L’ennesima crisi di governo in Italia ha dato la stura alle illazioni dei ‘retroscenisti’. Ma forse non è poi così complicata
«Mi dici chi ce lo fa fare, a noi, di stare ancora a discutere con questi qua?» «Eh, guarda, me lo chiedo anch’io». Dalle immagini di Sergio Mattarella e Mario Draghi – lo sguardo in bilico tra bonarietà e sconcerto del primo, la dignità un po’ rettiliana con la quale il secondo cerca di non tradire il disgusto – vien da pensare che ormai si svolgano così, i famosi ‘colloqui istituzionali’: sempre alle prese con la tentazione di mollare tutto e rifugiarsi in qualche pensioncina a Viserbella o a Bressanone. Invece saranno certi parlamentari della domenica ad andarsene in vacanza, dopo aver azzoppato un autorevole governo di larghe intese alle prese con gli strascichi della pandemia, la guerra in Ucraina, la crisi energetica, l’inflazione, l’urgenza di enormi riforme che i partiti non sono in grado di progettare. Mancano solo le piaghe d’Egitto.
La caduta non stupisce, un po’ perché è la terza in quattro anni, un po’ perché era da mesi che il genio guastatori sfilava i mattoncini da sotto al governo (il giornalista Francesco Costa ha paragonato la situazione a una partita di Jenga). D’altronde questa legislatura ha visto entrare in Parlamento una quantità di pagliacci senza precedenti, perfino per gli standard circensi della Seconda Repubblica; e l’unica trovata dei clown di serie B, si sa, è fare sgambetti, strappando al pubblico un applauso e una feroce risata.
Resta da capire perché l’attuale capitombolo sia stato causato dal capo dei Cinquestelle Giuseppe Conte, che Draghi sostituì a Palazzo Chigi dopo due governi improbabili, uno di destra uno di sinistra, sempre all’insegna del populismo a casaccio. Difficile che sia stato davvero il termovalorizzatore di Roma a privare l’esecutivo, se non della maggioranza, della sua ragion d’essere basata sull’unità nazionale: quello è solo un pretesto. Ma allora, perché?
I giornali italiani – avvezzi a un ‘retroscenismo’ che occupa decine di pagine senza dire granché – suggeriscono le ipotesi più svariate, dalla vanità ferita dell’"avvocato del popolo" alla speranza pentastellata di rifarsi una reputazione ‘antisistema’ in vista del voto, fino alle pressioni della corrente filorussa. Eppure non si spiega: alle urne non trionferanno di certo i grillini, già dimezzati, bensì la destraccia fascistoide e orbaniana di Giorgia Meloni e Matteo Salvini, uscito dall’ombra del governo senza nemmeno doversi prendere la (ir)responsabilità di farlo cadere. Il Movimento 5 Stelle rischia invece di pagare il conto per la fronda a un personaggio rispettato come Draghi, "un lusso per questo Paese slabbrato" (Michele Serra). Accelera così il processo di autoestinzione iniziato nel 2018, quando gli ebbri corsari, fomentati da un comico arrembante, si son trovati quasi per caso sulla nave governativa.
Senza perdersi in tanti machiavellismi, dunque, la spiegazione migliore per quest’ennesima crisi è forse quella più semplice. Nell’illusione di strappare chissà quale concessione all’hombre vertical al timone e calmare così i suoi esagitati compagni di partito, Conte – da sempre "inutile come la birra senz’alcol", per rubare una frase a Enrico Brizzi – ha confermato di soddisfare appieno la celebre definizione dello storico Carlo Cipolla: "Una persona stupida è una persona che causa un danno a un’altra o a un gruppo di persone senza, nel contempo, realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita". Chissà come faranno, Draghi e Mattarella, a non dirglielo in faccia.