32 anni e unico ticinese inserito nei quadri della Nazionale, questa disciplina non è nata con lo spirito della competizione. «Ciò che si vede in televisione o al cinema, con salti da un tetto all’altro ed evoluzioni estremamente pericolose, non rientra nella filosofia del parkour, creato come attività fisica non competitiva. In origine, era stato pensato come un’opportunità per trarsi d’impaccio in situazioni pericolose, utilizzando il proprio corpo e gli ostacoli che il contesto urbano proponeva. Adesso, a livello internazionale il parkour è entrato a far parte della federazione di ginnastica che in un certo senso ne ha "rubato" la filosofia per renderlo a tutti gli effetti una competizione sportiva. Scelta con la quale, ovviamente, il fondatore David Belle non era per nulla d’accordo. E il prossimo passo sarà rappresentato dall’affiliazione al movimento olimpico, a partire da Parigi 2024 o da Los Angeles 2028, decisione, come ci si può immaginare, vista molto male da un’ampia fetta di praticanti».
Togliamoci subito il dente, affrontando un argomento, quello della pericolosità, che molti profani associano al parkour, anche alla luce di certe immagini disponibili in rete o a film d’azione che trattano l’argomento… «Sgombriamo il campo da possibili fraintendimenti: il parkour non è soltanto istinto, ma è tanta, tanta tecnica. E se chi lo pratica non padroneggia in modo quasi perfetto le figure base, allora può diventare pericoloso. Ci sono tecniche specifiche che vanno apprese e metabolizzate, ciò che può richiedere anche anni di lavoro. Spesso e volentieri chi posta un video lo fa per dimostrare la pericolosità e l’abilità insite in una certa figura, mentre la mia filosofia è più legata a un miglioramento costante delle mia abilità, senza necessariamente cercare il pericolo. Per quanto sia in grado di farlo, non vado a saltare da un tetto all’altro al solo scopo di dimostrare quanto sono bravo: bisogna dare il buon esempio agli altri e non incitarli a compiere evoluzioni pericolose. Durante tutta la mia attività non mi sono mai infortunato in maniera seria, tutt’al più qualche guaio a livello muscolare».
Si diceva che il parkour è diventato uno sport a tutti gli effetti e come tale propone competizioni sia nazionali, sia internazionali. Kevin Delcò guarda soprattutto alla Coppa del mondo e ai Mondiali… «Queste competizioni presentano percorsi interamente costruiti in modo artificiale. Si tratta di andare dal punto A al punto B lungo un percorso lineare, con andata e ritorno. In Cdm sono allestiti due tracciati, per cui si gareggia a due a due. Di norma, vengono assegnati alcuni obblighi – ad esempio toccare una determinata superficie per non incorrere in una penalità di tempo –, ma la maniera in cui superi l’ostacolo o la figura che utilizzi non vengono presi in considerazione, il giudice unico rimane il tempo. Nello speedrun, la disciplina che pratico io e che si differenzia dal freerun per l’assenza di salti mortali, le gare sono veri e propri sprint di 15-20" e il percorso è molto simile a quelli utilizzati per l’addestramento militare. In totale, le prove di Cdm saranno soltanto due. La prima l’abbiamo svolta a fine maggio a Montepllier, mentre dal 9 all’11 settembre saremo a Sofia, in Bulgaria. A metà ottobre si andrà a Tokyo per i Mondiali, previsti un anno fa a Hiroshima, ma poi annullati a causa del Covid. Partecipare a tutte le gare richiede tempo e investimenti, per fortuna sono indipendente – ho uno studio fotografico – per cui sono più o meno libero di spostarmi. Insomma, è vero che la mia professione mi permette di essere piuttosto libero, ma non è comunque facile inserire nel programma settimanale le indispensabili ore di allenamento».
Soprattutto se, come nel caso di Kevin Delcò, oltre alla professione e all’allenamento bisogna gestire pure una scuola di parkour che lo tiene impegnato sette sere su sette… «Ho iniziato nel 2014 aprendo una scuola a Gorduno, poi si sono aggiunte altre sedi in tutto il cantone. Al momento, da settembre a giugno svolgo corsi tutte le sere, a volte anche due a sera. È un impegno considerevole, ma mi piace, perché i ragazzi apprezzano. In totale ci sono più di 200 iscritti tra i 6 e i 14 anni. Gli allenamenti li svolgiamo essenzialmente in palestra, costruendo percorsi appositi con cassoni, parallele, sbarre, anelli, in modo da riprodurre qualcosa che sia paragonabile a una Coppa del mondo. Purtroppo, a differenza di quanto accade in altre regioni della Svizzera, da noi non esistono strutture apposite per il parkour, per cui dobbiamo adattarci».
Si potrebbe essere portati a pensare che per praticare parkour occorrano doti fisiche particolari… «E invece no. Il ragazzo che volesse iniziare non deve essere in possesso di alcuna caratteristica specifica. Il parkour permette di utilizzare il corpo in base alle proprie capacità. Per ogni tipo di salto esiste una variante che si adatta a qualsiasi caratteristica fisica di chi lo effettua. Ovviamente, non bisogna farsi condizionare dagli altri, perché chi è più agile ha maggiore facilità nel superare l’ostacolo. In definitiva, il parkour è una sfida contro sé stessi ed è così che andrebbe vissuto».
Si diceva dell’importanza della tecnica… «In una competizione di parkour non si va mai alla cieca. Nei tre giorni precedenti è possibile visionare e provare il percorso. Un allenamento che serve per capire la distanza tra i vari ostacoli e il tipo di salto da scegliere. Il problema non sta solo nel superare l’ostacolo, bensì nel calcolare la distanza tra una struttura e l’altra, in modo da sfruttare lo spazio tra le due, in base all’altezza, alla velocità della corsa e alla lunghezza del balzo. Quando stacchi, tutte le componenti del salto ti portano ad atterrare a una certa distanza dall’ostacolo successivo: è estremamente importante gestire la lunghezza, in modo da entrare nello spazio del successivo ostacolo senza dover frenare o allungare la falcata. Inoltre, siccome ogni figura richiede una determinata energia, scegli quale fare in base alla lunghezza totale del percorso e alla tua resistenza allo sforzo».
E se qualche ragazzo volesse provare l’ebrezza del parkour? «Può visitare la pagina www.scuolaparkour.ch, dove troverà tutte le informazioni: basterà iscriversi e seguire la lezione di prova».