Vince le elezioni Bongbong, figlio della coppia Ferdinand-Imelda che distrusse il Paese negli anni 70 e 80. Un predestinato con la mania dei Beatles
A volte ritornano, dieci, venti, trent’anni dopo. Trentasei questa volta, per l’esattezza. Basta aspettare e qualcuno tirerà fuori dal passato un’idea morta e sepolta che a molti sembrerà buona. Una regola che vale nella moda, nella musica e talvolta anche per le dinastie di dittatori e aspiranti tali.
Ferdinand Marcos Jr., detto Bongbong, salirà al potere 57 anni dopo suo padre, Marcos Senior, quel Marcos, quello che – mentre il popolo filippino moriva di fame – accumulava fortune per 10 miliardi di dollari, quello che fece imprigionare e torturare decine di migliaia di oppositori politici, quello che aveva la mania, assieme alla moglie Imelda, di far costruire grandi opere architettoniche, a volte rimaste incompiute, per il solo gusto di sperperare denaro inseguendo vacui progetti di grandeur.
Bongbong Marcos in bus verso la vittoria (Keystone)
Nel 1965, quando papà Marcos era in corsa per la presidenza delle Filippine – e le Filippine erano ancora una democrazia – il giovanissimo Bongbong, appena 8 anni, interpretò sé stesso nel film biografico in cui due attori impersonavano Ferdinand Sr e Madame Imelda. In quella pellicola il bambino dimostrava di avere le idee chiare sul suo futuro. Diceva così: ‘Cari amici, signore e signori, io sono Bongbong Marcos. Quando sarò grande voglio diventare un politico. Servirò il mio Paese, specialmente i poveri. Darò loro tanto riso, tanto cibo, tanti abiti e medicine. E ai bambini darò tanti giocattoli, così nessuno piangerà più’.
I toni, mezzo secolo dopo, sono un po’ cambiati e – come certa musica, come i Marcos – sono tornati anche gli slogan di un tempo: "Far tornare le Filippine grandi". Lo diceva papà Ferdinand ben prima di Trump, ben prima di tutti quei populisti che per far grandi loro stessi hanno deciso di dire che rifaranno grande un Paese, appellandosi a un’età dell’oro che pare sia esistita per tutti, basta rispolverare un glorioso passato, o alla peggio ingigantirlo, inventarselo. A quanto pare funziona.
Funzionò anche troppo nel caso di Marcos senior, che vinse le elezioni del 1965 e anche quelle del 1970, per poi, nel 1972, in mezzo alla contestazione, imporre la legge marziale che gli permise di rimanere al potere altri 14 anni, fino al 1986.
I Marcos nel 1982 a Los Angeles (Keystone)
Nel frattempo il giovane Bongbong aveva studiato in Inghilterra, dove aveva fondato un gruppo beat, aveva ricevuto dalle mani del presidente americano Nixon un biglietto per il primo volo commerciale sulla Luna e aveva prestato il suo nome ("Bongbong 4") al primo missile balistico Made in Filippine. Nel frattempo era anche già morto, o almeno così dice una delle leggende metropolitane più famose a Manila e dintorni. Morto e sostituito da un parente che si sarebbe prestato a un intervento di chirurgia facciale su suggerimento di mamma Imelda.
Il caso vuole che questa leggenda ricalchi quella di uno dei suoi idoli giovanili, Paul McCartney: una teoria cospirazionista – su cui poi i Beatles giocarono a lungo sia nelle loro canzoni che nelle copertine di alcuni album – che voleva Paul morto in un incidente stradale nel 1966 e rimpiazzato da un sosia. In questo gioco di intrecci sull’asse Liverpool-Manila non poteva mancare un capriccio di donna Imelda: proprio nel 1966 – anno dell’ipotetica morte di McCartney – i Beatles tennero un concerto a Manila.
La first lady, però, li voleva tutti per sé, e cercò di organizzare uno show privato al Malacanang Palace (lo stesso palazzo presidenziale dove ha vissuto per oltre vent’anni e dove ora rientrerà da trionfatore il figlio). I Beatles furono svegliati di soprassalto la mattina del 4 luglio, la notte dopo il concerto, per essere portati a palazzo. La notizia era anche uscita sul Manila Times, peccato che nessuno avesse avvisato i Beatles, che si rifiutarono. Ne uscì fuori un caso diplomatico con tanto di emissari dell’ambasciata britannica a supplicare i Fab Four. Pare che più di una persona dell’entourage dei Beatles sia stata minacciata e picchiata. Lo stesso George Harrison, nel 1986, raccontò in tv alla Nbc di "quella volta in cui i Marcos volevano farci fuori", chiudendo l’intervista con un gestaccio rivolto al presidente appena deposto.
Oppositori della coppia Marcos-Duterte (Keystone)
Sì, perché dopo anni di crescita economica drogata dalla corruzione e dai debiti, che oggi Bongbong vuol far passare per "l’età dell’oro" (sempre lei), il popolo si ribellò e infine costrinse i Marcos a volare, protetti dagli Stati Uniti, alle Hawaii. Il giorno della fuga c’era anche lui, Bongbong. Proprio in quella circostanza nacque uno degli aneddoti che più sono rimasti appiccicati alla famiglia Marcos, quello delle tremila paia di scarpe di lusso che Imelda avrebbe lasciato a malincuore a Manila, simbolo delle sue spese sfrenate. La first lady era infatti capace di spendere in un solo giorno milioni di dollari in abiti e gioielli.
Marcos senior morì tre anni dopo l’esilio, il resto della famiglia riuscì tramite una serie di accordi a tornare in patria nel 1991, dove nel frattempo si era insediata come presidente Cory Aquino, moglie del maggior oppositore di Marcos, freddato sulla scaletta dell’aereo all’aeroporto di Manila, nel 1983, mentre rientrava dagli Usa proprio per cercare di trovare un accordo politico col dittatore che vedeva perdere consensi.
Negli anni, con pazienza, nemmeno troppa, i Marcos si sono ripresi il potere pezzo a pezzo: basti pensare che Imelda, oggi 92enne, è stata eletta 4 volte in Parlamento (facendo in tempo a beccarsi altre 7 incriminazioni per corruzione), mentre Bongbong e la sorella hanno iniziato dalla politica locale nel feudo di famiglia, ingrandendo sempre di più la loro influenza fino a tornare alla casella di partenza, Malacanang Palace, dove un bambino, nel 1966, parlava di giustizia sociale, partendo dai giocattoli.
Il museo con 700 paia di scarpe appartenute a Imelda Marcos (Keystone)
Oggi, però, il programma di Marcos Jr. sembra aver dimenticato quello spirito egualitario, promuovendo piuttosto un governi di pochi, i soliti, la sua famiglia e quella del presidente uscente, Rodrigo Duterte, che ha fatto di tutto per cambiare le regole del gioco pur di rimanere in sella. Quando ha capito che non poteva riuscirci ha pensato di candidarsi come vicepresidente (facendo lo stesso gioco di Putin in Russia con il delfino Medvedev, fino a che lì non si è riusciti a cambiare le regole), lasciando infine spazio alla figlia Sara.
Duterte nella sua lotta alla droga si è fatto prendere la mano, ordinando ai poliziotti di sparare quasi a vista ai delinquenti. Soprannominato The Punisher ("Il punitore"), ha sdoganato la politica dell’insulto (compreso uno a Papa Francesco) e della prevaricazione. In questo clima Marcos Jr. ha preso il sopravvento in un Paese disastrato nel portafoglio, ma anche nella capacità di ricordare.
Il corpo del dittatore Ferdinand Marcos, tenuto lontano dai riflettori per 27 anni, nel 2016 fu disseppellito e poi sepolto con tutti gli onori nel Cimitero degli Eroi. Tra qualche protesta, nemmeno troppe. La decisione? Dell’allora presidente Rodrigo Duterte, padre della prossima vicepresidente Sara e figlio di Vicente Duterte, membro del regime dei Marcos, che doveva in qualche modo ringraziare il suo finanziatore più generoso durante la campagna presidenziale, Bongbong. Tutto torna. Soprattutto i Marcos.
Bongbong 15enne insieme al padre (Keystone)