Nelle attuali circostanze costringere lo Stato a raggiungere l’equilibrio fiscale a breve termine è, a rigor di logica, un’assurdità
La capogruppo liberale Gianella ha ragione: la destra in parlamento non ha approvato il ‘Decreto Morisoli’ che impone il pareggio nei conti pubblici entro la fine del 2025 agendo prioritariamente sulla spesa, senza aumenti di imposte né riversamento di oneri sui Comuni, perché vuole "fare del male a chi vive situazioni difficili". Il decreto, sul quale siamo chiamati a pronunciarci la prossima domenica, non è in effetti il frutto di qualsivoglia cattiva intenzione, bensì la naturale conseguenza di una visione ottusa dell’economia e della società. Visione che contraddistingue la conduzione della politica economica del nostro Cantone.
Il contesto in cui si svolge il referendum d’altronde è noto: da un lato l’instabilità geopolitica causata dall’avventura militare di Putin in Ucraina comporta delle conseguenze ancora incalcolabili per l’economia mondiale; dall’altro i due anni di pandemia stanno attualmente determinando un temporaneo e anomalo disallineamento tra l’offerta e la domanda di beni e servizi, ‘déphasage’ che mette a rischio la tenuta della ripresa.
In queste circostanze, costringere lo Stato a tagliare – pardon, a contenere – la spesa pubblica allo scopo di raggiungere l’equilibrio fiscale a breve termine è, a rigor di logica, un’assurdità: se il volume dell’attività economica è in espansione, è automatico che ciò implichi un corrispettivo incremento dei bisogni a livello di infrastruttura e servizi; con il progressivo invecchiamento della popolazione, l’aumento delle prestazioni sociosanitarie a carico dello Stato diventa indispensabile; di fronte alle "storture prodotte dal mercato che vanno raddrizzate" (Alessandro Speziali, laRegione del 9 maggio), è inevitabile che i meccanismi di sostegno finanziario alle fasce più vulnerabili debbano rimanere intatti o addirittura rafforzarsi, e questo per permettere a un’importante fetta della popolazione di partecipare al mercato dei consumi.
Non si scappa, nel linguaggio dell’economia politica "contenere", "frenare" o "rallentare" vogliono dire tagliare. O meglio: ciò che è implicita nel "colpo da maestro" partorito dal capogruppo dell’Udc e poi sposato da Plr e Lega, è una fallace inversione dei termini di un’equazione fondamentale: la spesa pubblica non dovrebbe essere mai considerata una funzione della crescita economica. L’investimento in infrastrutture, servizi sociali e sanitari, istruzione e cultura "sono i veri motori della crescita e dello sviluppo economico e sociale" (Spartaco Greppi su ‘Naufraghi.ch’).
C’è chi ha etichettato la votazione di domenica prossima come "insipida" e "inconsistente". Affermare ciò vuol dire misconoscere le dinamiche dell’economia ticinese e non solo. Oppure fare in modo subdolo il gioco dei favorevoli al decreto pareggia-conti. Il verdetto che uscirà dalle urne avrà un impatto notevole, anche e soprattutto in chiave politica: a meno di un anno dalle elezioni cantonali che definiranno i futuri equilibri del Gran Consiglio (legislativo che sarà chiamato, tra le tante cose, a concludere i lavori di riforma della Legge tributaria), la cittadinanza si ritrova di fronte a un’occasione per mettere in ordine le priorità. Soprattutto quando l’attuale maggioranza in parlamento si dimostra incapace di farlo.