Iniziativa parlamentare dei deputati Dadò e Ghisla che chiedono di modificare la legge per impedire l’uso dell’idroelettrico per estrarre criptovalute
L’energia idroelettrica prodotta in Ticino non deve essere usata in alcun modo per l’estrazione di criptovalute. A sostenerlo, con un’iniziativa parlamentare elaborata che chiede di aggiungere questo punto fermo alla Legge sull’energia, sono i deputati del Ppd Fiorenzo Dadò e Alessio Ghisla.
Il punto di partenza dell’atto popolare democratico è fissato allo scorso ottobre, "quando il consigliere federale Guy Parmelin invitava le aziende a prepararsi a una possibile penuria di energia elettrica. Una penuria che potrebbe, a partire dal 2025, anche durare settimane mettendo a rischio l’attività produttiva di molte fabbriche". Non solo, "ci sarebbero conseguenze anche per i cittadini in termini di riduzione dell’offerta di servizi energetici". Il tutto, scrivono Dadò e Ghisla, "avrebbe un impatto molto negativo sulla competitività della nostra economia, già in difficoltà a causa della crisi pandemica e della guerra in Ucraina".
In un contesto per niente sereno dal punto di vista energetico, "è noto a tutti che negli ultimi anni è in forte espansione il mercato delle criptovalute la cui estrazione o produzione è conosciuta con il termine ‘mining’, che consiste nella creazione o estrazione di monete virtuali non tramite la forza fisica di un minatore ma tramite un duro lavoro informatico che sfrutta la capacità di calcolo dei computer". Calcoli molto complessi, che richiedono quantità enormi di energia: "Ad esempio, per produrre un Bitcoin sono necessarie moltissime ore di lavoro di decine di computer potenti collegati in rete". Tradotto? Tradotto "nel 2018 l’economista olandese Alex de Vries affermava che un pagamento con una normale carta di credito necessitava di 1-2 wattora, mentre un pagamento effettuato in Bitcoin necessitava di circa 300 kilowattora che equivalgono all’incirca alla corrente consumata in un mese da un’economia domestica".
E in Svizzera com’è la situazione? "Dal 1° agosto 2021 siamo tra i primi Paesi ad aver disposto una normativa chiara e specifica che disciplina queste nuove tecnologie sul mercato finanziario, ma senza accennare all’aspetto dell’approvvigionamento energetico". E quindi, si continua a leggere nel testo dell’iniziativa parlamentare elaborata, "se qualcuno nel nostro Cantone volesse fare ‘mining’ di criptovalute nel rispetto della libertà economica può farlo, ma secondo questa iniziativa non deve usare le nostre preziose acque che rappresentano una risorsa fondamentale per la produzione di energia elettrica rinnovabile".
Proprio da qui parte Dadò spiegando a ‘laRegione’ i ragionamenti all’origine di questa proposta vincolante: «Partiamo dalla constatazione che la nostra società avrà grosse difficoltà a livello di approvvigionamento energetico. Si continua a parlare di fonti rinnovabili, decarbonizzazione e transizione energetica – dice ancora Dadò –, ma è sotto i nostri occhi che non stiamo andando verso un risparmio energetico". Anche perché «tanti nuovi elementi comparsi negli ultimi anni, come le criptovalute, sono energivori». Per questo, il presidente cantonale del Ppd è netto: «Le fonti rinnovabili non devono essere usate per speculazioni come le criptovalute, ma per i bisogni primari della popolazione».
Secondariamente, ma fino a un certo punto, «il Ticino dispone di ingenti risorse energetiche di tipo rinnovabile date dallo sfruttamento dei fiumi, che causa come abbiamo visto in più occasioni notevoli sacrifici dal punto di vista ambientale e paesaggistico». Per Dadò è un’iniziativa parlamentare, ma «è anche una questione di coerenza» dal momento che «con tanti convallerani ci siamo battuti per anni e anni per i deflussi minimi e per un’equità fiscale che lasciasse qualcosa al Cantone e ai comuni periferici, è doveroso difendere le nostre acque: non si può chiudere gli occhi davanti a certe situazioni».
Come «è doveroso continuare a combattere per i deflussi minimi». Circa un mese fa il Tribunale cantonale amministrativo (Tram) ha annullato la decisione del Consiglio di Stato di imporre rilasci d’acqua maggiori agli impianti idroelettrici Ofible di Blenio e Ofima di Maggia, per permettere il risanamento dei corsi d’acqua come previsto dalla legislazione federale. Decisione, questa, che ha portato il governo cantonale a sospendere momentaneamente la procedura di rilascio dei deflussi minimi. E Dadò non ci sta, per usare un eufemismo: «Abbiamo ritardi decennali accumulati dal Cantone rispetto a quello che prevede la legge federale, non si può assolutamente pensare di procrastinare ancora questa decisione per colpa di errori procedurali del Consiglio di Stato, e bisogna procedere con quanto avallato dal Gran Consiglio». Di più: «Sul tema dei deflussi minimi mi batterò strenuamente: in tal senso, stiamo già valutando la preparazione di un atto parlamentare».